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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Victoria
#14483
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Un piccolo masso rotolò dal merlo di una torretta delle mura di Amon, destando la sentinella da uno stato contemplativo che sapeva più di noia che di battaglia. Seguendo quel movimento con lo sguardo, si lucidò l’armatura sul petto e si guardò intorno: la Guerriera appariva silenziosa, intiepidita da un alito di vento primaverile, mentre un manto Cremisi sembrava giungere da lontano.

“Sono il Console Ek aprite!” Urlò Victoria ma aggiungendo un sorriso alla sentinella che la salutò con rispetto.

I grandi cancelli poi si chiusero e la giovane donna giunse nella piazza dove da alcuni giorni si erano susseguite una serie di strane vicende, tanto da impensierirla e turbarle lo sguardo solitamente pacato. I lunghi capelli biondi oramai avevano lasciato spazio a nera chioma, lucente come ali di un corvo, dandole un’aria un po’ più matura forse e sicuramente meno spensierata.
Il chiacchiericcio lasciò il posto ad una grande preoccupazione per cose di maggiore importanza: i demoni avevano iniziato a muoversi in modo stano, sotto la superficie della terra a Samsara e per i cieli. Notizie dagli eracliani di quel lontano villaggio parlavano della caverna dei demoni chiusa, impenetrabile e di movimenti di truppe demoniache mai viste prima. E poi quei demoni esploratori, addirittura capaci di mappare interi regni, una situazione che seminava incertezza e spingeva le genti ardane o a esplorare intrepide, o a rinchiudersi dietro alte mura e cancelli sperando nella buona sorte. Ma non Victoria, la Sommo Templare, e non diversi dei suoi fedeli allievi o fratelli di giuramento, perché soccombere alle vicende per alcuni animi è impossibile, e serve l’azione, risolutiva o meno che sia.

Di questo chiacchieravano in piazza quando il rumore di passi marziali e cadenzati li fece zittire: era Valorium Darkbane, signore della Guerriera, Imperatore di Amon con al seguito i suoi Pretoriani.
La Console Victoria chiamò la riga davanti al sovrano e si mise anch’ella sull’attenti.
Ciò che accadde da quel momento in poi fu come una lama adamantina che trancia di netto un candido vessillo per farne due differenti che solo la storia potrà decretare come sventoleranno, e se all’unisono.
Il volto di Valorium era corrucciato, Victoria lo aveva visto così diverse volte nei colloqui privati o meno degli ultimi giorni, si comprendevano guardandosi negli occhi perché li legava un giuramento, la Lex, il patto di collaborazione, regole non dette, l’onore. Lei lo ascoltò con la solita fierezza e lui parlò.

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“Mi ha appena scritto Giulius mio figlio, egli conduce oramai da diverso tempo delle ricerche, che hanno a che fare con molte cose che stanno accadendo. Ha bisogno di aiuto e non posso pensare a nessuno meglio che a te Console Ek per questa missione che richiederà un alto sacrificio, per un bene supremo. Amon anche attraverso la tua opera ne beneficerà, perché la nostra città possa contribuire ad una causa superiore come in passato non è avvenuto.”

Victoria rimase per un po’ frastornata, come un colpo allo stomaco, che ti fa quasi barcollare, quelle parole la immobilizzarono. Giulius? Dove era il vecchio Dictator e perché? Poi ancora il sentimento dell’onore, dell’obbedienza, del giuramento la fecero rispondere prontamente.

“Sono al vostro servizio mio signore, della Guerriera e di Giulius, sono pronta, ditemi ciò che devo fare.”
Sentiva dietro il silenzio assoluto, gli amoniani e i viandanti in piazza in perfetto e disciplinato schieramento.

“Dovrai farti seguire da chi riterrai, non è una cosa che potrai svolgere senza un manipolo di fidati.” Sentenziò l’Imperatore Darkbane e Victoria si voltò per fissarli tutti.

“Leoni, fratelli di giuramento, non posso dirvi più di quanto ho appena udito anche io, chi vuole seguirmi ha la mia fiducia, chi non lo farà avrà il mio rispetto. Ma la via di un Templare è anche quella di muoversi per una missione superiore che non dà spazio a ripensamenti per le rinunce. Perciò io stanotte partirò.”

E mentre Victoria si domandava, forse, nell’animo suo cosa sarebbe accaduto da lì a poco e quanto avrebbe dovuto lasciare ad Amon, osservò moltissimi farsi avanti manifestando fiducia ed intenzione a seguirla.

“Avete avuto sempre la mia fiducia signora, siete la nostra guida ad Amon, vi seguiremo senza indugio per la missione.” Disse qualcuno tra i presenti.

“Sarete dispensati dagli obblighi di Lex, Console Ek – continuò Valorium – e del Cremisi perché dovete essere liberi di agire senza costrizioni che potrebbero imporvi di rientrare ad Amon, secondo le necessità. Un sacrificio per un’alta causa che ha a che fare con Ardania tutta.”

I demoni… il cambiamento delle cose, l’equilibrio a tutti i costi che però rischiava di farne morire altre. Seguire la Lex... le Otto virtù… ma in fondo quella sera pareva mancarne una da quell’elenco. Il Sacrificio, la Nona Virtù, che vide disegnata negli occhi di quegli uomini e donne amoniani, più preparati e anziani alcuni, più inesperti e insicuri forse altri, mentre si sfilavano il Cremisi e lo riponevano con serietà nelle mani dell’Imperatore.

“Giulius vi aspetta al Picco dell’Aquila, sarete ospiti di Gartax il Saggio finché sarà necessario.” Concluse Valorium e Victoria non ebbe dubbi, si sfilò il Cremisi, e sentì quei due anni di dovere, conquiste, Leoni e Virtù, scivolare via come un peso ma anche come un caldo abbraccio e il suo spirito pianse. Aveva compiuto ciò che si era prefissata, un nuovo tempio era perfino sorto e Amon era adamantina e forte.

“Dovrete stare via per molto tempo amoniani, ma questa resta la vostra casa nel cuore.” Concluse Valorium, mentre altri appena giunti si informavano sull’accaduto.

Schierati in perfetto rigore, senza il Cremisi sulle spalle, preso ciò che era più necessario, Victoria e quei prescelti si schierarono per salutare il loro signore e i fratelli di Amon, dopo qualche abbraccio e messaggi lasciati a voce per il Primo dei Legionari.

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La traversata verso le nevi fu veloce, i cavalli scalpicciavano spronati da quel manipolo di uomini senza insegne guidati da una giovane donna dallo sguardo liquido di lacrime e fierezza. Le nevi erano candide e sapevano rilucere perfino nella notte, come un morbido velo li accompagnava facendoli scivolare fino al Picco che si presentò davanti a loro imponente, silenzioso, immutato.

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Si rifugiarono nella locanda, cercando di scaldarsi le mani nella piccola taverna, scrollandosi di dosso la neve, il timore e forse anche la malinconia. Amon non era mai sembrata così lontana come quella notte, eppure quella missione, ancora tanto misteriosa, li univa, li rendeva ancora più alti o fieri se fosse stato possibile. Uomini e donne della Via Templare e della Via Militare, giovani cittadini e perfino due avventurieri amici degli amoniani si erano ritrovati lassù in quel silenzioso villaggio governato dal Saggio.
Finché la porta si aprì, spalancandosi al freddo della tormenta che si era alzata fuori. Un uomo dalle larghe spalle e con indosso delle pellicce pesanti si presentò a loro. Victoria lo riconobbe subito, da piccola aveva visto la sua opera come Dictator e Imperatore, nella risoluzione di momenti critici per l’Impero. Era Giulius Darkbane ma diverso nello sguardo, nel sorriso, come se quel peregrinare per anni lo avesse cambiato profondamente. Al collo riluceva un simbolo sacro, nello sguardo profondi sentieri di storie inimmaginabili. Le rughe dell’età e delle emozioni. Giulius li accolse come se da sempre si fossero conosciuti, anche se molti ne conoscevano solo il nome.

“Mio signore, Giulius, sono la Console Ek, Victoria, io e i miei protetti siamo al vostro servizio, come ci ha chiesto vostro padre.” Disse la giovane donna presentandosi come era solita fare ma pensando subito che quei titoli erano scivolati via insieme al Cremisi e l’unica cosa che le rimaneva addosso era l’essere stata qualcosa in un amato luogo.

Lui con fare cordiale, sistemata altra legna nel camino, li mise subito a loro agio. Molta di quella rigidità amoniana sembrava sparita da quei modi, per dar posto a qualcosa di misterioso, affascinante, incomprensibile.

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Parlò di alcuni studi e di altre cose che avrebbe condiviso con loro nei giorni seguenti. Li rassicurò del consenso di Gartax di stare lì e consigliò a tutti di cercare di adattarsi a quelle nevi e a quella sistemazione che era tutt’altro che le comodità e gli sfarzi della Guerriera. Non sarebbe stato per sempre ma per qualche tempo.

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Victoria scrutò nelle espressioni dei presenti ed ebbe quasi paura di scorgere la loro insicurezza, ripromettendosi di rispedire ad Amon questi per evitare che le loro viste si spezzassero. Tuttavia, non trovò alcun tentennamento e così fu anche l’indomani, quando forti e stretti nei loro caldi mantelli di pelliccia, per la prima volta li guidò in una spedizione.

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La Nona Virtù, il Sacrificio, li aveva uniti.
Nel nome della Missione!



[continua]
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By Victoria
#15537
La bufera quel pomeriggio si era intensificata, al Picco dell’Aquila era impossibile rimanere fuori a meno che di non spaccarsi le labbra e congelarsi ogni arto.
La natura era impietosa.

Un gruppo di uomini e donne si ritrovò nella piccola baita che faceva da locanda, appannando i vetri delle finestrine, e lanciando enormi ciocchi nel camino, cercando di scaldarsi le punte delle dita quasi viola e distendere i volti contratti dal freddo. Qualcuno di loro aveva con sé dei biscotti, li distribuì per rifocillare la compagnia di avventurieri, altri ridevano raccontando aneddoti, altri ancora in silenzio fissavano Giulius Darkbane leggere, oppure socchiudevano gli occhi persi in chissà che pensiero. Quest’ultimo era l’atteggiamento di Victoria, silente, aggrappata quasi ad un bastone di candido legname, cercava nelle spire del fuoco qualche segno o un’idea. Molte cose le tornavano alla mente, della sua casa, della sua infanzia, molte domande si intrecciavano, non trovavano risposta, un garbuglio di ricordi, discorsi, cose che lentamente andavano incastrandosi costruendo uno strano disegno.

Poi la porta si spalancò.

Insieme a copiosi fiocchi di neve, sospinti dal gelido freddo nordico, nella stanza entrò anche uno strano uomo, di pellicce ricoperto, con un copricapo dalle lunghe corna, gli occhi chiarissimi come il ghiaccio che si forma sui laghi nordici, i lunghi capelli biondi e la voce calma. Cercava riparo, come tutti, eppure il suo sguardo, i modi, i discorsi incalzanti, lo resero subito il centro dell’interesse di quel gruppo di avventurieri.

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“…per sopravvivere a questo luogo dovete iniziare ad osservare e a comprendere, qui vigono leggi diverse da quelle dei grandi regni.”

Disse ad un certo punto il nordico, sfidandoli quasi a raccontare le loro paure, fatte di scarsa conoscenza della vita nordica, delle incertezze per le abitudini appena strappate via. Deboli come se tutto fosse ora in discussione. Poi l’invitò ad uscire, la bufera si era calmata e tornarono davanti al grande fuoco del Picco.

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“La vita qui si regge su un equilibrio che da queste parti è confrontato con grandi sbalzi di potere, basta un albero che cade, il terreno frana e le case rotolano a valle e con esse molte vite; basta una valanga causata da una capra, bastano due notti di vento e neve e basta legna bagnata, un fulmine. Qui tutto è severo e forte, primordiale!”

Il nordico, che sembrava sempre più un eremita, o un druido, oppure un vecchio guerriero, o ancora uno spirito nelle loro menti, li catturò coi suoi discorsi, superando perfino l’iniziale diffidenza di qualcuno del gruppo.

“Non dovete sottovalutare niente di questo luogo! Il vento si sta spostando, presto gli uccelli torneranno a volare, nonostante la neve cadrà copiosa. Ditemi, volete far parte di questo equilibrio?”

Un po’ tutti annuirono, come se quello strano discorso nelle loro menti si facesse strada, per dare un senso al tutto.

“Dovete imparare a sopportare il peso delle cose che stanno intorno a voi, se il ramo non sopportasse il peso della neve, questo schiaccerebbe i rami sotto a lui e l’albero crollerebbe alla fine. Un ramo invece sta al suo posto con fierezza e onore…”

Continuò quello strano uomo, parlando loro del concetto nordico dell’Equilibrio, il Livmor, e poi infine della nidificazione degli uccelli della neve… e del modo relativo di vedere le cose. Chi erano veramente i ribelli? Chi era veramente il giusto, lo sbaglio?

E prendendoli in questa confusione di domande, quel nordico estrasse una mappa arrotolata dalla propria bisaccia e la posò a terra, indicando col bastone nodoso un punto preciso. Raccontò di come arrivarci, di cosa evitare e gli spiegò il perché. Dovevano imparare a far parte di quella parte di Ardania, dei suoi pericoli e soprattutto dovevano cimentarsi col loro nemico: i demoni. Uno strano compito che però sembrò la giusta occasione per unirsi come gruppo, una compagnia che sorgeva da una radice a tratti comune, ma che andava scemando, per far nascere qualcosa di nuovo.

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Il nordico li radunò a sé conferendogli uno strano dono, una sensazione di caldo, di pace, poi sparì in uno strano incanto di luce e ghiaccio, e Victoria sentendo la decisione in quei combattenti, li invitò a prepararsi rapidamente.

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Sorvolava su di essi qualche rapace, gracchiando, emettendo strani versi, e così fu per tutta la traversata nelle nevi, tra zoccoli che affondavano, labbra secche, baveri di pelliccia alzati fino alla cima dei capelli, fino all’antro dove erano diretti.

Seppure per molti era un luogo conosciuto, quel pomeriggio l’antro demoniaco dei ghiacci sembrava diverso: le urla e gli stridii delle rocce erano più vividi e il demone sembrava attenderli. Li provocava, li cercava, li metteva a dura prova continuando ad inviare suoi emissari. Victoria guardò i due giovani guerrieri e parlò loro con il cipiglio che era oramai innato quando doveva condurre degli uomini alla battaglia:

“Lo so che non avete ricevuto l’addestramento necessario, e che la sola cosa che vi sembra ora di possedere è l’elsa della vostra spada. Ma non è così. Poveri di tecnica ed esercizio, siete però pieni di forza di spirito, di quella spinta necessaria ad un combattente per alzare lo scudo, e pararsi, per poi continuare colpendo. Brenner, mi rivolgo a te, trascorreremo tutte le notti a venire svegli, a combattere e ti accompagnerò a sfidare ogni cosa che desidererai per insegnarti ciò che so, ma oggi, oggi è tempo che tu compia la tua prima prova. Devi condurci, e con te Tiberius."


Il guerriero la guardò, forte di disciplina e serietà annuì e al suo fianco Tiberius prese il suo posto. Ma non erano soli, come una strana visione collettiva, o il ricordo, o l’ardore, la voce pacata di quel nordico pareva accompagnarli, e l’incessante gracchiare di un rapace, un corvo, sembrava sempre più chiaro.
Combatterono per molto tempo tra quelle caverne, non senza incidenti, non senza meraviglia, quando il corvo gracchiava forte e il principe demoniaco in fondo urlava e rideva.

“Vi sto attendendo! Non uscirete vivi da qui!”


E Brenner alzando la sua possente arma urlò, accompagnato da quel suono di un corvo che gracchia e poi canta libero, verso il Principe dei Demoni di Ghiaccio.

“Alti come i Corvi!” Urlò il guerriero, e con lui gli altri, saettando nell’ultima caverna ai piedi del nemico.

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I demoni, la missione, il demone… Victoria si sentì quasi male guardando con occhi diversi quella creatura, cercando i suoi occhi. E poi pregò, come sempre aveva fatto, e stringendo le mani di Sofia insieme trovarono la via per sostenere l’intero gruppo.

Infine ce l’avevano fatta. Non era stata solo una battaglia, ma come un patto, un inizio, proprio tra le macerie della carcassa di un demone in fiamme, subito dopo che Worras gli aveva cavato un occhio. Ed usciti dall’antro il gelido freddo non li ferì, anzi li fece sentire forti e possenti, e lieve come un soffio, le ali di un grande corvo grigio argento, li sfiorò, scivolando via, e lasciando nelle loro menti quel suono, quel ricordo, quelle parole.

“Dovete imparare a sopportare il peso delle cose che avrete intorno…”


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E quando tornarono al Picco, bruciato quell’occhio a testimonianza della loro azione, Victoria li guardò interpretando i segni, e segnando a sua volta le loro fronti con la Cenere della purezza.
Quel nome sembrò a tutti naturale, era stato il battesimo, il principio, il suono del gruppo unito, la benedizione forse di uno spirito delle nevi. L’animale guida, il simbolo di una missione, l’unione.

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Erano diventati Corvi.
I Corvi della Cenere.


[continua]
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By Mimzy
#15728
Erano famose in tutte le Westland le bufere di neve che si abbattevano senza dare tregua ai pochi viandanti di Picco dell'Aquila, e ormai la piccola baita che ospitava il nutrito gruppo proveniente dalla Guerriera si era fatta stretta e assai scomoda, soprattutto per coloro i quali fino a poco tempo fa calpestavano i marmi del tempio di Crom e dormivano su comodi cubiculum di piume d'oca. Avevano deciso di mettere davanti ad ogni cosa la nona virtù, il sacrificio, e lo avrebbero fatto fino all'estremo. Lasciare case, fratelli, madri, campi e ogni sicurezza non li turbò più di tanto, erano certi di farlo per un bene maggiore, sapevano di essere indispensabili, lo aveva richiesto loro l'Imperatore.
Nessuno di loro aveva perso la speranza, sapevano che li attendevano giorni difficili, dove l'insicurezza e la precarietà sarebbero state loro compagne di viaggio, tuttavia erano fiduciosi, nei confronti degli Dei e verso la ormai ex Console Victoria Ek, adesso solo Alto Corvo, colei che guidava quel drappello di uomini verso una meta che nemmeno lei conosceva.

Parse chiaro a tutti che il Picco dell'Aquila, per la sua posizione molto frastagliata e impervia non poteva essere di grande aiuto per il momento, dunque nell'attesa di ricevere ulteriori ordini da Giulius Darkbane, l'Alto Corvo, insieme a Worras Thein, chiesero al popolo Djaredin se i Corvi della Cenere avrebbero potuto trovare momentaneamente un caldo giaciglio nella piccola cittadina di Nuran Kar, non molto distante dal Picco, ma decisamente più confortevole, giacché munita di una locanda e crocevia di di mercanti dovuta alla presenza del fiorente mercato al suo interno. L'Alto Corvo dopo aver ricevuto parere favorevole dai nani, appese un messaggio nella bacheca per comunicare a tutti i Corvi la decisione presa: i Corvi della Cenere si sarebbero spostati a Nuran fino a nuovo ordine!

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Quel piccolo meandro situato in mezzo alle nevi, che si apriva ai famosi cunicoli nanici sembrava la migliore soluzione, altresì l'ospitalità del popolo Djaredin, con cui molti dei Corvi avevano avuto a che fare quando si trovavano ancora ad Amon, fu encomiabile, le zuppe erano ottime, specialmente quelle coi funghi e che dire delle famose birre, bastava entrare nella locanda per essere investiti da un odore di luppolo e formaggio stagionato, certo, qualcuno lo trovava disgustante ma col passare del tempo ci avrebbe fatto l'abitudine.

Il nutrito gruppo iniziava ad abituarsi a quel clima, e soprattutto cresceva l'affiatamento attraverso battute di caccia, riunioni e momenti di condivisione, nei loro occhi era scolpito il senso di abnegazione e di responsabilità verso ciò che gli era stato chiesto, specialmente adesso che in Ardania si affacciava nuovamente una minaccia concreta e che avrebbe potuto portare a sconvolgimenti ancor più nefasti di quelli provocati dai Deva.

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I Corvi della Cenere stavano pian piano spiccando il volo, non potevano ancora sapere verso dove o verso cosa, ma sapevano che questa era per il momento la volontà degli Dei o semplicemente il volere del fato, nessuno poteva saperlo, così come l'ultima volta furono guidati da un corvo, erano lì pronti a rispondere ad una nuova chiamata, indomiti e senza più una lex da seguire, solo la propria coscienza e il buon senso, non potevano dimenticare le proprie origini ma adesso avrebbero dovuto fare tutto da sé, non ci sarebbero stati più i bastioni o le alte mura a proteggerli, ma solo il buio del crepuscolo a fargli da scudo.

Molti, passando da Nuran, giurano di aver sentito: "Alti come i Corvi". Quello era ormai il loro motto!


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[continua]
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By Mimzy
#16247
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Era una pomeriggio come altri nella fredda cittadina di Nuran Kar, il via vai di uomini e nani per il mercato era intenso e le urla provenienti dalla taverna rendevano più allegro quel gelido posto fatto di cunicoli e tunnel scavati nella roccia.
I Corvi della Cenere approfittarono delle poche ore di luce che gli restavano per uscire in spedizione. Scesero dalle montagne e passarono il trivio per recarsi a Nosper ma si spinsero più a sud e dopo aver combattuto con un drappello di non morti la loro attenzione venne attirata da un gruppo numeroso di corvi assiepati vicino uno sperone roccioso.


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Fu un attimo che quegli animali spinti dal solo istinto attaccarono gli ignari visitatori, sembravano difendere quell’antro, quello stretto cunicolo tra le rocce che si affacciava proprio alle loro spalle. Il drappello di uomini non esitò un momento e fece calare la morte su quegli animali tanto cari, era dovuto, dovevano difendersi.
Rimasero incuriositi, cosa ci facevano lì tanti corvi, difendevano forse qualcosa? Non ci pensarono due volte e in un baleno si ritrovarono a scalare quella montagnetta rocciosa. Quando furono dall’altra parte si accorsero che l’entrata di una caverna più grande si stagliava davanti a loro, si prepararono e prendendo coraggio al grido di “Alti come i Corvi” si fecero strada in quell’antro buio e insidioso.


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Dentro era umido e freddo, sembrava che la felicità non abitasse quei luoghi. D’un tratto un uomo, no, un corvo, no, un animale… era un uomo vestito da corvo che senza pensarci due volte li attaccò, e come lui molti altri, così come nelle stanze che seguirono quei labirinti pieni zeppi di creature, uomini corvo e trappole di ogni genere.
Non fu facile ma i Corvi della Cenere riuscirono a portare pace tra quelle caverne fetide, avevano appreso una lezione quel giorno, non tutti i corvi volano alto, non tutti i corvi sono buoni.




[continua]
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By Victoria
#17294
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Il Campo

Erano passati oramai alcuni giorni dal trasferimento a Nuran Kar, sotto la protezione dell’Armata Djaredin e ospiti del Capovillaggio. I Corvi avevano trovato un luogo ove lavorare e riunirsi, godere di qualche piccola comodità delle tante lasciate nell’Impero, ma soprattutto dove poter, ancora una volta, apprezzare l’ospitalità del popolo djaredin. Il rapporto di stima che Victoria aveva instaurato con loro, quando era alla guida di Amon, le era valso tutto questo, come le aveva raccontato l’Ankor Norva, e poter offrire qualcosa ai propri compagni di ventura, le era parso un sollievo, un modo per alleggerire il peso della nona Virtù, il Sacrificio. Questi erano i pensieri, e molti ancora, che le affollavano la mente, mentre osservava il mare impetuoso dalla propria stanza, a picco sugli scogli, una sera a Nuran Kar. Si avvolse nel manto del colore che tutti i suoi compagni indossavano, e scese velocemente al primo piano, lì l’oste djaredin le sorrise gioviale come sempre.

“Djarek Victoria che ti porto?”

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“Il solito Mastro” Lui le lanciò allora un boccale traboccante di schiuma, una delizia nanica, la famosa birra Riserva.

Il sapore vagamente acidulo le inebriò i sensi, quella rotonda esplosione di lieviti e alcol le rilassò le membra, abbastanza da schiarirle le idee. Afferrò la sacca velocemente e andò alla bacheca dove soleva lasciare le comunicazioni per i Corvi.

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E’ tempo di avvicinarci al nostro luogo di studio.
Salperemo domani sera, preparate il necessario
per un campo ben allestito.
Alti come i Corvi!

A.C.

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Si diresse poi al grande molo per organizzare al meglio la stiva, constatando subito con piacere che colei che aveva nominato Nocchiere della compagnia, Drusilla, aveva già svolto uno splendido lavoro tra le casse del veliero.

La sera dopo la traversata fu abbastanza tranquilla, gli impetuosi venti di Danu gonfiavano le vele argentee della loro imbarcazione e la maggior parte dei Corvi erano a bordo, avendo lasciato a Nuran solo un paio di essi per intrattenere qualche rapporto commerciale. Il campo degli Eracliani di Samsara apparve diverso dal solito, quella strana aria giocosa che di solito campeggia sui volti degli abitanti, ora era sparita, c’erano sguardi tesi e un nuovo corpo di guardia, dagli strani manti perlacei, che controllava la zona da una parte all’altra del campo. Scoprirono ben presto che si trattava della Resistenza Eracliana, formata da combattenti e reclute più o meno addestrate, guidate da un uomo che da lì a poco, quella sera, i Corvi avrebbero conosciuto.


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Vennero scaricate le merci e gli attrezzi per poter iniziare a montare le tende e le palizzate di difesa, alcuni Corvi, imbracciate le armi, misero in sicurezza la zona, altri aiutavano il giovane Cleius a montare i pali per l’accampamento. La fatica, il sudore, ma anche la determinazione, unirono quella giovane compagnia in quelle due ore di lavoro, tra qualche risata e sguardi incerti, o tra i canti che i loro musici intonarono quando tutti insieme andarono nel vicino bosco a fare legna.

Victoria li osservava, mentre intagliava qualche mobile e panca per una piccola tenda delle riunioni, e rifletteva su quanto in poco tempo quel gruppo era divenuto come una famiglia, con occhi che guardavano oltre l’apparenza delle cose, oltre il velo dell’ipocrisia, e spesso con un’amara coscienza di molte cose che erano state disvelate. Il passato li univa, quasi tutti, ma il presente li rendeva speciali e questo le bastava per pensare che aveva fatto la cosa giusta, anche se fosse durato solo il tempo di una missione.

Poi un vociare al centro del campo la distolse dai propri pensieri e si avvicinò agli altri Corvi della Cenere che salutavano un uomo, col manto della Resistenza, barba incolta, chiari segni eracliani nei tratti somatici e lo sguardo deciso. Si presentò come Haedan, l’uomo che presto avrebbero scoperto essere chiamato “lo Sfrontato”, e con una strana naturalezza egli conversò con tutti, ascoltò le presentazioni di Victoria, e si rivolse in modo molto rispettoso. Parlarono della provenienza dei Corvi, della loro intenzione di star lì a dar man forte agli Eracliani, parlarono di demoni e lui raccontò le ultime novità.


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“Si radunano da tutta Ardania, da ogni antro, richiamati qui, sono tanti.”

I demoni quindi accorrevano come richiamati da qualcosa di misterioso e sicuramente un piccolo gruppo, così come gli eracliani stessi da soli, non avrebbero potuto fare molto. Se non “volare alto” e portare la notizia. Così, dopo la riunione in tenda, ringraziati i compagni di Haedan, messi a guardia delle tende stesse dei Corvi, come per sostenersi a vicenda, Victoria si raccomandò ai propri compagni.

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“Corvi dobbiamo diffondere la notizia e anche l’idea che più demoni saranno abbattuti in Ardania, meno ne giungeranno qui! Parlatene con amici, guide, scrivete nelle bacheche… è per ora l’unica cosa che possiamo fare.”

Gli sguardi decisi dei propri compagni sugellarono quelle intenzioni ed uniti iniziarono la prima perlustrazione lungo le coste dell’isola, constatando abomini e assurdità oscure, morte, resti di ossa, innalzando qualche preghiera, intima o palese, agli Dei.

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I Corvi della Cenere quella notte montarono la guardia a turni e nei giorni seguenti rientrarono a Nuran Kar per iniziare la propria missione, parlando con amici, capigruppo, inviando missive ai regni o affiggendo da soli pergamene per informare…

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I Demoni si stanno radunando!
Come attirati da uno strano richiamo
o guidati da un potere più forte,
da ogni antro di Ardania
accorrono i demoni
per formare un enorme esercito!

Le sentinelle del popolo Eracliano
scorgono questo movimento da giorni.
Le notizie che apprendiamo le diffondiamo
perchè questo interessa tutti.

Un demone in meno su Ardania
è un demone in meno in quell'esercito.

Un gruppo può fare poco,
ma eserciti interi possono far molto!

Sterminiamoli, in ogni antro di questo mondo
con ogni mezzo ed invocazione.
Ognuno in uno o più antri conosciuti.

Il pericolo incombe
ed il tempo trascorre veloce...

I Corvi della Cenere
Ci trovate a Samsara o a Nuran Kar
per qualsiasi informazione e scambio di conoscenze.


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Ed infine, dopo qualche giorno, il messaggero di Nuran Kar fermò Victoria che passava dalla piazza delle rotaie.


“Un messaggio urgente da Samsara!”
Urlò lo djaredin sventolando un piccolo foglio ben richiuso. Victoria rimase un po’ perplessa…

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Gentile Dama Victoria,
sono Haedan Capo della Resistenza Eracliana
[…]
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E allora lei comprese. Era tempo di rientrare al campo.


[continua]
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