Giustizia e i Cavalieri Neri
Scritto da : Haradion in data : 20/11/2006 22:33:44

Non era passato molto da quando, al Monastero e presso i fedeli ai Giusti era
divenuto di pubblico dominio il fatto che
il vecchio, caparbio ed eroico Ultimo Paladino, Sir Magnus, aveva scelto
una via quantomeno insolita per portare soccorso all'Umanità che gli fu
affidata dagli Dei.
Piuttosto che affrontarli a viso aperto, come aveva già fatto nei suoi anni
di gioventù, il Paladino preferì un gioco di astuzia, e sacrificio, che potesse
egualmente portare giovamento alla causa per cui combatteva.
In questo modo, mentre l'umanità si struggeva per la presenza di cinque Cavalieri Neri
portatori di morte e distruzione, lo spirito del Paladino lavorava dall'interno
per riportare la sua vecchia arma, Giustizia, in condizioni di neutralità
nonostante la maledizione che vi gravava sopra, in quanto manufatto ospite
del custode del Signore dei Sogni, Tjodalv.

Da molto tempo, ormai, un sacerdote girava per le terre più desolate, più infestate,
cercando di comprendere i simbolismi, i riti arcani costantemente utilizzati
dai suoi avversari, onde trovare una via per ribaltarli a proprio favore.

La Cattedrale una volta rifugio-prigione di Zeliel, la Bestia, fu un fertile
terreno di studi per il sacerdote, che con lo spirito testardo che lo contraddistingue ancora,
un particolare alla volta, tentava di ricostruire simboli e rituali nel verso giusto.

Nel frattempo, i fratelli ed alleati cercavano dettagli ed indizi
per riuscire a sgominare la minaccia più prossima... ma le armi sembravano
non aver alcuna possibilità di scalfire la potenza dei Cinque.
I danni riportati erano comunque maggiori ai profitti, dato che, in mano ai Cavalieri Neri,
il martello di Magnus aveva acquistato il terribile potere di risvegliare i
caduti e renderli schiavi.
Raccogliendo idee e notizie, consultando gli uomini di fede attivi sul continente e oltre,
lavorando di concerto con le guide delle genti umane ed elfiche,
molto fu il tempo impiegato prima di giungere ad una probabile, ma quanto mai precaria, soluzione.
Risvegliare lo spirito del Paladino, permettendogli di agire dall'interno
del martello mediante la forza degli Dei, per far si che l'arma si ribellasse
al portatore, rendendo possibile il recupero.
Facile... a parole.
Per compiere un rito così potente, era necessario che gli occhi degli Dei fossero puntati
sui celebranti. Era necessario che fossero puntati, e che guardassero l'umanità con
benevolenza, e spirito di collaborazione.
Seguendo uno dei precetti del Cavalierato e di ogni anima devota, la Compassione,
fu proposto ad Amon di erigere un altare in memoria delle vittime della
strage di Seliand. Durante questa cerimonia, fu benedetta e purificata la maschera simbolo
di uno dei Sette Spiriti, Shamusiel, fornita dal capovillaggio del popolo
Qwaylar. Quel manufatto fu dedicato da Haradion e da Finwe Elparwe, dei Templari d'Oriente,
all'altare come simbolo della vittoria dei Giusti sui demoni.



Arrivati ormai al punto, fu organizzato il rituale propiziatorio mantenendo
uno stretto riserbo: i partecipanti furono avvisati e messi al corrente
del luogo in cui si sarebbe svolto solo la sera stessa:
un nutrito corpo di guardia era stanziato presso l'ingresso del villaggio di
Picco dell'Aquila, e i sacerdoti furono schierati attorno al grande fuoco già acceso nella piazza del villaggio.
La Fiamma di Aengus, Hickaru Phoenixflame, fu designata per occupare lo spazio centrale, più vicino
degli altri alle fiamme stesse, talmente vicino da far brillare
l'armatura come fuoco vivo.
Come un direttore d'orchestra, la Guida di Danu occupò una posizione in disparte, dopo aver tracciato a terra
un pentacolo, sì, ma di limpida acqua benedetta.

Come se non appartenesse a questa terra, l'acqua non fu assorbita dal terreno,
ma rimase in superficie confermando il simbolo e la sua potenza mistica.
I sacerdoti partecipanti, di Helcaraxe, Amon, del Monastero e dell'Ordine della Fenice,
furono disposti sulle cinque punte della stella.
Cinque estremità, sette sacerdoti: solo un accenno della profonda carica mistica contenuta in quel luogo.
Lungo e intenso fu il momento di preghiera. Talmente lungo da far temere che
fosse un atto vano. Ma con l'arrivo di Sir Darek della Forgia, cavaliere
votato ad Aengus, recante la Flamberga di Rengard, lo scenario cambiò.
Come se fino ad allora fosse mancato un ingrediente, tutti
i pezzi andarono al proprio posto, seguendo il pesante allenamento spirituale compiuto in quei giorni
Haradion riuscì a convogliare su di sé le preghiere dei fratelli, una colonna di luce azzurra lo investì mentre giaceva in ginocchio sulla neve
, per poi cedere il passo alla pace delle montagne.
Aprendo gli occhi, il sacerdote vide sguardi perplessi, sguardi stupiti.
Dentro, un senso di benessere e di benevolenza che non aveva mai provato.
Un'emozione pura, la consapevolezza che gli Dei lo stavano guardando, e che nei loro sguardi
era ora visibile un sereno sorriso.
Erano pronti.
Avvisate le staffette, radunati gli eserciti, uomini del Nord, uomini di Hammerheim, Cavalieri, gente delle Isole, armigeri di Amon furono in breve tempo schierati
sotto le mura di Forte Fenice.
Era il momento di provare se ciò che era stato fatto aveva una reale utilità.
Nero, avvolto in un'armatura che ne celava le fattezze, e recante in mano il martello una volta noto come
Giustizia, uno dei Cavalieri si fece avanti, mettendo la sua forza in campo.
Prendendosi gioco degli avversari, schernì coloro i quali tentavano di trattenerlo con le parole,
probabilmente senza far caso ad una figura in preghiera in groppa ad un cavallo candido:
le mani rivolte al martello, la fronte imperlata di sudore, rivolgendo tutte le energie raccolte
con il rito verso la figura nera che si stagliava contro le mura del Forte, Haradion cercava ora un contatto con lo spirito di Magnus.

Ad un tratto, inaspettatamente ma come guidati dalla stessa mano, prima Hickaru, poi tutti i presenti
levarono al cielo l'invocazione utilizzata durante il rituale a Picco dell'Aquila.
Il ghigno scomparve dalla faccia del Nemico, mentre il martello si fece vivo e vibrante.
Fiamme avvolsero il non morto, che batté in ritirata lasciando la reliquia a terra.
Di volata, Haradion raccolse il martello sporgendosi dalla sella, e caricò la schiena del fuggiasco
, seguito dall'ordine di carica degli eserciti che gridavano invocazioni e inni di guerra.
...si sa, ogni vittoria comporta un sacrificio.
Quella sera, la stessa figura vittoriosa si fece carico della penitenza necessaria, primo tra molti altri, tra cui il portatore della Flamberga.
Chiuso dentro le mura ancora sbarrate di Forte Fenice, Haradion abbatté i nemici che gli si pararono contro per coprire la ritirata
del Nero Generale, finché il numero non ne ebbe ragione.
Riuscì a sentire, da ultimo, le grida di battaglia dei fieri uomini del Nord che
sfondavano i cancelli, prima di perdere conoscenza, con un sorriso sereno sulle labbra.
...era quasi convinto che il suo tempo fosse arrivato alla fine, aveva compiuto la sua missione, era in pace e poteva
presentarsi serenamente al cospetto degli Dei: il viso sfinito ma battagliero di Hickaru
fu la prima immagine che videro i suoi nuovi occhi. Evidentemente, il suo lavoro non
era ancora finito. Lo spirito di Magnus era in mani amiche,
così come la Flamberga di Rengard, recuperata da Val Elaiser, Maestro d'Arme della Confraternita dell'Alba.
Il Forte era stato sgomberato, anche se non tutti i Cavalieri avevano trovato la loro degna fine sul campo di battaglia.
Probabilmente i restanti avrebbero tentato una rivincita: sapevano però, ora come mai prima,
che la loro potenza poteva essere contrastata. Le sfide future
sarebbero state più violente e più pesanti, ogni uomo su quel campo di battaglia poteva sentirlo in cuor suo.
Fortunatamente, ora sentiva anche che chi confida negli Dei, non ha nulla da temere.

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