[Tremec] L' Esodo - parte I
Scritto da : Nawal Kamal in data : 27/12/2008 01:15:12


Accuse assurde, rette da prove al limite del ridicolo, che per altro non ci furono mostrate. "E' inutile che continuiate, non avete capito che abbiamo già deciso?" - fu la risposta dei Consiglieri alle richieste di chiarimenti dei rappresentanti dell'Oasi. Così ci annunciavano spavaldi, seduti sul trono d'oro del Sultano, che le nostre leggi, i nostri ordini religiosi e le nostre tradizioni non sarebbero più state tollerate a casa loro, cioè a casa nostra, ed entro una settimana avremmo dovuto giurar loro fedeltà o andarcene. Rania della tenda Udeen, uscita dal Palazzo Sultanale composta e terrificante come la calma che precede la tempesta di sabbia, prese la Vestale Nawal della tenda Kamal, sua nipote, e le dettò un editto da portare di tenda in tenda.

“Fratelli e sorelle, oggi 7 Nembonume 272 Tremec è morta. Alla luce del proclama di annessione di Tremec emanato dalle alte cariche di Loknar, che pone fine a tutto ciò su cui questa città si è sempre fondata, a nome del Tempio e per volontà dell’Unico e della Prediletta, la Gran Sacerdotessa vi ordina di prepararvi nello spirito e nelle cose materiali a lasciare l'Oasi. Alla decima ora del terzo giorno da oggi, nono di Nembonume, che i fratelli siano pronti. Sarà compito di tutti prodigarsi affinché nessun fratello venga lasciato indietro, se non nella chiara intenzione di divenire agli occhi della Stirpe Nera un estraneo e un traditore. Possa l'Unico aver pietà di chi resterà a vivere sotto la legge dei profanatori, scordando i precetti della Santa Sunnah. Possa il Kamshin sospingerci dove Akkron ci vuole”.

Solo poche ore dopo l’Oasi era in pieno fermento, alcuni radunavano i lama più robusti e forti, altri preparavano otri d’acqua e viveri adatti a lunghi viaggi, altri ancora discutevano animatamente su quale fosse il percorso più sicuro per attraversare il deserto. L'editto era stato letto in ogni tenda e affidato a carovanieri su ogni pista, inviato al porto e presso le tende nomadi fedeli all'Oasi. Quando la voce giunse ai Ramjallah, senza esitare si offrirono di ospitarci vicino al loro rifugio, alcuni di loro si recarono subito là ad approntare un campo che potesse accoglierci tutti, mentre altri si fermarono a Tremec aiutandoci a radunare lama da carico e prepararci per il viaggio.





Il nono di Nembonume, appena calò il sole cocente dietro le vette del Kamikush, ci radunammo in piazza, dove la Gran Sacerdotessa ci arringò con un discorso toccante, ma pieno di determinazione, senza lasciar trasparire la mestizia che attanagliava il suo cuore, come quello di molti, nel lasciare l'Oasi e tutto ciò che eravamo abituati a chiamare "casa". Dopo di che, seguendo le guide in parte tremecciane, in parte Ramjallah, la lenta e interminabile carovana passò sotto la porta sud e lasciò l'Oasi alle sue spalle, volgendo appena occhi lucidi alle cupole splendenti nella luce del tramonto.





Giunti al porto, chi non era utile a muovere la carovana di lama carichi come le tasche di uno Xo', o che aveva difficoltà a tenere il passo, si stipò su imbarcazioni leggere e veloci che, costeggiando, li avrebbero poi sbarcati presso il rifugio dei raminghi. Lì, l'ultimo Derviscio del Tempio dichiarò le sue intenzioni: "Resterò tra queste dune, errando come i Grandi Maestri del passato" - disse alla Gran Sacerdotessa - "non abbandonerò l'Unico finché avrò sabbia sotto i miei sandali, e aspetterò che venga il giorno di crescere nuovi allievi".





Dopo esserci augurati ogni bene vicendevolmente, ci separammo da lui, e ci rimettemmo in marcia per abbandonare il deserto. Quando la sabbia stava ormai lasciando posto all'erba delle terre di Ywul, a ridosso delle propaggini del Kamikush, come chiamati da una voce, tutti i tremecciani si fermarono a salutare il deserto, con una lacrima, un sorriso, una preghiera o un impavido urlo di battaglia. Una carezza di sabbia ancora tiepida del calore del giorno si levò sui loro visi; anche il deserto pareva salutarli.





I Ramjallah li guidarono attraverso le terre verdi, fino al rifugio, dove finalmente comode tende ed erba e acqua fresca attendevano sia i tremecciani che i loro lama, ormai sfiniti. Prima di addormentarsi nelle tende, sentendo il vociare dei fratelli e degli amici raminghi mischiarsi nella notte come una sola melodia, qualcuno pensò che Rania avesse ragione, Tremec è nel cuore della Stirpe Nera, e sarebbe stata ovunque sarebbero andati, perché "casa" è il luogo vicino alle persone che si amano.




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