
9 orifoglia dell’anno 277
Per la sera del 9 orifoglia era stata indetta una riunione cittadina: milites e cives erano stato convocati nella piazza di fronte al mastio; il crepuscolo era ormai calato e le panche erano occupate da chi attendeva l’arrivo del Console.
Il brusio delle conversazioni fu interrotto dallo scattare in piedi di tutti i presenti all’arrivo di Alexandros Joriin, Console di Amon. La riga si formò molto velocemente: aspiranti riuniti a sinistra, Senatori a chiudere verso il mastio, il resto degli Amoniani al centro.
Prima che il Console potesse prendere la parola il Pretore William Leintart lo apostrofò chiedendogli udienza nel mastio, motivando con notizie urgenti da riferire. I due si ritirarono per alcuni minuti mentre fuori gli Amoniani attendevano fermi nelle loro posizioni.
Il primo ad uscire dal torrione fu il Console, seguito dal Pretore alcuni passi dietro e si fermarono di fronte agli Amoniani: molti occhi seguirono i gesti di William Leintart mentre egli, all’ordine di tornare in fila, rispondeva con un secco “No signore” per poi aggiungere “Voi non mi prestate ascolto”.
Nuovamente, irritato, il Console gli intimò di tornare al suo posto, per sentirsi rispondere “Lo sono”.
Joriin dette l’ordine di allontanare dalla piazza gli estranei e fu presto obbedito da un paio di Legionari mentre intanto, nella fila, alcuni elmi venivano indossati e guanti infilati alle mani dei soldati: la tensione nell’aria era palpabile, quale scarica che pervadeva la piazza centrale della città, occhi attenti ed occhi perplessi, sguardi interrogativi e concentrati.
“Se non mi ascolterete in privato la scelta è solo vostra”, affermò il Pretore mentre il Console, alzando la voce, gli intimava di tornare in riga. Quando il Pretore cercò di rivolgersi direttamente agli Amoniani, il Console urlò “Arrestate quest’uomo!”.
La riga non si mosse.
Joriin, imbracciato lo scudo, si avventò sul Pretore colpendolo con la spada. Un paio di Legionari scattarono dalla riga in soccorso di Leintart, avventandosi a loro volta sul Console.

In un istante scoppiò il pandemonio: armi furono imbracciate, incantesimi scagliati, corde degli archi tese e rilasciate, l’intervento degli Dei chiesto a gran voce. Molti impiegarono un po’ a capire che stesse accadendo, altri invece sembrarono aver chiaro chi fosse il loro bersaglio.
Urla, lamenti, ordini a cui pochi diedero ascolto, e poi sangue, sangue a bagnar i gradini erosi dal tempo del mastio.
Cadde il Console, caddero altri uomini e donne: alcuni valorosi, altri meschini, robusti ed esili, esperti ed alle prime armi, soli o in gruppo. Nella mattanza che quella sera si consumò nella piazza di Amon non vi fu tempo per capire che stesse realmente accadendo: Amoniani contro Amoniani, mantelli rossi che si coloravano del sangue dei proprio fratelli.
Al termine dello spargimento di sangue di fronte al mastio si assieparono quanti, caduti, avevano ricevuto cure per rimettersi in piedi: vi era il Console, il Tribuno Valmir, la Somma Giliath, il Governatore Thalanthyr, ed altri ancora che nello scontro si erano schierati con Joriin.
Di fronte a loro, armati, vi era la larga parte della Legione che rispondeva al comando del Pretore Leintart.
A levarsi sopra le voci che parlavano di tradimenti, codardia, valori da mantenere e infranti, fu quella del Pretore che urlò a gran voce:
“A lungo Amon è rimasta inerte, ferma sotto la guida di chi l’ha portata sull’orlo del baratro! Abbiamo perso uomini di gran valore, uomini che realmente seguivano i valori su cui si fonda l’Impero a noi caro. Non avrei voluto arrivare a tanto, a spargere sangue cremisi: più volte ho agito temporeggiando, anche questa sera avrei voluto proporre con le parole ma sono stato attaccato codardamente mentre ero disarmato: se questa è Amon allora è marcia!!”.
Accuse gli furono scagliate contro mentre pronunciava queste parole: di essere un serpente, un traditore, un opportunista; gli fu augurato di morire e di perdere il potere nel sangue.
A bruscamente interrompere questa irato scambio di battute fu la carica a cavallo, da dietro, di un Legionario verso il Pretore: quanti supportavano la causa di Leintart gli si affollarono attorno a protezione aiutandolo a riprendersi dal colpo subito.
La tensione crebbe nuovamente e colpi furono inferti verso alcuni che erano già disarmati: ordini urlati riportarono una calma guardinga. Nuovamente vi furono scambi di accuse a vicenda e profezie di ulteriori sciagure che avrebbero colto Amon dopo questo avvenimento.
Fu dato l’ordine di scortare fuori dalla piazza quanti se ne volessero andare dalla città e tempo sufficiente perché raccogliessero le proprie cose: lo strappo era completo.

Di fronte al mastio fu richiamata la riga, col Pretore William Leintart di fronte ad essa sui gradini:
“Questa sera Amon ha macchiato il proprio suolo con sangue fraterno. Non era mia intenzione ma l’arroganza del Console Joriin lo ha spinto ad ordinare un assalto quando erano le parole ciò di cui Amon aveva bisogno. Amon ha perso validi elementi ma ricostruiremo ciò che è stato perduto, accoglieremo chi vorrà tornare perché consapevole del proprio errore. Questa sera non c’è da festeggiare: occupatevi dei caduti, riposate, io mi recherò dall’Imperatore e stabiliremo un nuovo ordine ad Amon. Non più il potere nelle mani di un singolo uomo!
Amon risorgerà più forte di prima, USQUE AD FINEM URBI FIDELIS!”

Uomini e donne furono inviati, quella sera, tra le case a rassicurare la popolazione, a controllare che nessuno fosse ferito, a rassicurare che la calma era stata riportata in città.
L’alba di un nuovo giorno si intravvedeva all’orizzonte.
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