
La guerra era iniziata: dopo la mancata risposta alla missiva in cui si dettavano le condizioni grazie alle quali il popolo ceorita avrebbe continuato a vivere in pace, se fossero state accettate, le tre città elfiche unite non tollerarono più l’ennesimo affronto.
I Vir e coloro che vivevano in quelle terre non avevano accettato l’ultimatum, e così avevano dettato le loro sorti palesando la volontà di scendere in campo. Il proclama di guerra, promulgato dalle regnanze delle città, così dettava:
In considerazione di quanto segue:
· l'inottemperanza alle condizioni proposte;
· il comportamento ignominioso dei due mezz'elfi che si fregiano indebitamente del titolo di sovrani;
· le azioni gratuitamente violente compiute contro i rappresentanti delle Stirpi;
· l'atteggiamento apertamente ostile che i suddetti mezz'elfi e i cittadini del villaggio hanno assunto nei nostri confronti;
le 3 Città elfiche di Rotiniel, Tiond e Ondolinde congiuntamente emanano il presente
PROCLAMA DI GUERRA CONTRO IL VILLAGGIO DI CEORIS.
Le Città pertanto muoveranno i loro eserciti contro il villaggio di Ceoris, fino a stroncarne ogni resistenza militare, alla cattura dei sedicenti Vir e all'eliminazione di qualsivoglia minaccia per la vita dei Cittadini Elfici.
I mezz'elfi Raghnar Roach e Araxan saranno messi al bando dal Continente Elfico, con loro chiunque della popolazione abbia avuto parte attiva nello scontro. Coloro che violeranno questo divieto verranno privati immediatamente della vita.
Il villaggio di Ceoris tornerà libero, sotto la vigilanza e la protezione delle Città e sottoposto alle loro Leggi e Princìpi.
Ceoris è intesa come opportunità concessa ai mezz'elfi di costituire una propria comunità; come tale a nessun umano sarà consentito di dimorare in pianta stabile al Villaggio.
Così oggi 21 Nembonume, Noi
Isilmahtar
Kiya Galenceleb
Logain El'Elibrath
stabiliamo e diffondiamo alle Popolazioni del Continente Elfico.
Tremi colui che osa turbare la Pace del Doriath!
Così la notte prescelta, i tre eserciti si riunirono nelle loro città, chiamati all’adunata:


E si diede appuntamento a Ilkorin, per prepararsi sferrare l’attacco a Ceoris. Lì le ultime tattiche furono decise tra i generali, e date le direttive agli eserciti schierati e pronti a difendere, fino alla morte, le terre che erano state donate loro dai sacri Valar.

Partiti per Ceoris, trovarono delle palizzate a difesa del villaggio, ma non furono molti gli impedimenti trovati sul percorso oltre a questi, grazie agli abili disarmatori di trappole che avevano agito approfittando delle ombre per rendere la zona sicura.
Una sorpresa li accolse: oltre al popolo ceorita anche gli Djaredin si erano schierati contro le tre città; gli abili genieri e combattenti diedero qualche problema agli elfi, ma, dopo le prime resistenze, l’esercito, che attaccava da nord e da sud diviso in due guarnigioni, si ritrovò all’interno di Ceoris ormai caduta, sconfiggendo così in poco tempo il variopinto ma inesperto esercito ceorita.
Le tre città, terminata la battaglia, fecero ritorno alle loro case per curare i feriti e festeggiare la vittoria, ma un fumo denso si levava a sud, visibile ad occhio nudo. Le tre regnanze, scorgendolo, mandarono sentinelle a controllare ciò che stava accadendo, e, giunti a Ceoris, un abominevole spettacolo si spalancò davanti ai loro occhi: i Ceoriti avevano appiccato incendi ovunque, con queste parole “Se Ceoris non deve essere nostra, non sarà neanche loro”.

L’incendio si propagava a vista d’occhio…i folli avevano deciso di rovinare forse per sempre un dono dei Valar, deturpando la natura circostante e distruggendo le abitazioni del villaggio.

Gli elfi accorsi tentarono di spegnere l’incendio, e vi riuscirono, ma fu troppo tardi per alcuni dei loro abitanti…un contadino, disperato, riferì agli accorsi che il suo unico figlio aveva perso la vita nell’incendio, incolpando gli ex-Vir e il popolo al loro comando dell’accaduto.


Gli elfi lì presenti promisero ai contadini del villaggio che non avevano combattuto, protezione e pace.

Finalmente Ceoris era di nuovo libera.
Ora ognuno poteva far ritorno alle proprie case con una convinzione: nessuno avrebbe più versato altro sangue innocente quella notte.
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