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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Valdir Kentor
#29451
Il vento era tagliente quel giorno di Nembonume, raffiche potenti spiravano dal Passo dell'Orus Maer. Valdir lo sapeva, i ghiacci perenni sono immutevoli e non perdonano, ed il vento è sempre presente per non farlo dimenticare mai. Il ragazzo si alzò, gettò qualche secchio d'acqua sui tizzoni ormai spenti e sparse i carboni per disperdere le tracce della sua sosta. Il sole stava levandosi dalle vette dei monti Orquirian, le mura di Amon stavano pigramente iniziando ad abbracciare la luce mattutina, levando la brina del mattino che stava ammantando la città ormai da qualche tempo.

"E' ora di partire" sussurrò il ragazzo. Due occhi azzurri come i ghiacci del Nord apparvero dall'ombra di un leccio. Valdir non capiva se la sua fedele compagna Argentea dormisse mai o fosse in perenne stato di guardia. Si sentiva sicuro con lei affianco, l'animale strisciò leggero sull'erba. Si avvicinò al suo lama, sciolse le briglie legate al paletto saldamente conficcato nel terreno, risvegliò dal torpore l'animale e con un balzo vi saltò in groppa.

"Qualcuno ci aspetta" disse ai due animali, a bassa voce, prima di partire al galoppo e imboccare il sentiero che portava alla Via Esterna.

Gli zoccoli dell'animale battevano veloci sulla terra battuta, il vento continuava ad ululuare dal Passo; il legno del ponte di Seliand schriocciolò al passaggio dei tre, poi si pacò e tornò al suo torpore mentre le placide acque passavano sotto le sue robuste travi. Valdir cambiò bruscamente strada, si lanciò a capofitto nel bosco abbandonando la brughiera alle sue spalle; galoppava rapido sfiorando i tronchi che gli si paravano davanti. Arrivò rapidamente alla baita, rallentò il suo passo e calò il suo cappuccio.
Percepiva una forza, in quel luogo, qualcosa che ancora non sapeva definire, si sentì al sicuro; scese dal lama, lo consegnò allo stalliere assieme alla serpe affinchè si prendesse cura di loro. Con gli occhi cercava la figura che lo stava aspettando.

Un uomo avvolto in un pesante manto di pelliccia di bianco stava osservando degli animali correre dentro un recinto.

La sua ricerca era terminata, un nuovo sentiero stava per essere percorso.
By Valdir Kentor
#29453
"Kveda" disse la figura, senza nemmeno voltarsi.

"Kveda" rispose Valdir. L'uomo si voltò, era colui che stava cercando, Cartis, Rumenal del Circolo dell'Yggdrasil. Si erano dati appuntamento un paio di lune precedenti a quel grande giorno.

"Allora, sei pronto?" la voce dell'uomo non tradiva emozioni, era profonda come un crepaccio in un ghiacciaio, ferma come la roccia.

Già, ma che significavano quelle parole? Essere pronto, per Valdir, cosa realmente significava? La mente del ragazzo tornò al loro primo incontro, quando vide il Rumenal quasi per caso in un bosco. Non si chiese cosa facesse lì o dove fosse diretto, sapeva che era nel momento giusto e nel posto giusto. I due si videro e Valdir si avvicinò; dopo tante lune passate nei boschi, nelle isole, nei mari e nelle grotte più remote, decise che era necessario capire cosa legasse fra loro ogni creatura, ogni avvenimento, ogni granello di sabbia. Solo un uomo poteva rispondere alle sue domande.
"Livmor, tutto ruota intorno a questo. Devi avvicinarti ad esso per provare ad avvicinarti alle risposte che stai cercando" disse Cartis.
"Come posso fare? Ho visto cose e gir-" Cartis interruppe Valdir e proseguì: "Liberati di tutto quello che non è in equilibrio."

Una fitta al cuore prese Valdir, tornò a sé, rispose "Ja" con pieni polmoni. I due si avvicinarono allo stalliere, senza nemmeno parlare, prese le briglie della Chimera. L'animale pareva riluttante, i suoi occhi fiammanti incrociarono quelli di Valdir: aveva capito, la natura esplose fragorosa nelle ali dell'animale, un sussulto incontenibile mosse la sua coda, galoppò fino a Valdir.

"Andiamo".

I tre si mossero verso i boschi. Valdir taceva, perdere un compagno era uno dei dolori più forti che avesse mai provato, ma la brava di conoscenza, di verità, di equilibrio era superiore ad ogni altra necessità. Era orientato a conoscere, voleva trovare il legame che univa tutto quanto, anche le acque del mare che stavano solcando veloci, a vele spiegate. La chimera sarebbe tornata a vivere in libertà con i suoi simili, era la cosa giusta da fare. Il cammino si mostrò più facile del previsto, Valdir e Cartis proseguivano spediti sulla strada che avevano deciso di percorrere.

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L'ingresso della grotta dove avrebbero liberato la creatura sembrava però minaccioso. "La Madre ti guiderà" disse il Rumenal.

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La grotta sembrava una metafora stessa della ricerca della Via intrapresa da Valdir. Alte dune ("Sabbia in questi luoghi? Deve esserci una spiegazione..."), folate di vento caldo che sembravano colpire i due nordici direttamente al corpo, strani vortici. Ogni sorta di creatura decise di frapporsi sul loro cammino. Nordici ed animali combatterono fieri, con ferocia e tenacia: stremati ma vivi, con gli occhi pieni di determinazione, fermarono i loro passi davanti ad un bosco.
Il possente animale capì: Cartis annuì, pronunciando solo poche parole. Valdir rimase in silenzio, lasciando che fossero i suoi occhi e le mani a fare da guida al percorso della Chimera.

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La creatura si mosse senza guardarsi indietro, come accompagnata da una forza invisibile che muoveva ogni cosa.

"Il primo passo è compiuto" sentenziò il ragazzo. Il Rumenal e Valdir uscirono dalla grotta. Le dune sulla via del ritorno erano spianate, i piedi non affossavano nella sabbia, il vento era calmo. Ma Valdir ancora non sapeva darsi una spiegazione.
By Valdir Kentor
#31611
Valdir era intento ad aggiornare i suoi appunti raccolti fra le terre di Ardania riguardanti i vari animali che popolano il mondo; affianco a dei semplici bozzetti, riportava il colore del manto della creature che aveva visto, le caratteristiche salienti, eventuali peculiarità, informazioni utili sul bioma dove vivevano, note per favorire la loro riproduzione. Teneva anche conto di quanti fossero e se fossero usati o meno come supporto in battaglia. Gli appunti erano numerosi, questa opera gli avrebbe portato via molto, molto tempo, ma sarebbe stata una memoria fondamentale per il futuro.

Fischiettava, dondolandosi sull'amaca, sbuffando nuvole di erbapipa, Umbra brucava vicino a lui. D'un tratto, sussultò, un lupo bianco come la pura neve si palesò da un un leccio, fissandolo. Che ci faceva lì? Era vicino alla Baronia, ma non era sicuramente il suo habitat. Aveva anche perso la naturale diffidenza, pareva che lo avesse cercato. Un altro paio di occhi sbucarono dalla foresta, due lupi erano vicini, nella penombra. Erano chiaramente spaventati; le zampe parevano sanguinanti. Si lasciarono avvicinare e curare, Valdir applicò degli unguenti naturali, li sfamò. Puzzavano di fumo, di bruciato; che era accaduto?

Preparò i suoi averi, alzò lo sguardo oltre i monti della Baronia, non vedeva coltri di fumo. Forse erano stati dei banditi, l'arco li avrebbe ricacciati. Montò a cavallo di Umbra e avanzò lentamente verso il passo quando, ad un tratto, sentì un lieve ululato, i lupi lo stavano seguendo, pur zoppicanti. Lo superarono, senza guardarlo, e si inoltrarono verso la ripida salita. Non potè fare altro che seguirli. Arrivato in cima al valico, lo spettacolo che gli si parò davanti gli gelò il sangue: alberi bruciati, abbattuti, inceneriti, animali morti, carcasse carbonizzate, chiari segni di incendi divampati e domati dal gelido clima nordico.

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Scese, lentamente, verso i boschi: la Morte aveva avvolto tutto, i profumi erano spariti, non vi erano rumori, solo un silenzio irreale. L'esercito Hammin era rientrato lasciandosi dietro una scia di morte. La Baronia era ferita, doveva intervenire, ma non sarebbe mai riuscito da solo a ripianare i danni subiti; sapeva che i Gael sarebbero intervenuti, li avrebbe aiutati. Prestò le ultime cure ai lupi e li vide allontanarsi, lentamente, alla ricerca di un nuovo inizio.

Valdir scosse il capo; si sentiva complice di quella situazione. Era stato incapace di prendere una decisione, di schierarsi. Sarebbe dovuto scendere in campo con il popolo del Nord per tutelare la Baronia. Lo scontro avvenne nel suo turbinio di domande e risposte, perse la cognizione del tempo e degli avvenimenti intorno a lui, era focalizzati sulla sua ricerca personale, ma avrebbe comunque posto rimedio con le sue doti di allevatore per cercare di ripopolare le foreste ferite.

Si fermò ad Hullborg, in locanda scrisse una missiva, la firmò, la sigillò. La mattina successiva, partì di buon mattino alla volta della baita situata poco a nord del Trivio, inserì il documento nella cassettina per i messaggi ed attese.
By Valdir Kentor
#31629
Valdir riposava nella baita. L'ambiente era accogliente, il camino ardeva feroce, emanando tepore in tutte le stanze. Avrebbe atteso i Gael, sentiva che sarebbero in delegazione dall'Orus Maer, le barricate che erano state poste in difesa del Passo non potevano mentire. Dalle finestre della baita al piano superiore, poteva accorgersi della presenza dei druidi. Consumò una cena frugale, poi uscì nel buio della sera, inspirando i profumi dei boschi. La temperatura stava calando, quel mese di Dodecabrullo era stato particolarmente clemente ma ora i venti si stavano facendo più gelidi.

Spostò il suo sguardo oltre il rosso delle braci che ardevano nella forgia, oltre la palizzata, intravide una figura; decise di avvicinarsi e d'improvviso apparve una torcia accesa ad illuminare l'area intorno a lui. Era il Rumenal. Dietro di lui, apparve anche Tuyuk, e poi altri druidi deldel'Ordine della Quercia al seguito del Gerofante Dan.

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Salutò il Rumenal, gli comunicò il perchè della sua presenza, ma sembrava come se avesse già intuito qualcosa. Annuì alle sue parole e gli rispose: "Seguici, il tuo aiuto sarà prezioso, la fauna della Baronia ha subito un duro colpo, dovremo lenire le ferite della nostra terra". Si presentò agli altri presenti, non li riconobbe tutti, si annotò mentalmente i loro volti. Il gruppo si mosse lentamente verso il Passo.
Giunti alle palizzate, Valdir notò la presenza di alcune figure, a cavallo; riconobbe tra loro Jolet, erano gli abitanti di Nosper. Dialogarono rapidamente col Rumenal, Valdir riuscì ad ascoltare solo alcune parole, capì che erano stati inviati da Hammer per aiutare i druidi nell'opera di riforestamento della Baronia. Portavano pesanti sacchi di semi saldamente fissati sui dorsi dei loro animali, erano forniti di ogni strumentazione per prendersi cura degli alberi che andavano ripiantati.

Procedettero oltre le palizzate, salirono in cima al Passo, giunsero sull'altopiano, tutti notarono fin da subito le tracce del passaggio dell'esercito Hammin. Nessuno proferì una parola.

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Il silenzio fu rotto dalle parole del Rumenal; il primo passo da compiere era quello di indirizzare coppie di animali dei ghiacci dalle zone ancora verdi della Baronia verso le zone che avevano maggiormente subito l'ira del fuoco. Furono così portati al seguito capre di montagna, lupi bianchi, leopardi delle nevi, orsilince, orsi polari, maestosi cervi. I Nosperiani scesero da loro cavalli, cominciarono ad armeggiare con pale e sacchi di semi, concime ed acqua per irrigare. Il Rumenal osservava l'operato della compagnia mentre piantava i semi di alberi nel terreno appena dissodato.

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Dal centro della valle, si potevano notare animali uscire dalle foreste, scendere dalle pendici, dalle rive dei fiumi. Parevano incantati dai richiami ancestrali dei druidi, non potevano sfuggire dal loro richiamo. Si lasciavano avvicinare senza timore. Vi era molta operosità nell'aria: Valdir rimase affascinato, laddove Fuoco e Morte avevano lasciato i segni, ora Vita ed Acqua portavano nuovi colori e profumi. La Baronia stava rinascendo grazie all'opera di quegli uomini, assumeva nuovi colori, gli animali stavano spostandosi verso zone prima inesplorate. Non tutto, forse, accade per nuocere.

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Mano a mano che la terra veniva smossa, fecondata, irrigata, la compagnia procedeva verso est, avanzando lungo la strada per Hulborg. Non ogni creatura della Baronia, però, gradiva la presenza umana, molte creature erano state profondamente scosse dalla guerra fra i due Regni, anche gli esseri pù pacifici tentavano un approccio aggressivo. L'avanzata si mostrò più complicata del previsto, con assalti da ogni fronte, respinti grazie all'intervento dei druidi. Più volte gli animali più docili scappavano temendo aggressioni.

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Giunsero nella parte di Baronia che aveva subito i maggiori danni, Valdir la riconobbe immediatamente, l'infausto spettacolo era fissato in maniera indelebile nella sua mente. Lui come gli altri fece cenni agli animali che li avevano seguiti, avrebbero trovato una nuova casa. L'opera dei Nosperiani proseguiva incessante, i sacchi di semi erano ormai vuoti, i muscoli cominciavano a dolere, il respiro si stava accorciando.
Consumando le ultime forze rimaste, la compagnia continuò a lenire le ferite di quella terra ferita. Al culmine della notte, giunsero nei pressi del bivio ai piedi di Picco dell'Aquila. Il Rumenal dichiarò conclusa l'opera, almeno per quella nottata, le braccia erano stanche, i sacchi di semi erano stati svuotati, le pale per sarchiare il terreno avevano ben più di qualche graffio. In più, il clima della Baronia non era favorevole a prolungate ora di esposizione al vento gelido, nonostante i pesanti manti che proteggevano quegli uomini. I Nosperiani vennero ringraziati per la loro opera, lentamente fecero ritorno alle loro terre.

Valdir osservava l'operato: la profonda ferita era stata in parte rimarginata, l'Equilibrio era stato riportato in quella terra sanguinante, la flora e la fauna avrebbero potuto trovare una nuova via per imporsi. Era fiero di essere stato parte attiva di quella magnifica opera. Serviva tempo, ma avrebbe vegliato e combattuto per essa.

Salutò con un cenno i Nosperiani, vide il Rumenal avanzare nella neve, gli si parò davanti e gli disse: "Seguici ad Hulborg. Ci riscalderemo in taverna."
Dietro di lui, attendevano il Gerofante ed un'altra druida, che non aveva mai conosciuto. Valdir deglutì, il cuore in gola. Ripose l'arco, si strinse nel manto. Avanzò.
By Valdir Kentor
#31736
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La notte era buia. Hulborg stava riposando, Valdir varcò il cancello, fece un cenno allo stalliere ed al guardiano dei cancelli, stretti nei loro mantelli, proseguì lungo la strada principale, alzò lo sguardo verso la taverna. Le finestre erano illuminate, il comignolo emetteva un ozioso fumo. Assicurò Umbra, sistemò le redini, si avvicinò alla porta. L'aprì, il Rumenal era al bancone a conversare con l'oste Helaine.
Gli rivolse un saluto, prese poi posto al primo tavolo sulla destra dell'ingresso; tolse i guanti, il pesante mantello, il copricapo, erano coperti di ghiaccio. L'aria della locanda era piena dei profumi delle pietanze in lenta cottura sulle grandi braci poste nel centro della stanza.

Il Rumenal fece ritorno a passi pesanti verso il tavolo, portando boccali di birra, pane e carni fumanti. Si accomodò, sorridendo a Valdir. La porta si riaprì nuovamente, assieme alle folate di vento entrarono anche il Sommo Gerofante dell'Ordine della Quercia, Tuyuk ed una druida che non aveva mai visto in precedenza.

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Si sedettero intorno al tavolo di legno, levando i pesanti mantelli bagnati dal ghiaccio e dalla neve, calando cappucci, scaldandosi ed asciugandosi al calore delle braci ardenti. I Gael del Nord e del Sud si scambiarono convenevoli, bevvero dai boccali, strapparono pezzi di pane e finirono le calde pietanze. Sanare le ferite della Baronia aveva assorbito molte delle loro energia, ma era stata un'opera che avrebbe portato nuova vita dopo le scie di morte lasciate dallo scontro fra i due Regni. Quando gli otri furono svuotati, il Rumenal si pulì le labbra ed esordì: "Dunque Valdir - tagliò corto - io direi che puoi approfittare dei Gael del Sud, visto che sono qui, per cominciare a conoscere anche il loro punto di vista sulle vicende che ti sono capitate recentemente".

Valdir si schiarì la voce, poi guardando i druidi cominciò a raccontare le sue vicende, fin dal principio, dal primo incontro con l'esercito hammin fino alla sua ricerca di nuove basi fra i templi ardani, in lungo e in largo per i mari e le valli. Fu un racconto appassionato, pose l'accento sui dubbi che erano sorti, sulla necessità di trovare risposte a tante domande che mai si erano presentate in precedenza, sul modo in cui la sua vita era stata profondamente scossa dal primo scontro e da come avesse cercato di trovre una nuova strada da percorrere, in comunione con i suoi ideali e ciò che aveva sempre difeso e protetto. Il Gerofante ascoltò, attese che concludesse il racconto, tamburellò con le dita sul tavolo e poi rispose: "Immagino che già Cartis ti abbia illustrato la la visione del Circolo del Nord, riguardo il loro modo di vivere e la loro visione del tutto". Altra birra arrivò al tavolo: "Allora veniamo a noi. E' importante fare una precisazione e discernere la venerazione e la fede come è vista dai credenti dei vari pantheon ardani, ivi incluso quello dei Sette. I Drudjah vivono il loro culto non raccogliendosi in preghiera o tantomeno radunandosi in luoghi di culto dove invocare il favore degli Dei. I Drudjah onorano la Madre con i loro gesti, con le loro decisioni, con ciò che fanno della loro vita, mi auguro che questo sia un concetto chiaro. Naturalmente non intendo discriminare od offendere gli altri culti; è solo una distinzione rilevante poiché alcuni confondonola nostra filosofia di vita con una venerazione di tipo religioso"

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Valdir rispose: "Questa vostra filosofia di vita è quello che mi ha spinto a intraprendere questa lunga ricerca di risposte. Vivevo in comunione con la natura da molte lune, senza rendermi conto che le mie gesta potessero essere rivolte al favore della Madre".

La druida intervenne: "Non ci siamo visti prima, Valdir. Io sono Haramiel, Gran Druida dell'Ordine della Quercia. Cosa intendi con queste tue parole?"
Valdir le sorrise e rispose: "Le mie gesta erano un tempo rivolte solo alla mia stessa soddisfazione nel vedere la natura crescere rigogliosa intorno a me quando invece non capivo che ciò che facevo poteva essere dedicato a qualcosa di più importante". Haramiel annuì e riprese: "E dimmi, oltre alla natura crescere rigogliosa, hai mai visto altro?"

"Fauna, flora, elementi della natura in comunione tra loro, vulcani, maree, tormente di neve, non capivo che la Natura mi inviasse segnali che però non riuscivo a interpretare"

"Hai descrito tutta la vastità di tutto quello che è Arda! Pensa più da vicino... Alberi e prati rigogliosi... Oltre a tutto quel proliferare cosa vedi? Espandi la visione, anche nelle piccole cose, ciò che vedi non è che solo una facciata di ciò che ci circonda. Pensa alla semplicità: se stai affrontando un certo percorso, e come hai detto tu sei solo all'inizio, pensa a restare fermo, in mezzo a una bosco ma molto rigoglioso, frutti maturi e i furenti suoni degli animali che lo abitano. Cosa vedi?" chiese Haramiel sorridendo.

Valdir chiuse gli occhi, provò ad immaginarsi nella situazione appena descritta: "Sento... pace, vita."
Haramiel replicò: "Al contrario invece. Dove vi è vita, vi è morte: sempre. Questo è uno dei principi dell'Equilibrio. Tra qualche giorno noi Drudjah ci riuniremo per Yule. Questa fase del ciclo ricorda proprio che la morte, così come il riposo della terra ed il freddo, consentono alla terra di riposare e concederci i suoi doni fertili quando giungeranno le altri fasi. Quando guardi un bosco rigoglioso ricorda che le sue radici si nutrono nella terra dove le sue stesse foglie si sono unite alla terra. Quando senti l'ululare dei lupi può essere che una madre abbia sfamato i propri figli e non lo ha fatto in un modo che molti considererebbero buono. Eppure, questa è Arda, questo è Equilibrio. E per noi è importante non solo vederlo, ma percepirlo ovunque."

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Valdir annuì: "Un ciclo continuo, quindi? Vita e morte, fuoco ed acqua?"

"Così deve essere. Non proprio continuo... Gli equilibri variano e si ristabiliscono, ma questo è un discorso molto più intricato." sorridendo poi ai presenti aggiunse: "Spero di non avervi annoiati!" ridendo, poi proseguì: "Prendi ad esempio i Valar - indicando un tavolo affianco - Potrebbero essere li, seduti, a discutere tra loro dei loro attriti, degli inganni, dei loro Doni, e dei loro Odi e rancori. Un drudjah, non negherebbe mai quello che accade perchè lo avrebbe davanti agli occhi, un drudjah è consapevole che oltre quel tavolo vi siamo anche noi, la locandiera, le braci. Tutto. Il tutto. Devi-vedere-tutto." concluse, scandendo.

Annuendo, Valdir rispose: "Questo mio viaggio è stato fondamentale per capire quale fosse la mia volontà di visione del mondo. Come dissi a Cartis qualche luna fa, è come se il Rumenal fosse stato in grado di togliere il prisma davanti a me. Ora posso vedere il mondo nella sua interezza, senza dover interpretare i segnali secondo un credo o l'altro, ma guardando ogni singolo avvenimento come elemento essenziale nella bilancia dell'equilibrio del mondo. Dovrò imparare a pensare ad ogni elemento in una visione unica d'insieme."

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La druida gli rispose: "Questo dovrai per buona parte capirlo tu, durante questa tua crescita. Ma... "guardò i presenti, notò parecchi occhi assonati e corpi stanchi per le fatiche intense "direi che per questa sera abbiamo concluso il discorso, è ormai tardi, potremmo riprendere nelle prossime lune".
I presenti annuirono alle parole di Haramiel, si alzarono e indossarono i mantelli, cappucci e guanti, per affrontare la gelida notte della Baronia. Uscirono nella notte, non prima di aver salutato l'oste, che chiuse le porte dietro di loro, spegnendo alcune luci.

Il freddo scosse le membra di Valdir, era stata una serata memorabile, l'avrebbe ricordata per sempre. Il suo percorso di risalita verso la una piena consapevolezza era iniziato, era irto, ma pieno di soprese. Salutò i presenti con un largo sorriso. Strinse i pugni, guardò le montagne. Il prisma era stato tolto.
By Valdir Kentor
#32345
Nuovamente per mare, nuovamente alla ricerca di risposte. La missiva era partita da qualche tempo, era sicuro che fosse già arrivata a destinazione. Altre volte era passato per quelle terre, aveva trovato del conforto, ormeggio per la nave, ma non aveva avuto modo di parlare con nessuno se non con lo stalliere. Aveva scorto gli occhi del custode da una piccola finestra all'interno di un edificio chiuso a chiave. Quella volta, però, era diverso.
Il Rumenal aveva consigliato a Valdir di trovare Yaneril al Rifugio delle Terre Selvagge e confrontarsi con i ramjalar sulla loro visione del mondo di Ardania e della Madre. E così aveva fatto; provviste, munizioni, acqua, fieno per umbra. Quelle lande erano inospitali e pericolose, doveva contare solo sulle proprie forze per potercela fare.

Saltò a bordo della nave ormeggiata a Cheshire, spiegò le vele, lanciò la nave sulla tavola piatta che era il mare in quella mattina. Evitò le nebbie impenetrabili e indirizzò la prua verso le rive. Il viaggio fu rapido, il sole alto e caldo nel cielo lo aveva reso ancora più piacevole, ne approfittò per tendere meglio la corda dell'arco e serrare nuovamente le cinghie dell'armatura. Giunto al molo, si preparò a scendere a terra, conducendo Umbra per le briglie verso la verde erba. La lasciò a brucare placida.
Giunse forte al naso l'odore dell'acqua putrida delle Paludi Vortigern, volse lo sguardo altrove allontanandolo da quelle umide ed inospitali terre; non era alla ricerca di avventura, doveva approfondire la sua conoscenza.

Come presumeva, il Rifugio dei Raminghi era deserto, vi era solo lo stalliere, appoggiato ad un muro che giocherellava con delle corde; qualche voce si levava dalla locanda, il rumore del vento ed il canto degli uccelli sovrastavano però ogni altra cosa. Si mosse fino al molo a nord, non vide nessuno. Decise di levare guanti ed elmo, si accomodò a terra, appoggiandosi con la schiena ad un cumulo di legna accumulata per le fredde giornate invernali, prese le note che portava sempre nella propria bisaccia e si mise a sistemarle. L'opera che aveva in mente di costruire riguardava tutta la fauna di Ardania, con le sue peculiarità, era un lavoro improbo per un uomo solo, forse avrebbe chiesto ai Gael del Sud e del Nord un aiuto. Stava catalogando le bestie del Doriath, ingannò l'attesa ed attese Yaneril.

Il tempo trascorse lento, sembrava quasi rarefatto. Proprio quando stava cercando i suoi appunti su quello strano uccello colorato che vive in una grotta lontana nel Doriath, sentì un rumore di flebili passi avanzare nella sua direzione. Alzò gli occhi, vide una figura avvolta in un manto verde: l'uomo si fermò a pochi passi da Valdir, si chinò, tolse prima uno stivale poi l'altro, rilassò le dita dei piedi e lo salutò: "Djèlem" - poi lo scrutò e notò i lineamenti inconfondibli da uomo del nord e riprese "ho ricevuto una missiva da tale Valdir dal Nord".

Valdir si alzò in piedi e si presentò, poi chiese: "Siete Yaneril?". L'uomo annuì, Valdir proseguì: "Sono qui in pace e solo per trovare risposte"

"Prima di tutto benvenuto al rifugio" allargando un sorriso "la prima risposta che posso darvi è che sono, si, Yaneril Liom, da molti mesi ormai conosciuto come Artiglio, la seconda cosa è che, si, avete fatto bene a mandarmi una missiva per annunciarvi perchè qui non è affatto detto che possiate trovare sempre qualcuno nessuno "ha casa" qui. E' solo un luogo di ritrovo per la Fratellanza".

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Dalla piccola costruzione che ospitava il burbero custode, uscì una donna, anch'ella vestita di verde, vide i due e si avvicinò. "Djèlem Rubina" - "Djèlem a entrambi" - "Kveda, sono Valdir, vengo dai Ghiacci" - "Lei è Rubina" sorrise Artiglio, indicando la nuova arrivata.

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Valdir si rivolse ad entrambi: "Mi è stato fatto il nome di questo luogo ed il vostro nome, mi è stato suggerito di venire qua per ampliare le mie conoscenze. Il Rumenal mi ha parlato di voi". Il cielo cominciò a rumoreggiare, nere nubi stavano avvicinandosi da ovest, una tempesta stava per scagliarsi sulle rive del mare. I tre guardarono i minacciosi nembi, Valdir propose di confrontarsi al chiuso, non prima di aver lanciato un lungo fischio ad Umbra, la quale corse al galoppo e si rifugiò sotto una tettoia, prima di chinarsi a terra a riposare. Entrarono nella locanda, si accomodarono intorno ad un tavolo, Rubina sedette di fronte a Valdir mentre Artiglio armeggiava con fuochi e vivande per accogliere al meglio l'ospite. Rubina esordì: "E così, abitate ad Helcaraxe?"

"Sono partito da Helcaraxe da molte, moltissime lune, dovevo placare la mia sete di conoscenze; mi ero reso conto di conoscere ogni impronta lasciata nella neve perenne, ma non di sapere cosa fosse la sabbia, o i venti caldi, o quali piante crescessero nel Doriath. Mi sono quindi allontanato per conoscere, ho vagato per mari e fiumi, montagne, isole, fino a quando non ho capito che la via del dio Aengus non era più..." si fermò, fece una breve pausa. Artiglio soffiava sulla fiamma, tenendo con la mano destra una pentola. Un buon profumo stava riempiendo la sala. "Non era più la giusta via da seguire per portare a compimento la mia vita".
Rubina annuì: "Comprendo... durante il proprio cammino succede di... vivere dei cambiamenti. Dovete essere un esploratore in gamba se viaggiate molto e da solo."

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Artiglio pose dei calici di fronte ai presenti, li riempì con del vino corposo e profumato: "Asante, Prahla" disse sorridendo Rubina - "Jul'em" rispose Artiglio. "Non sono mai solo. Le foreste sono con me, gli animali sono con me. Ho trovato rifugio nella loro presenza", poi Valdir bevve un sorso dal calice di vino.
"Sono sempre una lieta compagnia oltre che un valido aiuto nel sopravvivere, anche se non c'è niente di meglio di Artiglio quando cucina". I tre mangiarono e bevvero dai calici, continuando a confrontarsi. "Nella fratellanza siamo io e Derit ad essere Druidjah, anche se non siamo dell'Ordine di Druir, Rubina però è fedele della Madre ed è ramjala di lunghissimo corso, perciò è una vera fortuna che tu abbia trovato anche lei" aggiunse Artiglio.

"Ho la fortuna di esser stata fregiata come Dardo di Druir dall'Ordine della Quercia sebbene il mio legame con Ella non sia elevato come quello di Artiglio."

"Se avrai la pazienza di fermarti qui" proseguì Artiglio "scoprirai come io, Derit e Rubina siamo in diverso modo ed a vario titolo legati ai Druidjah di Druir; altri prahla seguono culti umani, elfici. Ramjala è uno stile di vita, siamo più attenti alle azioni che ad altro, è un percorso difficile. Rinunciare alle proprie precedenti abitudini, e non parlo solo di avere una casa ed una strada lastricata per il mercato, ma abituarsi a rispettare le opinioni altrui, a volte molto diverse dalle nostre. Ora " pulendosi la bocca "chiarito questo punto in modo che tu abbia un idea delle persone che hai di fronte e che troverai molto probabilmente restando qui un po' più a lungo, volevi fare domande più precise su quello che, per convenzione, chiamiamo culto di Ella?"

Valdir rispose: "Proprio così. Ho avuto modo di confrontarmi col clero delle divinità che regolano la Cosmogonia nordica, mi sono reso conto che solo la Madre, o Ella, possa rispondere in pieno alle domande che mi si pongono davanti quotidianamente; ha tolto il velo che era di fronte ai miei occhi"

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Rubina riprese: "Ho sempre trovato l'insegnamento riguardante Ella come un qualcosa di più... libero e spontaneo in me piuttosto che, per dire, quello delle varie Chiese ardane che peraltro hanno gerarchie legate ai regni. Da raminga, le vedo meno... Come posso dire... affini al mio essere, fermo restando che molti di noi conciliano perfettamente le due cose"

Valdir le sorrise, poi chiese: "L'Equilibrio, qui in questo crocevia di esistenze, come viene inteso?"
Artiglio rise poi gli rispose: "Se la poni dieci volte, potresti avere dieci risposte. Bene o male io e Rubina siamo in linea con quello che intende l'Ordine della Quercia". Rubina poi aggiunse: "E' così, infatti, ma direi che questo concetto dell'equilibrio a prescindere dal credo ha sempre fatto parte dei dettami Ramjala.

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Il fatto di rispettare quel che ci circonda e le creature che popolano Arda di non esagerare con la caccia o altre forme di... accumulamento e arricchimento. Non vessare una particolare specie, sapersela cavare in terre ostili...
Possiamo affermare quindi che la lunga amicizia che naque tra noi Ramjalar e i Drudjah della Quercia non fu solo casualità nel conoscersi, ma c'era qualcosa in comune, poi negli anni le avventure, le difficoltà superate assieme, l'aiuto tra questi due gruppi hanno cementato il tutto. Se vogliamo anche il fatto che la loro baita piu vissuta è davvero vicina da qui. E' stata un'amicizia nata ancora ai tempi dei vecchi Gerofanti. Ho avuto modo di conoscerli quasi tutti e ho avuto anche la fortuna di potermi accostare piu di quanto desiderassi alla razza di quelli che essi chiamano Antichi.

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Nel mio piccolo ho sempre provato molta umiltà d'innanzi la loro possenza ma ho anche imparato che essi sapevano riconoscere la costanza e l'amicizia nonostante purtroppo le nostre razze si siano trovate spesso in conflitto e tutt'ora capiti"

Valdir ascoltò con attenzione, ringraziando per le parole che non aveva mai udito. Artiglio si inserì nel discorso e chiese: "E tu, come intendi l'equilibrio?"

Il nordico rispose: "Non l'ho capito fino a quando non ho aiutato i Gael a ripristinarlo, in Baronia. Vedo l'equilibrio come una complessa bilancia a quattro assi... il punto centrale di questo strano meccanismo è l'equilibrio che si poggia su fondamentali pilastri: Vita, Morte, Fuoco, Acqua. Come disse la Gran Druida dell'Ordine, un bosco verde non è che vita e non è che morte: vita dalla piante rigogliose che traggono frutti dalla morte delle precedenti, in un ciclo vitale infinito diverso ed uguale a se in ogni giorno che ci viene concesso"

Rubina annuì compiaciuta: "Un saggio discorso"

"Devo riuscire a tradurlo nelle mie azioni quotidiane... ed è per questo che ho bisogno di confronto con chi da più tempo percorre la via della Madre o di Ella, come la chiamate voi Ramjalar." concluse Valdir.

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Artiglio disse: "E' una cosa importante, si, il confronto, come le azioni che compiamo. Ricorda però che Ella ha anche una sua capacità di assorbire i colpi che alcuni stolti le infliggono, consapevolmente o meno: per tornare alla metafora del bosco della Baronia, consideriamo come la cenere che rimane sul terreno sarà la stessa che lo renderà più fertile ed insieme al vento, che porta semi da altri boschi, il bosco ricrescerà. Se possibile, aiutiamo la cenere ed il vento come le nostre forze e capacità ci permettono innanzi tutto è importante la comprensione delle cose, l'accettazione della duplicità e, come hai detto poc'anzi, un confronto continuo con chi sceglie di perserverare in questo tipo di sensibilità è una strada essenziale e molto proficua"

I tre continuarono a dibattere a lungo sulle questioni relative alla Madre. L'ambiente era caldo, il tepore del camino ed i suoi crepitii rendevano quel luogo accogliente, i profumi della cucina erano inebrianti. Valdir conobbe sempre più informazioni anche sulla vita dei Ramjalar, sempre tenendo presente il fatto che lì ogni membro della Fratellanza era padrone della propria vita, quello che Valdir stava cercando di fare grazie al suo lungo cammino. I valori professati dai Ramjalar erano stati fondamentali fino ad allora per Valdir, a partire dall'autosufficienza ed al rispetto per ogni essere vivente. L'ora si fece tarda e accettò la proposta di fermarsi a riposare nei giacigli posti ai piani superiori della taverna. Avrebbe avuto di che pensare quella notte.

Era riuscito a muovere i suoi passi nella strada che considerava giusta, sentiva l'occhio benevolo della Madre guidarlo e sostenerlo. Il percorso non era che agli inizi, molto lunga e molto ripida sarebbe stato il sentiero che lo avrebbe portato alla piena consapevolezza di Ardania.
By Valdir Kentor
#32926
Tanti erano i dubbi che avevano attanagliato Valdir. Quella scoperta lo aveva scosso, tutte quelle novità delle quali capiva poco non lo facevano dormire tranquillo. Il monolite, i fuochi, la valle, il tunnel, gli insetti, quelle enormi creature. Quel mondo ancestrale gli era sconosciuto, così come quel popolo di rettili che su Ardania veniva chiamato Usha. Aveva visitato i fuochi che erano apparsi su Ardania, vicino alle città più popolose, aveva anche scoperto quelli presenti nella vallata appena tornata alla luce. Molte erano le domande però ancora senza una risposta.

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Come sempre, avrebbe trovato risposta da quelle persone che avevano caricato il peso di Ardania sulle loro spalle per cercare di trarla alla salvezza una volta ancora. Si incamminò lentamente, con Umbra al passo, verso la Baita poco a Nord del Trivio, forse vi avrebbe trovato un Gael del Sud o del Nord a studiare o a prendersi cura delle bestie nei recinti.

Ebbe fortuna, varcò la soglia della piccola abitazione e vi trovò il Rumenal intento ad alimentare il camino, in un grande calderone stava cuocendo lentamente una zuppa, il profumo riempieva l'aria. Del pane e del formaggio erano appoggiati sul tavolo, il momento era propizio per un breve confronto. Dopo un breve convenevole, Valdir decise di chiedere qualche aggiornamento sulle esplorazioni nella vallata; il Rumenal sentenziò: "Come ti sei trovato in quella zona? Noi Gael siamo stati qualche giorno fa, ancora non riesco a capire se quella tribù di rettili sia amica o nemica".
Valdir voleva concentrarsi maggiormente però su quegli enormi insetti che parevano popolare la zona che andava dal tunnel alla discesa dal Monte di Fuoco, di color delle fiamme, o neri come la notte, o simili a grandi ragni.

"Come ti scrissi nella missiva, mi sembra che i popoli di Ardania si stiano concentrando su quei grossi animali, che vengono chiamati Dinodonti, ma non ci si concentri su quei grossi insetti che sono sempre più numerosi. Non parlo solo di quelli intorno al Monte di Fuoco ma anche quelli a Sud del Villaggio degli Usha, oltre la palizzata. Volevo parlare con gli Usha ma non riesco a farmi capire, capiscono solo comunicazioni elementari e qualche segnale." disse Valdir. "Mi chiedo, questo popolo come sa parlare la lingua comune? Fino ad ora dove sono vissuti?"

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"Credo siano vissuti sempre lì dentro, chiusi da quella roccia e probabilmente prima vivevano anche qui su questa terra. Mi sembre di rivivere la storia degli djaredina, chiusi sotto terra da qualcuno, spero solo che non abbiamo lo stesso astio verso i loro carcerieri se mai dovessimo essere stati noi, o meglio i nostri antenati. La grotta, infatti, era chiusa dall'esterno." rispose il Rumenal.

Valdir portò una mano al mento, grattandosi la barba, si appoggiò allo schienale, addentò del formaggio, e pensò a voce alta: "Quindi un antico popolo, chiuso da una roccia sigillata dall'esterno in una vallata, piena di enormi nemici e creature aggressive, con rituali sconosciuti, una gerarchia ancora non precisa e con intenti a noi non noti. Direi che non c'è altro, giusto?" rivolgendosi al Rumenal.
Cartis annuì ridendo: "Complicato, eh?"

Il principale di interesse di Valdir era rivolto alle creature che abitavano in quei luoghi. Gli erano rimasti impressi, in particolare, delle tartarughe enormi, come mai ne aveva viste su Ardania, e delle tigri possenti, con zanne lunghe come sciabole ed una folta pelliccia, nera come le ombre della notta. Cartis parve intuire i suoi pensieri: "Mi sto concentrando nel frattempo a studiare le betie che crescono in quei luoghi: per ora ho imparato ad addomesticarne alcune e fino a che non capiremo esattamente come relazionarci con loro, preparo quelle bestie a combattere il fuoco con il fuoco. Se mai quegli esseri dovessero uscire da quella grotta e mettere a repentagli l'equilibrio che la nostra terra ha ora, preferisco essere pronto. Seguimi".

Lasciarono i piatti e la zuppa sul tavolo e nel calderone, a sobbollire dolcemente. Uscirono, andarono verso i recinti posti sul lato occidentale: due enormi testuggini stavano riposando, protette dai carapaci duri come l'acciaio, placide. "Forse loro possono essere la chiave per capire qualcosa di più su quel mondo" disse Cartis. Valdir le osservò, prese il taccuino, iniziò a scrivere appunti. I due si confrontarono a lungo, osservandole, guardando le scaglie ed i riflessi che emanavano alla luce del giorno che stava finendo. Osservò negli occhi la tartaruga più grande delle due. Due palpebre mobili celavano occhi con riflessi violacei, parevano stanche. Sbadigliavano pigre, allungando di poco la loro lingua, serrando il loro becco corneo.
In quella umida valle, lo aveva visto in azione, era stata in grado di strappare un intero albero dalla sua radice e lanciarselo alle spalle con facilità, per poi correre verso Valdir. Con fatica era riuscito a far perdere le tracce ed attendere che si placasse, per poi veder tornare la tartaruga verso l'acqua.

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Si sarebbe preso cura di loro, rendendole baluardo a difesa dei popoli di Ardania.
By Valdir Kentor
#33175
" Avevano perso parte della vigoria che le caratterizzava quando le aveva viste lungo gli argini di quel fiume nella Vallata. Il motivo, probabilmente, era da ricondurre nel clima: i recinti di Amon o del Monastero erano troppo vicini alle montagne innevate, i venti freddi, soprattutto nei mesi di Dodecabrullo e di PostApritore, soffiavano feroci, lambendo le pianure sottostanti. Il clima della Vallata era invece molto umido, caldo, talvolta portava all'affanno, si sudava stando fermi; i grandi rettili trovavano conforto nelle acque tiepide del fiume. Doveva quindi trovare un bioma più adatto a loro.
La mente corse rapidamente ai Ramjalar, ad Artiglio, Rubina ed ai loro steccati vicini al mare; lì il clima sarebbe stato più consono, la palude Vortigen avrebbe aiutato a regolare l'umidità, vi sarebbero stati venti caldi dal Deserto di Tremec.

Prima di salpare, decise di lasciare in custodia i due esemplari alle cure di Clare, al Monastero, la nuova serra costruita vicino al Borgo poteva essere un habitat ideale. Consegnate le creature, corse al galoppo verso Cheshire, imbarcò qualche provvista, dell'acqua, fece lentamente salire Umbra, spiegò le vele e puntò la prua oltre le Nebbie Impenetrabili, verso il Rifugio dei Raminghi.

Le placide acque lo condussero agilmente alla meta, ormeggiò e si preparò a scendere, non prima di aver ammainato le vele. Si slacciò qualche fibbia delle armatura, il clima era completamente diverso da quello che aveva appena lasciato. Si incamminò verso la locanda, in cerca di Artiglio o di Rubina; intravide una nordica vestita di una armatura di cuoio e con un arco, non gli era mai capitato di intravederla prima, pareva di fretta, le chiese se avesse visto i due Ramjalar, annuì e sbrigativamente fece cenno di dirigersi verso nord, poi scappò verso la palude, con un passo rapido e deciso.

Si diresse verso nord, sentiva un vociare e pesanti passi, come si avvicinò non potè non notare che i due stavano proprio studiando le tartarughe. Era intenti a curare le loro uova, a capire ddi più dei loro movimenti, delle loro abitudini, del loro cibo. Si avvicinò, non pronunciò alcuna parola per non spaventare le bestie; non poteva non notare come queste fossero più vivaci, scattanti, meno stanche. I loro suoni gutturali erano profondi, parevano ascoltare con attenzione le parole dei loro addestratori. Ogni tanto i loro carapaci cozzavano duramente fra loro, ma sembravano non curarsene, sembravano anzi quasi divertite. Un forte istinto materno le legava alle enormi uova, pareva non volessero separarsene, sembravano cooperare fra loro nella cova.

I due Ramjalar parevano già esperti di quegli animali, avevano lucidato le scaglie, erano tornati alla luce colori che Valdir non aveva mai visto, nemmeno nella Vallata; i becchi ossei sembravano ancora più affilati, ora, forse per l'alimentazione che stavano seguendo. Lo spessore dei gusci era inoltre aumentato, parevano più coriacei degli esemplari lasciati a Clare. Artiglio e Rubina guardarono soddisfatti il recinto con le tartarughe, coprirono leggermente le uova, invitarono le madri a covarli ed uscirono: "Scusate l'attesa Valdir, ora siamo qui per voi".

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Dopo un breve confronto con i due, Valdir capì che le sue intenzioni erano corrette, le tartarughe erano state forzate a vivere in un luogo che non apparteneva loro, avevano bisogno di un contatto con l'acqua, di un clima caldo ed umido e naturalmente di cibarsi di piante differenti. Doveva quindi adattare il recinto ad Amon, cercando di inserire qualche fonte di calore e proteggerlo dai gelidi venti nordici. Rubina si allontanò, andando verso un altro recinto dove pigramente riposavano tartarughe ancora più grandi delle precedenti, ne svegliò una e la condusse da Valdir: "Questo esemplare è il più tenace, resiste bene alle intemperie ed agli sbalzi di clima. Eventuali suoi discendenti potrebbero adattarsi meglio ai climi del nord, sviluppare quindi l'abilità di resistere meglio anche in altri climi".
Valdir non sapeva cosa dire. Li conosceva da poco, aveva vissuto per qualche tempo al Rifugio, ma si fidavano di lui, tanto da concedergli di allenare un esemplare fra i migliori delle covate. Era sbalordito e non sapeva cosa dire.

Artiglio gli diede una pacca su una spalla, ridendo: "Coraggio, chiudi la bocca, sappiamo che farai un buon lavoro, aggiornaci suoi tuoi studi con delle missive però. Rubina" - proseguì inarcando la schiena per rilassare i muscoli - "sono abbastanza stanco, andiamo a sederci e riposare? Così possiamo confrontarci anche con Valdir". I tre si mossero verso la Locanda, la sera si stava avvicinando e con essa una brezza più fresca.

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Artiglio si mise a preparare pietanze profumatissime, ottime come Valdir le ricordava dall'ultima sua visita. Addentarono i filetti di pesce aromatizzati, bevvero vino rosso, conversarono sulle creature della Vallata e sui fuochi innaturali apparsi su Ardania, che parevano non cessare mai. Ci sarebbe voluto altro tempo per arrivare ad una qualche conclusione, i tre fecero alcune ipotesi ma tutte e nessuna sembravano corrette, sarebbe stato necessario un confronto anche con i Gael del Nord e del Sud. Valdir volle approfittare del tempo in compagnia dei due per ampliare le conoscenze sui dettami della Madre, chiese a Rubina qualche informazione in più sulle Aberrazioni; non poteva non pensare a quando, insieme al Rumenal, si recò nel Doriath a liberare la sua compagna di avventure.

Rubina rispose alla domanda di Valdir: "Premesso che io non sono un'erudita e ho appreso quel che so dagli insegnamenti druidici negli anni, possiamo riassumere che, dopo la creazione di Arda, senza scendere nello specifico, io vi posso dire che ritengo sia stata Ella a prenderne forma. Inverno potrebbe dirvi sia stato il Migliore, come chiamano Crom... Insomma a prescindere da questo, con la creazione di Arda vennero anche create tutte le creature che formano il ciclo della vita: predatori, prede, Antichi, Primati, uomini, elfi... oltrei ai Numi divini, dei quali non parleremo per rispettare la fede di ognuno". Bevve un sorso, si pulì le labbra e riprese la sua spiegazione: "Vi sono stati... esseri soprannaturali piuttosto che incantatori di grande poteri... " fece una breve pausa "purtroppo è una storia ancestrale, ma fatto sta che costoro hanno deciso di... incrociare creature già esistenti, portandole a incroci aberranti che non erano nel volere di Ella. Ad esempio, un uomo e un elfa danno vita a un mezzelfo, come nella natura delle cose."
Il bicchiere si svuotò: "Ma un theratano, non è nato naturalmente da un uomo e un ragno, ovviamente" sorrise "bensi uomo e ragno sono stati manipolati con qualche potere, in maniera disarmonica e per questo vengono chiamati aberrazioni. Non rientrano quindi nella creazione equilibrata che Ella generò... Ripeto, non sono un'erudita e parliamo di accadimenti ancestrali..."

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"Un seguace della Madre, ne prende le distanze" aggiunse Valdir, riflettendo ad alta voce. "esttamente. Ci è stato insegnato che la loro natura non è armonica, in molti casi lo si nota a occhio nudo. Prendete quelle manticore alate, sembra davvero che a un leone abbian staccato la testa-" - "o alle chimere..." sussurrò Valdir.
Akasha annuì: "Per una spiegazione piu approfondita, c'è chi è piu saggi di me di sicuro tra gli amici che nominavamo prima". Valdir rimase soddisfatto della spiegazione, anche se il legame che si era creato al tempo con la Chimera era stato forte, combattevano fianco a fianco: ma i dettami della Madre non potevano essere superati dai propri affetti, gli insegnamenti del Rumenal si erano rivelati corretti. Avrebbe imparato, ogni giorno di più, a vedere il mondo che gli si parava davanti grazie agli occhi della Madre stessa, a interpretare ogni singolo accadimento come una sua manifestazione.
Sarebbe stato un lungo, lunghissimo viaggio, molto faticoso, ma i primi passi erano già stati compiuti. Come una barca in mezzo al mare, aveva nuovamente puntato la sua bussola, non era più un ondivago viandante, il suo obiettivo ora era finalmente chiaro.
By Valdir Kentor
#33196
"Questo muschio farà al caso mio, così verde e folto sarà utile per nasc-

Un rumore di rami spezzati. Mugugni. Valdir si nascose fra le ombre, facendo un cenno alla sua fidata serpe. Rimasero acquattati nelle ombre in attesa. Non un fiato, occhi fissi in cerca della fonte. Passi, scomposti, qualche mugugno ancora. Due strane figure apparvero al limite di quel piccolo boschetto, trascinando un grande vado di terracotta, parlavano tra loro: "Mi sono stufato di fare tutti quei gradini, la prossima volta il Capitano mandi qualche nuova recluta" "Spero anche io ti cambino mansione, l'acqua la raccogli, ma puzzi peggio di un cane" "Taci" "Spingi"

L'otre avanza pesante verso la riva del fiume Darukhal. Chi erano quei due? Valdir li osservò meglio, la serpe sibilò: due uomini, parevano di etnia comune, non particolarmente alti o forzuti, indossavano vestiti ricamati, apparentemente nessuna armatura, solo un grande fodero appoggiato sulla schiena, stivali da soldato. Non aveva mai notato tracce di vita umana in quel luogo, solo fiume, montagna, non morti. Chi erano quei due? E da dove sbucavano? Si spostò in silenzio, muovendosi tra la fitta vegetazione; ad uno sguardo attento, sotto i mantelli poteva intravedere una leggera maglia, non riconobbe subito il materiale. Attese che i due si chinassero al fiume.

La lucentezza del materiale, i rifletti prodotti, la malleabilità e l'adattabilità al corpo. Non aveva dubbi, erano scaglie di drago, lavorate ad arte. Da dove provenivano? Rimane in ascolto. "Quegli stupidi bestioni mangiano incessantemente, a loro interi cinghiali, a noi sbobba, non voglio nemmeno sapere che ci mettano dentro i cuochi" "Già, dovremmo mangiarci loro, anzichè patate e ancora patate" "Rientriamo, non vorrei che il Capitano ci vedesse e facesse finire noi nelle gabbie. Non voglio diventare il pranzo di quelle tre lucertole troppo cresciute"

Riempito il grande vaso, lo trascinarono a forza verso la montagna, oltrepassarono un cancello, Valdir li seguì nuovamente con lo sguardo, approfittando delle ombre riuscì ad avvicinarsi ai due; rimase inorridito, salirono i gradini di una scala protetta da non morti. Le ossa animate non parvero curarsi dei soldati, li lasciarono passare. Valdir si distrasse per un momento, per avvicinarsi, ed i due scomparvero. "Bestioni? Lucertole troppo cresciute? Armature di scaglie? Umani che camminano fra i non morti? Quale luogo di perdizione è questo?"

Decise di scoprire di più. Gesticolò alla serpe, in due salti furono addosso ai nemici di ossa, divennero rapidamente polvere; dietro di loro, la magma della montagna parve prendere vita. Servì un'intera faretra di munizioni e tutta la sua concentrazione per potersi liberare di loro. In cima ai gradini, stanco per il combattimento, Valdir rimase solo, a riprendersi dallo scontro; non poteva però permettersi di farsi vedere, doveva agire rapidamente. Si guardò intorno, non riusciva a capire dove fossero passati i due uomini, gli pareva una semplice terrazza costruita sulla montagna. Nascosto fra due massi, notò una leva, la tirò con forza, sentì un sordo rumore metallico, una grata celata fra dei mattoni di pietra si aprì davanti ai suoi occhi. Una scala scendeva in profondità, nel buio, poche torce illuminavano il cammino.

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Riempì la faretra, strinse l'arco, scese nelle ombre, sfruttando la scarsa illuminazione. Sentiva i mugugni degli scheletri e degli zombie; la serpe lo seguiva, in silenzio. Non contò i gradini ma rapidamente giunse in una piccola stanza stanza, poteva intravedere di fronte a se una serie di archi che aprivano verso stanze sempre più grandi, erano piene di non morti ciondolanti, sembravano come addormentati. Proseguì, lentamente, ma i nemici erano troppi, decise di rientrare verso Amon, a cercare più informazioni su quel luogo e soprattutto qualche compagno avventuriero. Saltò a bordo della sua piccola imbarcazione, si lasciò l'isola Hoodimper sulla sinistra, attraccò a Cheshire. Avrebbe scritto una missiva ai compagni di Amon, Erik ed Igan, nonché al suo syskar nordico, Isenor. Lo avrebbero aiutato a saperne di più di quel luogo. Diede loro appuntamento alla serata del giorno successivo, avrebbe avuto il tempo di sistemare al meglio il suo equipaggiamento.

La sera successiva i quattro si ritrovarono in piazza ad Amon; Valdir descrisse loro quel che aveva visto, i tre annuirono, decisero di aiutarlo a scoprire di più. Una volta equipaggiati, presero il mare e rapidamente arrivarono a destinazione. La piccola compagnia si fece rapidamente strada fino alla grata. Le preghiere del sacerdote di Danu erano come luce in quell'oscuro luogo, i non morti diventavano rapidamente cenere prima che la prima linea potesse calare pesanti colpi. La discesa nell'abisso, fra cattedrali scavate nella roccia e stretti cunicoli si fece più dura di quanto previsto. Con non poca fatica, riuscirono a sgominare le orde di non morti. Non trovarono segni di insediamento umano, quindi decisero di proseguire. Dopo un ennesimo cunicolo di roccia e mattoni e pietra, spiando dalla serratura di una pesante porta di metallo, Valdir potè notare da dove provenissero quelle nenie che erano soltanto percettibili in precedenza: un nutrito gruppo di cultisti, in abiti rossi, erano radunati intorno ad un circolo, recitavani preghiere davanti a quella che sembrava l'effige di Oghmar. "Oghmar? Non morti?" Quelle figure parevano come in trance mistiche. Non era comune partecipare a riti simili, su Ardania Valdir non vide mai praticare questo tipo di cerimonie, soprattutto per le sue origini nordiche.

Stava cercando di riuscire a risolvere quel mistero; figure che prelevano acqua e cibo per Draghi; cultisti di Oghmar; non morti che coesistono con gli uomini. Probabilmente, in quel luogo, il flux veniva manipolato più del dovuto. Il rito si concluse, o almeno così sembrava. Le rosse figure si incamminarono in silenzio oltre una porta, lasciando libera la stanza. La piccola compagnia entrò: rimasero ammaliati dal tetto sopra di loro. Era così scuro che pareva non avesse fine, lanterne volteggiavano a mezz'aria illuminando la stanza, sembrava un luogo metafisico. Avevano trovato dove si nascondevano gli umani; l'ora tarda aveva favorito l'esplorazione, molti di quei mistici riposavano, la loro avanzata sarebbe stata favorita da un numero esiguo di nemici. O almeno così pensavano.

Furono sorpresi da due guardie, prima che potessero dare l'allarme furono tramortite, legate ed imbavagliate. Le intuizioni di Valdir erano giuste: indossavano scaglie di drago, dalla testa ai piedi. Le antiche bestie venivano quindi tenute in schiavitù, studiate dai mistici per le loro abilità magiche ed uccise quando esaurivano la loro utilità, dando così materiale per i guerrieri. Valdir decise di porre fine a quello scempio. La compagnia proseguì, avanzando lentamente, in silenzio. Quel labirinto era buio, angusto, pieno di trappole. Puzzava terribilmente.

Nella nuova enorme stanza dove erano appena giunti vi erano tre alte grate, lamenti, fiammate e ruggiti provenivano dal loro interno. Li avevano trovati: tre esemplari di draghi, serpentino, blu e bianco erano stati imprigionati, tre uomini a cella tiravano pesanti catene legate al collo delle creature, cultisti con tuniche rosse elevavano nenie a braccia aperte, ciondolando e come in trance. Librerie alle pareti, tantissimi tomi, ossa e teschi di drago accatastate. L'ira divampò in Valdir, ma sarebbe stato incauto attaccare a testa bassa, era morte certa. Strinse l'impugnatura dell'arco, incoccò una freccia, tese la corda e scagliò. La freccia sibilò, spense due candele e si conficcò nella spalla di una libreria. Due cavalieri in armatura si mossero per andare ad accendere le fiaccole. Finirono legati, in un angolo. La visuale ora era libera, poterono osservare il rituale. Fra loro ed i draghi si frapponevano una decina di guardie armate e qualche cultista. Troppi, non conosceva a fondo quel luogo, avrebbero richiamati i compagni e sarebbe finita male, molto male per la compagnia. Dovettero attendere che il rituale finisse. I draghi resistevano agli attacchi dei maghi, ebbero la meglio, non smisero mai di lottare furiosamente con le catene e con i maghi che cercavano di dominarli.

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Il rituale parve concludersi, senza successo, i draghi sbattevano ancora le loro ali, cercando di liberarsi e oltrepassare le grate. "Finiamola qua" urlò un soldato armato "Domani spezzeremo la tenacia di questi esemplari. Voi due, fissate le catene ai pilastri. Voi, laggiù, accompagnate gli Accoliti nelle loro stanze. Tu, con me". Scese da una rampa, uscendo dalla vista. In breve tempo, l'immenso salone si svuotò. Valdir ed i compagni ebbero rapidamente la meglio sulle guardie, si trovarono di fronte alle grate. Non sapevano quanto tempo avessero prima che una eventuale ronda tornasse e li sorprendesse, dovevano agire rapidamente. Non potevano però nemmeno aprire le grate, una volta trovati i meccanismi di sblocco, e farsi trovare davanti ai draghi. Sarebbe stata morte certa e veloce.

Igan, Erik ed Isenor sarebbero rientrati usciti e avrebbero trovato riparo nel bosco, cercando di rendersi invisibili. Valdir sarebbe rimasto all'interno, sfruttando le ombre avrebbe aperto i meccanismi e liberato i draghi.

Deglutì sonoramente. Ripose l'arco, levò i guanti. Non avrebbe ingannato facilmente i draghi, il loro fiuto ed il loro istinto. Erano creature antiche, sarebbe stato offensivo pensare di poterle ingannare spegnendo qualche candela.

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Non vedeva leve o serrature da forzare, il meccanismo era altrove. Si mosse furtivamente, sentiva su di lui quei sei occhi di draghi, un brivido gli corse lungo la schiena. Temeva una ronda o una campana d'allarma. Tutto taceva.

Oltre una spessa porta, recante la scritta "Il Grigio Sapiente ci guarda", vide alte librerie piene di tomi di diversi colori, dimensioni, rilegature. Al muro, una leva. Socchiuse la porta, chiuse gli occhi, strattonò. Contrappesi calarono veloci lungo le guide, le catene sferragliarono, le ruote delle grate cigolarono, rumoreggiando si alzarono. Silenzio.
Vento, le ali cominciarono a sbattire, ruggiti, fiammate.

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Le tre creature uscirono, annusando l'aria, si incamminarono verso l'uscita, una enorme apertura nel soffitto, prima nascosta da quell'incantesimo mantenuto dai Cultisti. Non si curarono di Valdir, ma si librarono veloci verso l'alto. Valdir corse percorrendo a ritroso i corridoi, in silenzio. Le pile di cenere dei non morti erano fumanti dove li avevano colpiti. Dopo aver percorso una buona distanza, sentì in lontananza una campana suonata forsennatamente, urla, grida, lo stavano cercando. Corse rapido, salì i gradini. Era fuori, il cuore in gola, le mani tremanti. Raggiunse i compagni, le luci si facevano intense dietro di loro; intravide l'apertura da dove erano usciti i draghi. Sorrise.

Si mossero verso la nave, la spinsero in mare, remarono e issarono rapidi e vele. Il vento parve essere d'aiuto, almeno quella volta. Lanciarono grida di gioia, l'esplorazione era stata fruttuosa, Valdir si tranquillizzò e rise con i compagni. Amon li attendeva, avrebbero goduto del meritato riposo.
By Valdir Kentor
#33882
Arrotolò la missiva, la piegò accuratamente, la inserì in una delle tasche del corpetto. Prese le briglie di Umbra, la allontanò dalla paglia che stava oziosamente ruminando, controvoglia l'animale si mosse e lo seguì. La Guardia del Monastero alzò la pesante grata del cancello, Valdir ringraziò con un cenno e si incamminò, lentamente, sul ponte, e via verso Seliand, sempre camminando al fianco di Umbra. La situazione sembrava tornata alla normalità dopo lo scontro degli eserciti, non vi erano più i rifugiati dentro il Monastero, erano tornati a vivere nelle loro dimore. Attraversò il ponte scricchiolante della Via Esterna, si addentrò nel bosco in direzione del Trivio. Preferiva non lasciare tracce e camminare in mezzo agli alberi; la loro ombra lo rassicurava. L'aria era fredda, quel giorno, nonostante fossero appena le prime ore del pomeriggio; alzò il cappuccio, accelerò il passo.

La breve distanza che lo separava dalla radura druidica fu percorsa in poco tempo; distinse animali all'interno dei recinti, il solito flebile sbuffo di fumo uscire dal comignolo sul tetto, i vetri che riflettevano il candore delle montagne a nord, l'erba spazzata dal vento. Figure ammantate in abiti verdi era intente a prendersi cura della piccola abitazione. La scorse, seduta su una panchina, mentre parlava sottovoce, quasi bisbigliando, con una dei druidi. Legò Umbra, calò il cappuccio, si avvicinò alla druida: "Kveda"

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Haramiel si interruppe, lo guardò, portò una mano alla bocca: "Perdonami, non ti ho piu risposto alla missiva Valdir! Ne ricordo un paio a dire il vero, una era molto lunga, con dei disegni
che ho già passato a Kelthor e Isaac, due affidabili epsloratori. Invero, mi riferivo nello specifico a quella dove chiedevi di parlare di qualcosa." Valdir sorrise: "A quella mi avevate risposto" rispose mostrando il documento piegato, facendolo sporgere dalle tasche "sono qui per confrontarmi con voi su concetti inerenti la fede nella Madre"
Haramiel si alzò, si congedò dalla druida: "Aja, ci vediamo dopo. Prego, accomodiamoci all'interno".

Il calore del camino riempiva la stanza, così come il profumo dello stufato e del pane appena sfornato. "Dunque, di cosa volevi parlarmi?" Valdir le chiese maggiori dettagli sulle aberrazioni: "Mi ricordo che una delle prime volte che parlai col Rumenal per avvicinarmi al pensiero della madre mi disse di liberarmi delle creature che non erano... pure? Concedimi il termine... Abbiamo quindi provveduto a liberarla nel suo habitat, dopo che mi aveva seguito in tante battaglie. Volevo quindi capire il perchè." Lo scrutò e gli rispose: "Un atto di gentilezza il tuo. In genere le chimere vengono sterminate dai drudjah. Ma dimmi, cosa è un aberrazione?"

Valdir si prege qualche attimo per riflettere.
"Qualcosa che non è generato dalla Madre stessa?" "Anche. Poi?"
"L'unione di più entità che non dovrebbero unirsi, come uomini e ragni?" "Anche. Poi?"
"Qualcosa che esula dall'equilibrio?"

"Sono molte cose a dire il vero. Una linea comune è che un'aberrazione va abbattuta quando stride con l'Equilibrio di Arda. Ma quando un'aberrazione è contro l'Equilibrio? Invero, secondo alcuni noi drudjah dovremmo essere in grado di percepirlo e sentirlo. Non è cosi semplice avere comprensione del tutto e attualmente ci soffermiamo a parlare spesso di diverse creature. E spesso capita, infatti, che le studiamo e cerchaimo di comprenderle per valutarne il loro ruolo in Arda. Dunque, per semplificare questa cosa, si sono stabilite alcune regole che non sono legge e certezza, ma possono aiutare nella comprensione e nella definizione di una cretura aberrante. In un certo senso le hai già citate, ad esempio, la più palese si limita all'aspetto esteriore di queste creature" disse la Gran Druida.

"Le arpie, quindi, sono da considerare tali, se ci si dovesse soffermare sul solo fattore estetico" disse Valdir. "Ay, così come alcune creature che infestano le paludi, i rettili su due zampe. Non si tratta solo di aspetto gradevole o meno; ma generalmente si valuta se siano distinguibili aspetti di diversa orgine. Quando questi sono presenti, allora potrebbe trattarsi di un aberrazione e spesso, quando sono presenti piu aspetti, si hanno anche linamenti non armoniosi."
Valdir pareva confuso: "Non è affatto facile, anche per i circoli del sud e del nord, capire cosa sia una aberrazione e cosa non lo sia. La più evidente potrebbe essere la chimera, una molteplicità di aspetti vivono in lei. Ma laddove non sia così evidente capirlo?"

"Se qualcosa lo richiede se ne discute, tra circoli, nei circolli e ci si confronta insieme, perchè non è sensato escludere le idee altrui a prescindere dalla propria convinzione. Ad esempio, le creature di quella Vallata sono aberrazioni o no?" chiese sorridendo Haramiel, portando due dita al mento.

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"Il popolo che ha costruito gli accampamenti, valutando quel che dicevi prima, potrebbe sembrare una aberrazione. Sono pur sempre rettili che si reggono su due zampe". Haramiel annuì.
"Quel popolo che vive al nord ha accampamenti, non si mostra però amichevole con i viandanti, a differenza di quelli a sud". Haramiel annuì, ed aggiunse: "Vi è una differenza netta tra i due popoli. Secondo te quale è?"

"Lo spirito che guida le loro azioni? I primi, a sud, si sono mostrati aperti verso l'invasione da parte dei popoli tutti di Ardania. La popolazione al nord invece ha deciso di cacciare chi osasse entrare nel territorio. Le intenzioni ostili possono dare una idea della natura stessa delle creature: non saprei quale creatura considerata aberrazione possa essere pacifica nei confronti del popolo di Ardania" rispose Valdir, dubbioso.

Haramiel lo corresse: "Secondo me non è quello l'aspetto degno di nota per valutare la natura abberrante di una creatura, anzi, quello è un aspetto degno di interesse quando si vuole studiare una popolazione che accetta perfetti sconosciuti a casa loro. Dunque, da quanto ne abbiamo discusso noi drudjah, ho evidenziato un importante differenza tra queste due popolazioni: il Dono dell'Intelletto. Fa parte di uno dei doni che ella ci ha donato. Dunque, se osservi i comportamenti della popolazione a Sud sembrano in grado di interagire, essere furbi, ed essere organizzati in un certo modo, quasi come una gerarchia. Mentre i popoli a nord sono soliti difendersi dalle ostilità di quel luogo, occupando dei luoghi caotici e senza apparente senso. Quasi come un branco aggressivo e da lineamenti grezzi, mentre quelli a sud hanno lineamenti piu morbidi." Valdir pensò agli aculei che sporgevano dalla schiena della popolazione al Nord. "Dunque, questi due popoli sono aberrazioni?" domandò nuovamente la Gran Druida.

"Direi che forse il popolo al nord lo è, ma non abbiamo ancora abbastanza informazioni per poterlo ammettere con chiarezza: il fatto che siano combattenti ostili, con aculei, non può essere un chiaro segnale che alterino l'equilibrio. La mancanza di informazioni non può essere riempita con giudizi veloci perchè altrimenti si perderebbe il ruolo di studiosi e protettori del creato della Madre. Giusto?"
Haramiel lo aveva ascoltato con occhi stupiti, facendogli segno di continuare quando pareva che l'uomo fosse in dubbio sulle sue parole: "Sono stupita, hai risposto da drudjah. Forse i sentieri di Ella ti porteranno all'essere drudjah." La risposta di Valdir deriva dal suo primo incontro con un druido: lo aiutò a recuperare le forze ed i suoi beni dopo uno scontro con una creatura dell'ombra. Il druido si pose fra il nemico e Valdir, senza però ucciderlo, gli diede il tempo di recuperare i beni e mettersi in salvo, uscì anche lui: la risposta lo lasciò di stucco: "Non conosco quella creatura. Prima di colpirla, devo studiarla". Da allora, l'arco di Valdir non si alzò mai verso gli sconosciuti.

Haramiel schioccò le dita, il nordico era perso nei pensieri: "Cosa è che definisce un drudjah? Lo sai?" Valdir scosse il capo. "Ci sono alcuni Doni che ci sono donati da Ella. Uno penso che tu lon abbia già compreso. Non so quanto sia legato al vostro Livmor o all'Yggdrasil del nord, o quanto ai Qwaylar, ma quando qualcuno viene definito drudjah da chi ne comprende il significato gli vengono riconosciuti tre doni che solo i drudjah hanno. Per me un Gael è anche un drudjah, come lo sono i Qwaylar del circolo della giungla. E' una parola, ma è il significato in essa contenuta che è importante." concluse l'elfa.

"Dove posso trovare più informazioni sui Doni?" "In realtà, pensavo fossero qui" rispose ridendo Haramiel, mentre spostava i vecchi e polverosi tomi contenuti nella libreria alla sinistra dell'ingresso. Allontanò dal volto la polvere che si era sollevata, tossendo leggermente. "Oh beh - guardando dalla finestra, notando il lama - hai modo di muoverti fra le baite, troverai sicuramente qualche informazione viaggiando".

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Valdir sorrise e rispose: "Lo farò e ti scriverò una missiva quando scoprirò gli altri doni. Ti ringrazio per la gentilezza ed il tempo" e addocchiò da lontano la libreria. Era incredibile come non la avesse mai notata fino ad allora.

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Haramiel si congedò ed uscì, tornando a concluedere le sue faccende con la druida. Valdir si alzò, controllò la libreria. Controllò i tomi, spostandoli uno ad uno, leggendo qualche pagina di ciascuno. Ogni tanto un druido, in silenzio, entrava, spostava i pesanti pentoloni di cibo, aizzando ed alimentando il fuoco, ed usciva nuovamente. Valdir non notò che si fece sera, e poi notte. Dopo ore di lettura, ebbe un sussultò che lo destò dal torpore del sonno. Il secondo Dono gli era stato rivelato: il Libero Arbitrio. Ora, doveva solo chiudere il cerchio.

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By Valdir Kentor
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"Intelletto. Libero Arbitrio. E la terza?" rimuginava mentre la nave solcava il lembo di mare che separava le terre umane da quelle elfiche. Era intenzionato ad avere maggiori informazioni su una tana di alcuni briganti che aveva visto nei dintorni di Rotiniel. L'obiettivo era andare a scoprire cosa celavano le sue segrete, ricordava chiaramente di aver sentito i lamenti e le grida di viverne e chissà quali altri animali. Prima di avventurarsi, però, avrebbe dovuto avere maggiori informazioni, ne avrebbe trovate alla Perla.
Si mosse rapidamente verso il centro, in una tranquilla mattina di Apritore, il vento dal mare soffiava gelido, la piazza non era particolarmente gremita di persone. Fra le altre, Valdir non poté non notare una figura; al Monastero e ad Amon gli dissero di cercare Fhyldren, in quanto capo della Via del Sapere, o qualcosa del genere. Valdir pensava che dovesse essere qualcuno di importante.

Vide un Sindar, avvolto in un mantello blu, intento a conversare con alcuni dei passanti; i due si notarono, il Sindar si irrigidì e scrutò il nordico. Valdir non poté non notare lo sguardo diffidente, si presentò subito: "Kveda - disse levando il corpricapo a forma di orso - spero che nonostante i miei tratti la mia presenza qui non sia un problema. Mi chiamo Valdir Kentor."
Senza tradire emozioni, il Sindar si voltò, chiamò vicino a lui un uomo armato e gli chiese: "Cavaliere! Non ricordo se i nordici devono avere un mantello..." "Veterano! Non più Cavaliere!" disse l'uomo in armatura. "Per me Cavaliere" gli rispose rapido il Sindar. "E' una bella domanda Lord". Lo scrutarono. Valdir forse ebbe fortuna.

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"Non porto il mantello della città del Nord. Abito da molte lune nei boschi che si estendono dal Monastero fino alle mura di Amon; non appartengo a nessuna città, mi occupo solo della natura. Sono venuto qua a cercare informazioni." disse Valdir, sorridendo. "Avete legami con l'ordine della Quercia?" chiese il Sindar, senza far gesti che potessero rendere il suo interlocutore più a suo agio. "Mi sono avviato da qualche tempo sul sentiero della Madre. Sto quindi cercando di vivere come i Gael del Nord ed i Gael del Sud. Sono qui per avere più informazioni, se ne avete ovviamente, su una banda di briganti che vive nelle montagne proprio di fronte alla vostra città - girandosi ed indicando verso Ovest, oltre le mura - Vorrei sapere in particolare quale fine attenda le creature che tengono imprigionate nelle loro celle; se fossero solo addestrate o peggio, uaste per alcuni strani rituali".

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"Hanno cacciatori esperti che catturano creature tipiche delle terre circostanti. Hanno inoltre arcanisti che usano pratiche un pò rozze, usando dei sacrifici rituali per evocari demoni di medie dimensioni, ma per un elfo non è una aberrazione, al massimo il problema è che si mettono in pericolo, perchè non sono all'altezza. Quei briganti praticano verso i regni elfici guerriglia da molti anni: sono purtroppo un gruppo di elfi che non si è mai integrato nella Collettività ed ha atteggiamenti simili a quelli di briganti umani" rispose il Sindar. "Quali sono i loro scopi?"
"Credo sopravvivere, dopo essersi costruiti una propria distorta Collettività che identifica gli altri come nemici. Nell'anno passato abbiamo scoperto che erano manovrati, infatti il loro capo spirituale era un esponente del Decadentismo: é complesso da spiegare, sono elfi che mirano alla autodistruzione della società elfica. Usando soprattutto dei membri più esperti hanno cercato di rovesciare i regni del Doriath; sono anche riusciti a liberare su tutto il Doriath alcuni Deva, che erano imprigionati in un luogo del Doriath... avevano iniziato persino a controllarli quando siamo riusciti a fermarli. Tutto il Doriath è stato invaso da queste creature per mesi un fiume in piena da una prigione senza fondo"

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Valdir non aveva mai sentito di quelle vicende: "Che fine ha fatto questo esponente del gruppo?"
"Assassinato. E il suo spirito è stato imprigionato con un rituale e disgregato in mille diversi piani, affinchè non potesse mai tornare in vita o trovare alcuna pace" rispose il Sindar. Valdir era pensieroso, aveva dubbi su quello che avrebbe trovato in quelle profondità. Si chiedeva come avrebbe liberato le creature, ma visto che erano briganti, forse avevano costruito tunnel per poter fare razzie e fuggire senza essere scoperti. Rivelò le intenzioni al Lord, la sua risposta fu abbastanza evasiva: "Beh, chiaramente se sono aggressive e saranno una minaccia, spero non dovremo abbatterle". Valdir pensava che le viverne avrebbero potuto fare ritorno in volo verso il deserto a Sud; degli altri animali, non aveva idea di cosa avrebbe trovato. Il Cavaliere si congedò dai due. Valdir si propose di aggiornare per missiva il Sindar, se la sua iniziativa fosse andata a buon fine, ma non sapeva il nome del suo interlocutore: "Sono Fhyldren Gaerys, Custode dei Sussurri e Lord della Perla, mi occupo del Sapere nel Tempio di Rotiniel." Si salutarono, ogni proseguì verso la sua strada.

Si sarebbe deciso a compiere la sua missione, rientrò verso Amon a pianificare l'assalto notturno, come già avvenne per Damnogoth: usando le tenebre, avrebbero fatto irruzione e liberato le creature. Se ne sarebbero tornati poi al sicuro nelle terre umane, dando a Rotiniel qualche giorno di pace. L'indomani, all'interno della piccola abitazione situata nella Piccola Amon, Valdir, Erik, Isenor ed Igan stavano accordandosi su come fare ad arrivare nella tana senza essere scoperti e facendo in modo che i briganti non dessero l'allarme. Era necessario un assalto notturno, sfruttando il favore delle tenebre. Con un po' di fortuna, i briganti sarebbero stati fuori dalla tana a pianificare le loro azioni di guerriglia nel Doriath. Attesero il buio, si mossero in gruppo verso Cheshire e salirono a bordo della loro imbarcazione. Valdir avrebbe provato a scendere in battaglia con la Tartaruga che aveva ricevuto dai Ramjala: il loro legame stava fortificandosi, sarebbe stato un banco di prova importante.

Spiegarono le vele, sfruttando il vento si lasciarono alle spalle l'isola Vittoria, l'isola Fiume e l'Isola dei Pescatori: procedettero decisi fino all'isola Azzurra, nel Doriath, avrebbero ormeggiato nella radura dove i Druidi avevano un piccolo circolo: la barca su assicurata alla riva, le spade estratte dai fodi. Valdir tinse la sua armatura di muschio, per avere un vantaggio ancora maggiore. Si mossero rapidi, verso la Valle dei Sussurri. Alcuni briganti erano di ronda, attesero una loro distrazione per salire sulle rocce che separavano l'entrata dal suolo. Erano dentro. Non vi erano non morti all'interno della tana, l'incubo di Damnogoth era un ricordo. Sembrava un accampamento di briganti come quello poco ad Ovest del Trivio, l'illuminazione fioca caratterizzava quei luoghi. Come presumeva, vi erano chiari segnali di riti demoniaci, come già preannunciato da Fhyldren.

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Dovevano essere fermati.

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Il Creato della Madre era stato ferito. Mortalmente.

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Grazie alle ombre e alla rapidità in combattimento, riuscirono a farsi largo, avvicinandosi sempre più alle prigioni degli animali. Arrivarono in quello che doveva essere il luogo delle riunioni di quei predoni: un luogo ampio, dove erano accatastate le ricchezze sottratte agli abitanti del Doriath e... qualcosa che i quattro non avevano mai visto nelle loro spedizioni. Delle fedeli riproduzioni delle città del continente elfico.

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Valdir fece qualche appunto su di un foglio; cercò di riprodurre quel che vide, per poterlo meglio testimoniare a Fhyldren. Si parava di fronte una grande grata metallica; erano arrivati al loro obiettivo, le celle delle bestie imprigionate. Erik ed Isenor appoggiarono armi e scudi a terra, fecero forza su delle leve, l'imponente saracinesca, rudemente, cominciò ad alzarsi; Igan e Valdir la oltrepassarono, i due guerrieri corsero e si lanciarono sotto la grata prima che si chiudesse alle loro spalle. "E ora? Come torniamo indietro?" "La Madre ci guiderà"

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Al secondo piano, era presente la gabbia più grande: vi erano quattro viverne, stanche, segnate da profonde ferite nelle loro armature. Prima di liberarle, Valdir doveva trovare una uscita per i compagni e per le creature stesse. Scesero ai piani inferiori. Vi erano poche guardie, i briganti confidavano nella robustezza delle grate. Avevano catturato animali da ogni luogo del Doriath: scarafaggi giganti, mietitori, formicaleone, nonché Minotauri. E ragni, di ogni sorta. Draghi serpentini e addirittura una chimera. Quale orrore si parava davanti agli occhi del Nordico. Le grate erano facilmente apribili, non sarebbero state un problema per i grimaldelli di Valdir. Rimaneva il problema della via di fuga, l'enorme grata era serrata al piano superiore era bloccata e non sembrava apribile dall'interno. Forse vi era un meccanismo nascosto, ma avevano poco tempo.

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Erik camminando lungo un muro sentì uno spiffero. Possibile? Impugnò l'ascia dall'elsa, cominciò a picchiettare il muro. Suonava cavo. Aumentò la forza. Era un passaggio nascosto, si aprì di scatto. Un tunnel, scarsamente illuminato ma abbastanza grande da permettere l'uscita delle bestie.

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La piccola compagnia si avventurò nel tunnel. Era buio, non vedevano dove potesse condurre. Giunsero davanti ad alcune biforcazioni, senza separarsi le provarono. In punti diversi, riuscivano a riaffiorare nel Doriath. Scelsero il Tunnel più comodo per le creature, decisero di bloccare i movimenti negli altri, per concedere agli animali una unica via comoda d'uscita. Iniziarono con le creature più docili, proseguendo con le battagliere. Infine, le viverne: troppo combattive per domarle, troppo fiere per sottomettersi al comando di un uomo. Valdir sfruttò la stessa tecnica di Damnogoth.

Un battito unico di ali, ombre si alzarono nel cielo, urlanti si mossero verso il Deserto. Valdir sorrideva, la tana dei predoni taceva. La barca, nuovamente, salpò.
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