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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Seer Zucca
#21664
L’uomo posò appena uno stivale sul molo ghiacciato e mentre l’altra gamba era ancora nella barca, sputò a terra. Non aprì nemmeno la bocca, lasciando che quel rivolo di saliva fluisse dai denti aperti sul davanti e gli colasse lungo il mento, esprimendo tutto il suo sdegno per quel momento.
“E così è qui che finisce il mondo”, ruggì con voce rauca.
Dietro di lui un uomo avviluppato in pesanti pellicce scure gli fece eco.
“No, qui è dove comincia”, anche la voce del secondo uomo era dura e non lasciava spazio ad emozione alcuna.
“Lo hanno chiamato ultimo approdo, non primo approdo”, l’uomo sputò ancora, questa volta degnandosi di aprire la bocca.
“Punti di vista, tutto dipende da come la si guardi” fece una pausa ed aggiunse distratto “presumo.”.
“Sarà, ma la neve cade sempre verso il basso, punto di vista o meno”.
L’uomo pose fine alla discussione posando i suoi occhi azzurri sul compagno e contorcendo la bocca in un’espressione che non lasciava spazio a risposta alcuna.
Poi i due presero a scaricare le merci dalla loro piccola imbarcazione assicurata al molo. Un silenzio surreale incorniciò la scena, lasciando spazio unicamente all’infrangersi delle onde ed ai sussurri del vento gelido.

Una volta scaricate quasi tutte le provviste, il più grosso dei due si sporse sul ponte, afferrò una cima e puntellandosi con i piedi allo scafo tirò con tutte le forze. Qualcosa urtò contro lo scafo con un rumore sordo, piroettò sopra la sponda e cadde nelle acque gelide del mare. Un secondo strattone fece emerge un'altra figura appesa per i polsi sanguinolenti alla fune. L’umo si passò la fune sopra la spalla e prese ad indietreggiare, tirando verso di sé due fantocci avvolti in quei brandelli di stoffa ormai fradicia.
Una delle due sagome mosse la bocca come per parlare, ma il rantolo di dolore si perse nel soffiare impetuoso del vento. L’uomo rimase voltato e trascinò quegli esseri ormai prossimi alla morte lungo il sentiero che si snodava dal molo.
Infine assicurò la fune insieme ai loro averi ad una delle due slitte caricate oltremisura, e senza voltarsi prese ad avanzare nella neve alta sprofondando sino al ginocchio.
I due prigionieri si riprendevano a tratti, per poi svenire subito dopo. Nonostante le condizioni precarie sembravano ancora aggrappati alla vita, anche se non avrebbero retto per molto.
I corpi tumefatti erano lividi, escoriazioni e bruciature ne segnavano tutta la superficie, attraversando ematomi violacei. I volti erano maschere di sangue, gli occhi gonfi parevano un tutt'uno con le labbra. Alcune articolazioni erano slogate e gli arti presentavano segni evidenti di congelamento.
Osservandoli sembrava impossibile pensare a quelle due sagome come a corpi maschili.

I due camminarono a passo sostenuto nonostante la neve fresca per tutto il giorno. Infine raggiunsero una valle stretta tra due creste innevate. Lì iniziarono la loro discesa, muovendosi con più rapidità mano a mano che la neve lasciava spazio alla terra ancora congelata.
Raggiunsero il fondo di quella valle cieca ormai a pomeriggio inoltrato e con lo stesso silenzio in cui erano immersi da tutto il giorno, presero a scaricare i loro bagagli allestendo un piccolo campo.
I due poveracci vennero assicurati senza troppe precauzioni ad un vecchio albero, conciati in quel modo non si reggevano nemmeno in piedi, figurarsi tentare la fuga.
I preparativi del campo consumarono il resto del pomeriggio, e la frescura della sera prese a serpeggiare lungo la valle, infrangendosi contro le fiamme allestite dai due.

I due uomini vestiti di nero, non si erano più rivolti la parola da quel mattino, le parole che si erano abbaiati a vicenda erano con ogni probabilità le uniche che avevano proferito da chissà quanto tempo.
Mentre i due mangiavano, uno dei due prigionieri prese a lamentarsi sempre più spesso, complice il calore delle fiamme che ne rischiarava il viso tumefatto, sembrava essersi ripreso quel poco da permettergli di agonizzare. Un lamento sinistro, suoni tremendi che esprimevano la sofferenza più pura che come una morsa stringeva ogni parte del suo corpo.
Uno dei due si alzò, prese due pugnali ed usandoli a mo’ di pinza raccolse dal fuoco un tizzone incandescente grande quanto il suo pugno. Avanzò sino all'uomo e con un colpo devastante gli infilò il tizzone contro le labbra, questo spalancò la bocca sprigionando un odore di carne bruciata ed un fumo nerastro, permettendo al suo aguzzino di spingere ancora più in profondità il tizzone.
Il prigioniero svenne e sembrò strozzarsi con il moncherino che gli rimase al posto della lingua.

L’altro uomo si alzò, scocciato di vedersi interrotta la cena. Avanzò sino al prigioniero, gli inclinò la testa infilandoci la mano guantata e sistemò quello scempio, permettendo almeno all’aria di fluirgli lungo la gola e di farlo respirare.
“Ci servono vivi! Ora lasciali stare e spera che questi maghi schifosi non decidano di mollare la schifosa presa sulla loto altrettanto schifosa vita! Sono un dono, non sono per noi, non ancora”.

Come se nulla fosse tornò a sedersi accanto al fuoco e terminò di mangiare la sua cena. Da lì a poco anche l’altro uomo lo raggiunse, levandosi il pesante cappellaccio nero ed usandolo come cuscino si avvolse in una pesante pelliccia, girandosi su un fianco ed addormentandosi subito, lasciando il suo compagno a fissare con sguardo tremendo l’oscurità tutto attorno.

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By Victoria
#22301
Le impronte sulla neve fresca, dietro al gruppo di viaggiatori, erano evidenti e ad un astuto cacciatore non sarebbe sfuggita la presenza di orsi, serpi, cavalli e guardiani sacri al seguito. La luce del giorno era scesa da un po’ e le torce facevano brillare quella neve d’argento, come un manto sacro che copriva, o valorizzava, la flora e la fauna di quella porzione di Ardania. Casa per molti, Equilibrio, nel suo Livmor, da proteggere per altri.

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I possenti guerrieri guidavano la traversata verso la Baronia superiore, c’era silenzio, pensieri, probabilmente qualcuno pregava e altri ascoltavano… perché dopo un po’ di permanenza al nord anche il rumore di un pugno di neve che scivola da una foglia può dire qualcosa, è un segnale o un avvertimento.

Quando oramai la meta si era avvicinata, tutti aguzzarono la vista, si era parlato di un accampamento deserto, ma soprattutto di uomini, o ciò che ne rimaneva, appesi, come un monito o un castigo. Quelle Lande Corrotte spesso erano scenario di nefandezze, di vendette, di giustizie, di rituali, eppure quella visione sinistra sembrava nuova, come foriera di cose mai prima considerate.

“Non sono Bergtatt e non pare opera dei Bergtatt”, diceva qualcuno, indicando i due uomini, agonizzanti.

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Che fossero stranieri era evidente, le vesti non ricordavano i clan nordici, e i segni che uno portava sulle labbra annerite erano indecifrabili.
Tutti fermi osservarono quella scena per un po’, Victoria si avvicinò con cipiglio attento, era la curatrice che osservava più che la ragazza, perché voleva capire se fossero vivi, ma non le parve affatto, o comunque non abbstanza da essere coscienti. Eppure qualcosa era strano e probabilmente avrebbe preferito poterli seppellire, bruciare. Ma non era quella la sera, non per le leggi non scritte del nord. Prima dovevano capire, poi quelle spoglie avrebbero avuto la giusta fine, col fuoco che purifica.

“Labbra nere, bruciate, per Danu cosa ha mangiato!” pensò la giovane Sagarth accigliandosi. E nel mentre cercava di immaginare che storia potevano aver avuto.

Una rapida ronda, una controllata nella tenda, niente, non c’era nulla che facesse capire. Forse i viaggiatori erano a caccia, il fuoco era ancora vivo. Sarebbero tornati. Ma di certo era meglio stare attenti, in quelle nevi qualcosa ancora una volta si stava muovendo in modo strano.

Il rientro ad Helcaraxe fu veloce, le mura di pietra innevate, a corona delle botteghe, dei palazzi, della vita dei nordici, sembravano ancora più solide e gli isolani del nord sonnolenti in quella strana notte di inizio estate.
Il freddo intontiva e il fuoco scaldava gli animi. Di certo un boccale in più di sidro del nord avrebbe alleggerito i ricordi e quella strana sensazione. E così la serata si chiuse in un’allegra bevuta nella grande birreria del nord.

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By Victoria
#23162
Le notizie non tardarono ad arrivare circa quello strano campo e quelle strane pratiche di esibizione dei prigionieri, ed arrivarono per bocca di uno dei responsabili di quell’accampamento: Harit il cacciatore nero.

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La presentazione dell’uomo, giunto in piazza ad Helcaraxe una sera come un’altra, fu ricca di dettagli e povera di prove; certo era chiaro agli occhi del popolo nordico che quella gente catturava e scacciava manipolatori del Flux pericolosi e che erano sulle tracce di un nutrito numero di Streghe intente a preparare qualcosa di forte, un Sabba vero e proprio.

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La diffidenza dei nordici rese la conoscenza lunga e perigliosa: da una parte i Cacciatori, condotti i nordici al proprio campo, chiedevano l’aiuto dei guerrieri esperti di caccia alle streghe dei ghiacci, ma dall’altra questi uomini, diffidenti per natura, continuavano a sostenere le proprie ragioni, a chiedere, ad indagare.
Come a dimostrazione di una sorta di capacità o mancanza di coscienza nell’esecuzione di un uomo, Harit mostrò all’esercito nutrito di nordici, come poneva fine alla vita di un prigioniero, bruciandolo, ma questo scaldò ancora di più gli animi perché l’onore di una battaglia per un nordico non può essere sostituito con un rogo.

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Troppe erano le domande che non avevano risposta ma dopo lunghe descrizioni finalmente l’esercito fu guidato verso l’antro delle temute streghe e lì realmente, riunitesi in numero maggiore del solito, furono interrotte durante un rituale dannoso e violento.
La battaglia durò diverso tempo, nella notte tra i ghiacci risuonavano le risate delle streghe o le loro urla e le invocazioni. Guerrieri di ogni abilità uniti combattevano, non senza momenti di difficoltà, per eliminare ciò che metteva in pericolo la pace della Baronia, l’essenza dell’Equilibrio, e con armi e fede in fine i nordici ebbero la meglio.

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“Avete portato i loro libri e i loro reagenti così da purificare tutto col grande fuoco che abbiamo preparato?”
Chiese uno dei Cacciatori Neri che attendeva i nordici al campo intento a preparare il falò per eliminare ogni traccia di potere di quelle streghe.
Ed i nordici lentamente gettarono tra le fiamme bastoni, grimori, reagenti, cristalli, perfino vesti alimentando il vivido fuoco nei pressi delle tende dei cacciatori.
Quel lento sfrigolio dei materiali in combustione riempiva il silenzio dei presenti e sottolineava qualcosa che pareva ancora incompiuto.

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Non passarono infatti molti giorni che un vecchio nordico, errante della Baronia, giunse malconcio sull’isola di Helcaraxe portando notizie: quei Cacciatori Neri si erano rivelati necromanti, intenti a preparare un rituale nei pressi dei misteriosi Tumuli, e alcuni cacciatori insieme a qualche nordico avevano provato a fermarli.

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Nello scontro un cittadino di Helcaraxe, Ubbe dei Mauler, era caduto e sembrava non tornare dal mondo degli Dei ed inoltre la diffidenza nordica aveva avuto un fondamento: i nordici erano stati usati per allontanare le Streghe e permettere agli Stregoni di agire indisturbati.
La furia del Kunnigr Thorgad, che aveva appena scoperto di aver forse perso il suo più prossimo nipote, era tangibile nel suo sguardo. Victoria cercò di calmare il cacciatore che aveva portato le notizie ed era molto ferito, ed intanto teneva d’occhio Thorgad che dalla furia dell’Orso sembrava quasi venir sopraffatto. Gli uomini e le donne fremevano, le asce erano state sfoderate e Danu ed Aengus erano stati invocati. La valanga di guerrieri si stava già precipitando in Baronia alla ricerca di quegli uomini.
Quando giunsero trovarono davanti a loro uno scenario incredibile: al centro dei Tumuli, tra le antiche tombe misteriose, un gruppo di neri Stregoni invocava qualcosa e animava una sfera carica di energie
magiche tra le pietre tombali. E i Cacciatori Neri erano tra di essi.

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Qualcosa si stava risvegliando o stava prendendo vita. Dopo un primo momento di sbigottimento i nordici si ritrovarono circondati dalle creature che si erano animare: immense schiere di guerrieri nordici non morti, possenti e forti.

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La lunga battaglia mise alla prova i figli del Nord, risugellando col sangue e con il sudore, il patto di Kurdan: difendere il nord come unico clan. Questo però non bastava ad allontanare quell’oscura minaccia, perché sgretolati gli scheletri guerrieri animati, rimaneva un’energia percepibile, proveniente dai tanti tumuli che ora apparivano aperti.
Steli con incisioni, rune, oggetti ad adornare sarcofagi, come sepoltura inusuale per le tradizioni del nord, eppure così vive e precise nelle loro disposizioni, tanto da attirare l’attenzione dei più riflessivi per poter comprendere… Victoria si aggirava tra i tumuli insieme agli altri, scambiando idee, dubbi ed impressioni. Certo era che qualcosa sembrava collegare tutte quelle tombe, nei meccanismi interni che si potevano azionare, forse per consentire l’accesso al tumulo principale ancora sigillato.

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Venicius il Vargos urlava ordini e poi il Guardiano diede il segnale: avrebbero agito tutti insieme per portare a termine quella prova nei vari tumuli. E ci riuscirono! La tomba più grande si disvelò ai loro occhi: su un pavimento con l’effige dell’Yggdrasil vi erano armi, monete, tesori e poi un sarcofago di pietra con su un’ascia nera… ma i nordici non ebbero il tempo di esaminare nulla perché il guerriero non-morto ivi tumulato afferrò l’ascia e rianimandosi lì attaccò con una potenza come quella di 100 guerrieri nordici! Un esercito di nordici non-morti li investì, e i figli di Kurdan si ritrovarono ad affrontare un nemico che aveva origini in quella stessa tradizione e terra in un crescendo di asciate, invocazioni, urla e coraggio!

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La battaglia, che coinvolse tutti e mise a dura prova la resistenza di quell’esercito, richiese tutte le forze dei nordici e dei Gael del Circolo che insieme a Gork lo Djaredin, erano lì per proteggere quelle terre. Uniti combatterono ed insieme, sfiancati e stremati, raccolsero il proprio coraggio e la propria fierezza intorno al corpo del nemico abbattuto. Le spoglie invece del guerriero che aveva difeso da solo quelle terre, Ubbe dei Mauler, giacevano prive di vita, gli Dei non lo avevano riportato in Ardania, Aengus e Danu lo avevano richiamato nel Valhalla, perché il suo tempo era giunto. Sarebbe stato onorato, così da scongiurare il suo viaggio verso le Lande Grigie.

In tutto quel frastuono di urla e di armi, di animali da guarire e fratelli da incoraggiare, qualcosa però tuonava prepotente nella mente di Victoria, che tornata nel grande tumulo tombale, prese a riflettere sui segni che lì scorgeva, insieme ad Herger e a Thorgad. Perché quella sepoltura, e chi era “Il Clan Dimenticato” di cui si leggevano le iscrizioni su quelle pietre tombali?

Il rientro sull’Isola di Helcaraxe fu lento e silenzioso, molti erano i pensieri. Troppe cose erano ancora da capire o da riscoprire, e anche se il nemico sembrava abbattuto, gli Stregoni erano comunque sfuggiti e i Tumuli avevano aperto l’accesso al proprio contenuto, non certo alla propria storia che andava ancora ritrovata.
Victoria sostenne Thorgad che era pronto a portare il corpo del proprio nipote nella Valle degli Dei, perché fosse esposto sotto le stelle del Nord. Il vento sembrava più tagliente del solito e i vecchi Harald coi Sagarth dell’Hugr Rath si presero subito cura delle spoglie del Guerriero.
Un rituale funebre sarebbe stato presto compiuto e anche un nuovo viaggio verso quei misteriosi Tumuli.

Ma questa sarebbe stata certamente un’altra nuova storia.

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