
Le luci della sera si allungavano sulla distesa erbosa che circondava le solide mura della fortezza del Sacro Verbo. Era il 4 madrigale dell’Anno Imperiale 272. La pallida luce della luna si apprestava a rischiarare la via a tutti i cavalieri, intenti nei preparativi per affrontare un grande male, una piaga virulenta tra le terre del continente umano. Si preparavano, dunque, a sfidare ancora una volta la corruzione che non chiude mai occhio, che sempre scruta, spia e che disfa, rintanata in un luogo ove non vi è amore, solo odio, violenza ed annientamento. Le surcotte scintillavano, quasi rischiarando le tenebre, i portatori di esse pronti a spezzare tale oscurità, sviscerare le tenebre dalla cattedrale maledetta una volta per tutte.
Quando tutto fu pronto i cavalieri si schierarono sotto la guida di Dan Argard. Qualche attimo prima della partenza il Guardiano del tempio Ravy Gart recitò una preghiera agli dei giusti lodandoli ed invocando ancora una volta il loro aiuto affinchè il loro volere e la loro gloria giungessero anche negli antri più oscuri.
Poche parole, cariche e solenni, prima della via. In un silenzio altrettanto solenne i Cavalieri dell’alba spronarono i destrieri alla volta del lago.


Il gruppo si muoveva come un singolo essere, ciascuno partecipe del silenzioso ondeggiare. Gli occhi di Sennar erano quelli di tutti, sempre vigili a controllare che nessuno li seguisse e li spiasse. Usciti dai territori del monastero, i cavalieri allacciarono gli elmi ed impugnarono le armi. Il rumore degli zoccoli, ritmico scalpiccio sulla terra battuta, rompeva la quiete delle terre hammin. Nessun ostacolo od avversario di fronte ai cavalieri, non vi furono soste, ed in ogni caso niente avrebbe potuto fermarli, niente avrebbe potuto distrarli, farli desistere dalla loro missione e destinazione, il luogo che troppo aveva creato scompiglio nel continente umano e troppe sette aveva ospitato dell’oscuro. Giunsero dunque alla meta.
Lasciarono i cavalli in un luogo riparato ed entrarono nel cunicolo che portava all’isoletta della cattedrale, subito trovandosi di fronte una schiera di non morti che non persero tempo a farsi avanti, come fossero gia` pronti alla venuta dei cavalieri. Gli immondi versi delle creature vennero sovrastate dal clangore delle armi e dalle voci dei sacerdoti che invocavano i Giusti Dei, molto presto gli esseri non morti furono distrutti. Con forza e decisione Alexandros spalancò le porte della cattedrale, avanzando in testa ai Cavalieri. Ripulita l’ampia sala dall’infestazione, Ravy Gart, mastro carpentiere, iniziò ad osservare la struttura con grande scrupolo per cercare di capire quali erano le colonne portanti e dove piazzare l’esplosivo.

Quando le misurazioni furono completate, i cavalieri discesero con sicurezza nei sotterranei, dove la vera battaglia ebbe inizio. Lich, scheletri, piccoli demoni ed altre ignobili creature erano li ad attenderli. Con coraggio ed ardore i cavalieri si fecero strada ed annientarono tutto ciò che tentava di sbarrare loro il passo. Niente sembrava potersi opporre ad essi, protetti dall’indistruttibile scudo della Fede che li univa, lo scintillio delle armi e la purezza delle voci riempì ogni cunicolo, fino a che l’unico rumore rimasto era il sordo tonfo dei colpi che Ravy Gart sferrava sui muri, alla ricerca dei punti deboli, i nervi di quell’immondo sotterraneo da distruggere e seppellire. Marchiati i punti deboli, rimaneva solo da scendere ancora più in basso, fino al luogo ove si nascondevano i Demoni. Dart, giovane postulante del monastero, studente delle arti del mimetismo, si introdusse tra le ombre per scoprire che cosa li attendesse. Egli risalì terrorizzato e riferì che un grande demone era giù con l’aria di attenderli, un demone di quelli che non si vedono spesso vagare per Ardania, nemmeno nei suoi cunicoli più empi, uno molto più grande di tutti gli altri... e di enorme forza. I cavalieri mondarono le armi e si prepararono, attendendo l’ordine di Dan, a scendere per trafiggere l’immonda creatura.

Ad uno ad uno si spostarono al piano inferiore, aggirando la stanza centrale nella quale il demone si era appostato nella vana speranza di coglierli di sorpresa. Protetti dall’impenetrabile forza della fede i sacerdoti invocarono i Giusti Dei mentre Dan attirava l’attenzione del demone, conducendolo verso la rovina.

Lungo e cruento fu lo scontro, ma alla fine il demone cadde. Si inizio` quindi a piazzare le cariche esplosive. Rapidamente, tutto venne preparato. I cavalieri risalirono in superficie e, dopo aver piazzato le cariche su tutte le colonne portanti della cattedrale, approntarono una grande miccia fino al portone dell’ingresso principale. Sul prato dell’isoletta si preparava il piano per la via di fuga e si pensava a come far innescare il meccanismo a catena che avrebbe infine distrutto ogni cosa.

Ravy gart aveva approntato l’arrivo di una nuova imbarcazione per portare tutti in salvo dall’isola prima che fosse troppo tardi. Il legno, ancora fresco di lavorazione, fu benedetto. Ora rimaneva solo una cosa da fare, ovvero dare fuoco alla miccia. Felicya piantò una torcia nel terreno, mentre i suoi fratelli cavalieri presero posto a bordo dell’imbarcazione. Lei sola rimase sull’isola per scoccare la freccia che avrebbe fatto partire l’esplosione. Felicya si chiuse in preghiera per qualche istante, chiese al misericordioso di aiutarla e sostenerla in questo compito così pericoloso. La vita dei cavalieri e la fine di quella cattedrale erano legate a quella freccia odorosa di zolfo.

Ne accese la punta sul fuoco vivo della torcia e chiuse un occhio per poter prendere la mira una volta incoccatala. Trattenendo il respiro e rilasciando lievemente le dita, scoccò la freccia ardente sul capo della miccia. Salì a bordo e i cavalieri si diedero alla fuga verso l’opposta riva.
Pochi attimi, intensi, di silenzio, la paura che la freccia non avesse trovato il capo della miccia. Poi, una potente esplosione ruppe la quiete. L’esplosione che simboleggiava ed indicava la distruzione della cattedrale e dei suoi sotterranei. I cavalieri si inginocchiarono e ringraziarono gli Dei Giusti per la loro bontà ed assistenza. Ora, ancora più di prima, su Ardania il sole avrebbe potuto risplendere.

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