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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Kami'la
#8213
Un'altra giornata di duro lavoro stava per concludersi nelle Terre Selvagge. Artiglio definiva stancamente una commessa affidatagli mentre Rubina che si stava lentamente riprendendo dalla lunga malattia, sistemava le sue cose accumulatesi nel tempo. Le solite urla di Bruko lasciavano intendere che la pesca era stata proficua mentre io mangiavo un boccone sottratto alle leccornie di Artiglio. Improvvisamente rumore di zoccoli e sferragliare di armature si udirono oltre la porta della locanda, Bruko si precipitò all'esterno e dopo qualche secondo, incuriositi dallo strano silenzio del nordico, lo seguimmo.
Un uomo agghindato di tutto punto da sembrare uscito da un racconto di fiabe, seguito da una scorta di tre guerrieri sferraglianti e due muli carichi di ogni bene, fu quanto si palesò ai nostri occhi, credevo di aver visto proprio di tutto in questo angolo sperduto di Ardania, ma un “mercante di classe” come egli stesso amava definirsi, non si era mai visto. Visibilmente disgustato dal luogo in cui era finito, arrogante e spocchioso, iniziò una sua speciale conversazione a volte interessante, più spesso fastidiosa, a tratti divertente, ma di sicuro originale.

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Il suo nome era Frederic Jeannot e come tenne a sottolineare, si pronunciava dolcemente:
“badate bene che non ho detto Frederik, non ho detto Frrederik, non ho detto FFrederik, ho detto Frederic e Jeannoth come Jean la danzatrice”
Dunque FFrrrrrederik, come ovviamente iniziammo a chiamarlo, dopo aver cercato invano di testare la nostra avidità e il nostro attaccamento ai beni materiali, ci fece una proposta.
Ci saremmo scambiati delle sacche senza che l’uno conoscesse il contenuto della sacca dell’altro e solo dopo esserci separati, avremmo scoperto, sia noi che lui, se lo scambio fosse stato onesto e vantaggioso.
L’aspetto ordinato e distinto, le mani pulite e curate, la chioma morbida e lucente (cera d’api ed essenza di unicorno ha detto! Chissà se funziona davvero) non potevano appartenere ad un ladruncolo mistificatore e così, lasciata da parte l’idea di riempire la sacca con le esche del pescatore, procedemmo ad uno scambio onesto.
Presa la nostra sacca si dileguò alla volta di Tremec dove, diceva, era aspettato per grossi affari; nella sua un mucchietto di monete, tre pale e la mappa di un tesoro che ci conduceva nella famigerata palude dei ragni.
Ci toccava di nuovo scavare dunque, la stanchezza era ormai passata lasciando spazio alla curiosità e alla voglia di avventura. Equipaggiati in un baleno, raggiungemmo di corsa la palude.

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Ad accoglierci ragni eterei e vedove nere, la lotta fu lunga ed estenuante, il loro veleno, prontamente debellato grazie all’intercessione della dea, mia prediletta, ci lasciava spossati, Bruko diceva di avere delle visioni strane, io non riuscivo a togliermi la strana sensazione che qualcuno ci fosse alle costole senza farsi notare, provavo una sensazione di disagio che peggiorò presto non appena la palude iniziò a ribollire. Da quelle bolle putride e maleodoranti si sprigionavano orde di moscerini dalle bocche taglienti come lame e fu solo grazie alla maestria di Bruko e all’agilità di Artiglio che potevano essere debellati col fuoco.

Quando tutto sembrava essersi calmato riuscimmo finalmente ad estrarre il tesoro, un bel bottino che sicuramente valeva lo scambio con Frrrederik, ma quella sensazione di disagio non ci abbandonava, in alcuni momenti percepivo come un’ombra guizzante tra le fronde che si perdeva non appeno la cercavo meglio focalizzando lo sguardo.
Alla fine apparve, l’uomo della palude. Completamente nudo, con un perizoma che gli copriva le parti intime, aveva ogni parte del corpo tatuata con strani simboli tribali, era seguito da un tentacolo e circondato da moscerini che non gli facevano alcun male.
Sembrava molto spaventato e cercava di tenerci lontani con un bastone, provando ad avvicinarci, con un balzo rapidissimo si allontanava, ma non sembrava ostile, anzi con ampi gesti ci mise in allarme al sopraggiungere di una vedova nera gigante.
Cercavamo tutti di comunicare con quell’uomo, ma si esprimeva a gesti, gesti incomprensibili come mostrarci i piedi fangosi o cospargersi il viso del fango della palude o peggio, prelevare un liquido vischioso dalla corteccia di un albero e portarla alla bocca.
Non rispose a nessuna delle nostre domande, prima di sparire dalla nostra vista con un balzo repentino mormorò soltanto tre parole: “la mia casa”. La palude smise di ribollire e tutto rientrò nella normalità, rientrammo al Rifugio con tanti dubbi e una storia in più da raccontare.

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By Seer Zucca
#9770
Un uomo avanza nell'acqua melmosa, trascinando le gambe sommerse sino alle ginocchia.
Anelli verdastri gli cingono le gambe a varie altezze. Il corpo è coperto da strani tatuaggi. Stretto in pugno tiene un lungo bastone di legno che usa per sondare l'altezza dell'acqua.
Nonostante l'ambiente inospitale l'uomo sembra muoversi con disinvoltura, perfettamente a suo agio. Ogni movimento è silenzioso, sicuro e sembra frutto di una tecnica perfezionata in moltissimi anni.

Attorno all'uomo ronzano in una danza elegante enormi sciami di insetti che sembrano non infastidirlo. I suoi occhi scrutano tutto attorno ed i suoi sensi sono all'erta come quelli di un cacciatore. L'espressione dell'uomo è pensierosa, egli appare profondamente combattuto tra i pensieri che lo abbuiano ed i sensi vigili che lo mantengono ancorato a quell'ambiente.

Quando giunge in prossimità di alcune costruzioni, si accuccia dietro ad un tronco a pazientemente scruta tutto attorno. Le pattuglie di uomini lucertola che transitano di la sembrano nemmeno notarlo talmente il suo legame con il luogo è forte. Non sembrano nemmeno attirare la sua attenzione, egli tiene lo sguardo fisso su quel luogo, aspettando il momento opportuno.
Nonostante l'ora sia quella pomeridiana, alcuni uomini si affaccendano tra le costruzioni, transitando e rimandando più volte il suo piano.

Infine in un momento animato unicamente dal suono della palude, l'uomo scatta verso le costruzioni. Da una strana borsa di cuoio appesa al petto estrae qualcosa. Si guarda attorno guardingo, infine posa l'oggetto e torna sui suoi passi, voltandosi di tanto in tanto ed affrettandosi verso l'acqua stagnante entro la quale presto fa perdere le sue tracce.

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By Kami'la
#10798
La vita continuava con la sua monotona quotidianità al rifugio e l’uomo della palude divenne presto solo un ricordo. Con gli eventi successivi nessuno ebbe più tempo di pensare a lui.

Ciascuno dei ramjalar era indaffarato con le proprie ricerche e attività, il silenzio era rotto solo dal gracidare dei rospi e dalle urla di Bruko ogni volta che la pesca si rivelava proficua. Fu proprio mentre Bruko staccava dall’amo la sua preda più grossa che una strana pergamena, cadendo da un albero, finì dritta nel suo cesto ricolmo di pesci.

La pergamena verdastra e umidiccia era intrisa dell’odore della palude, su di essa, disegnati probabilmente con un dito sporco di melma, un omino che dopo aver bevuto restava sdraiato come morto, accanto ai disegni due parole con scrittura incerta e tremolante: PERICOLO! AIUTO!

L’amico nordico non perse tempo e mise subito al corrente i raminghi, qualcosa non andava nella palude, e forse quei disegni erano opera del loro strano amico. Purtroppo presto i sospetti ebbero conferma poiché numerose creature della palude, intrise di un liquido violaceo, mefitico e tossico si riversarono al rifugio decomponendosi appena abbattute e liberando nell’aria i loro gas venefici. A nulla valsero i tentativi di Artiglio di raccogliere quella gelatina viola con l’intento di studiarla, pareva mortale anche senza respirare e maneggiandola con dei guanti, come se trapassasse la pelle, fino a quando non si disperdeva nell’aria.

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Gli attacchi continuarono sporadici per qualche giorno, poi Kolbert, questo il nome dell’uomo della palude, si rivelò al prahla Artiglio. Quasi stupendosi del suono della sua voce, chiese aiuto, ma i poteri del druido non parevano essere sufficienti, per poter trovare il male che attanagliava la palude c’era bisogno di chi manifestava una profonda sintonia con quegli esseri, fu allora che Artiglio si rivolse agli amici druidi della jungla selvaggia.

Mewah e Orgad non si fecero pregare e dopo averli messi al corrente della situazione, promisero di tornare al successivo calar del sole.
I due qwaylar, i prahla druidi Artiglio e Bowen, il caro amico Yoren, lo stesso Bruko tornato appositamente dalle terre dei ghiacci dove aveva fatto ritorno solo qualche giorno prima, tutti sotto lo sguardo vigile di Lithe, si inoltrarono nella palude in cerca di indizi.
Fatti pochi passi all’interno della zona paludosa il gruppetto scorse una figura immersa nella melma fino alla vita, intorno ad essa il fango sembrava ribollire, guardava tutti indeciso e diffidente, ma alla fine il suo sguardo si posò su Artiglio, riconoscendolo parve rilassarsi e con voce tremolante iniziò a raccontare.

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Tutto era iniziato una sera, come sempre si era cibato di licheni, ma quella volta, non appena ingeriti aveva cominciato ad avere sussulti e visioni, aveva cominciato a perdere l’orientamento e il contatto con la realtà fino a ritrovarsi sperduto nella sua stessa casa.

Era convinto che la palude fosse ammalata e pregò di aiutarlo, seguendolo nel cuore stesso della palude per scoprire insieme la causa. Il variegato gruppo non si fece pregare, i Ramjalar convinti di dover proteggere il Rifugio, i qwaylar che provavano grande empatia con il selvaggio bianco che avevano di fronte. Nel mentre giunse anche l’amico dell’ordine della Quercia, Isaac, sempre pronto a dare una mano.

Inoltrandosi nella palude le cose divennero davvero più difficili, tutti perdevano il senso dell’orientamento, l’aria che respiravano li induceva a non riconoscere niente intorno a loro come fosse la prima volta che si avventuravano in essa e soltanto con la loro forza e determinazione, senza mai dividersi e procedendo uniti, riuscirono a ritrovare la calma e procedere fino al vero cuore della palude. Tutti ebbero l’impressione di venirne risucchiati ritrovandosi in uno stranissimo posto pullulante di sciami di insetti e strani funghi.

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Prudentemente, sotto la guida di Kolbert che acquistava sempre più fiducia e coraggio, arrampicandosi su altissimi alberi e valicando rocce a strapiombo giunsero in una radura infestata da esseri di ogni tipo. Un combattimento serrato ed estenuante iniziò, coordinato dalla qwaylar che, pur minuta e all’apparenza gracile, dimostrava grandissime doti da condottiero portando, non senza fatica, il gruppo alla vittoria.

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Ammassi informi, Creature appestate, Fittoni fetidi, Massacratori di palude, tutti furono debellati dalla forza e dal coraggio dei druidi e dei ramjalar finchè, spossati e ormai indeboliti, non udirono Mewah urlare: “Qui stace liquido che uccide palude!”. In effetti, da una crepa su una roccia fuoriusciva un liquido viola e maleodorante che emanava vapori tossici avvelenando chiunque provasse ad avvicinarsi. Fu allora che Kolbert ebbe l’idea di chiudere il buco con un masso e con le poche forze rimaste un enorme sasso venne spostato fino a tappare quella crepa velenosa nella montagna.

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Ormai esausto, l’impavido gruppo venne guidato da Kolbert verso l’uscita, egli era grato e felice per la riuscita dell’impresa, la sua casa era salva, così ringraziando corse via per la sua strada. Così fece tutto il resto della compagnia, sfinita, ma felice di aver preservato ancora una volta l’equilibrio delle cose della natura.

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