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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Valdir Kentor
#30140
"Rientriamo, questo covo di gargoyle non sarà più un problema per la Baronia. Almeno per una notte queste inquiete ombre giaceranno a terra." disse Valdir, riponendo nella faretra la freccia appena incoccata nella corda dello splendente arco. I tre compagni annuirono, uscirono dalla buia grotta e salirono in groppa ai destrieri. L'aria era fredda, si infilava nei polmoni dei quattro gelando ogni cellula del loro corpo; il Freddo permea ogni cosa attraversi i suoi immensi possedimenti. Timidi cristalli di neve cominciavano a cadere dal cielo, le Stelle erano lievemente oscurate da bianche nuvole.

Nemmeno il tempo di serrare le briglie e le bisacce ai cavalli che l'attenzione della piccola compagnia fu rivolta alle rapide luci di torce che velocemente si stavano avvicinando a loro; quando le fiamme furono più vicine, poterono distinguere una figura avvolta in spesse pellicce bianche in groppa ad uno stambecco. L'animale si fermò, ansimando e levando sbuffi di caldo vapore dalle narici.
Nella penombra della torcia si potevano distinguere orsi polari e serpi giganti, gli occhi fissi sulla piccola compagnia, in attesa di una mossa dell'uomo alla guida del gruppo che era appena sopraggiunto.

"Kveda, avventurieri! Che ci fate, voi, qua, di fronte a questa grotta"?" chiese l'uomo. Poterono dinstinguere un brillante anello intarsiato, era inconfondibilmente un Gael del Nord, Valdir però non lo aveva mai incontrato prima e non conosceva il suo nome. Alzando una bisaccia con delle pelli, rispose: "La Baronia può dormire tranquilla, questa notte i Gargoyle non semineranno terrore tra avventori dei ghiacci".
Il Gael parve soddisfatto, il mucchio di pelli sembrava pesante. Riprese ed aggiunse: "Qualunque sia la vostra destinazione, fate attenzione lungo il tragitto. La Baronia è diventata terreno di scontro in questi ultimi tempi". Si congedò dal gruppo di avventurieri e si allontanò rapidamente

"Un gael in ronda. Vedo la Baronia più agitata in queste ultime lune... Forse ciò ha a che fare con ciò che è avvenuto con Hammer? Oppure si tratta di un mero caso ?" pensò Valdir. Si unì ai compagni che si erano già mossi sulla via del ritorno, imboccarono un sentiero battuto e si mossero alla volta dell'Orus Maer. Il loro rapido avanzare fu però nuovamente interrotto, questa volta nei pressi di Kard da una delegazione di Djaredin, intenti nel pattugliare le loro terre. Il confronto con i Mastri fu rapido, entrambi i gruppi si erano già visti in passato, poterono ciascuno riconoscere i volti degli altri, sapevano di potersi fidare mutualmente.

Una seconda volta la compagnia ripartì. Il crepitio della neve sotto gli zoccoli dei destrieri accompagnava il loro cammino ,il vento continuava imperterrito ad ululare, infilandosi nelle spaccature delle alte montagne perennemente imbiancate. La neve cominciò a cadere più fitta, la visibilità di era notevolmente ridotta. Nei pressi dell'Orus Maer, il vento aumentò nuovamente di intensità, si fece pesante, le cinghie delle bisacce cominciavano a tintinnare contro i muscoli dei cavalli, facendo cadere piccoli cristalli di ghiaccio. Le montange del Passo parevano rumoreggiare, la neve era un unico muro bianco che si stagliare di fronte ai loro occhi.

"Fermiamoci qua!" "Proseguiamo!" "Non vi sento!" "Avanziamo!" "Un riparo!"

Confuse si fecero le voci dei quattro, gli animali parevano essere frenati alla vista dei ciottoli del Passo che calava verso il verde del Sud. Erano in mezzo ad una vera e propria tormenta, la fiamma delle torce era ammantata dall'oscurità della notte.

"Avanziamo, siamo vicini!"

Si infilaro tra le montagne del Passo. Dopo un paio di ripidi tornanti, con i guanti pulirono i manti ed i loro cappucci dalla neve, lasciando dietro di loro bianche tracce ghiacciate. L'inferno di neve era alle spalle, il vento continuava a ululare, anche se più flebile e lontano. Un sorso dall'otre di pelle e si preparono ad imbroccare l'ultimo lieve tratto di discesa che li avrebbe portati nel verde Sud.

"FERMI!" "ALT!"

Nitriti, grida, urla, braccia alzate. Oltre dieci manti verdi erano posizionati di fronte a loro, con lo sguardo minaccioso e le armi impugnate, saldamente strette alle impugnature di quercia. Una voce sovrastò le altre e fece calare un irreale silenzio.

"IDENTIFICATEVI"

"Sono Igan, di Amon" "Io sono Erik, sempre di Amon"

"LONTANI ALLORA, VOI DUE"

Lo sguardo del cavaliere si fissò sui due rimanenti della compagnia. Isenor e Valdir, figli del Nord, di Helcaraxe.

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I tratti dei due erano inconfondibili, furono separati dai compagni e accerchiati dal folto gruppo. Isenor e Valdir non arretrarono, scesero dai destrieri; sapevano quel che era accaduto fra i due Regni, ricordano i messaggi affissi nelle bacheche. Si erano sempre tenuti lontani da tutto questo, vivendo come avevano fatto da molte lune, nei boschi, cacciando ed entrando in contatto sempre più con la natura. Videro la guerra scorrere lontano da loro.

"Chiunque provenga dal Nord è bandito da queste terre!" urlò il cavaliere a cavallo, e proseguì: "Allentate bisacce e borse, procederemo con una perquisizione".

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Gli uomini intorno si avvicinarono all'udire quelle parole. I due non poterono che acconsentire a quella richiesta.

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Non trovarono quello che cercavano, né manti di Kurdan né kilt dei Clan dei Nord. Gli uomini dai verdi manti si allontanarono di qualche metro, tenendoli sempre sotto controllo. Valdir e Isenor rimaserono impassibili, vicini ai loro destrieri.

"Queste sono le nostre terre, aspettatevi altre perquisizioni, altri interrogatori. Proseguiamo!"

Il cavaliere si allontanò e con lui il nugolo di seguaci. La piccola compagnia si riformò. serrarono nuovamente le selle e le stracche e ripartirono.

Valdir era cupo in volto.
By Valdir Kentor
#30227
Le giornate successive all'incontro con l'esercito di Hammer trascorsero lente; i pensieri attanagliavano la mente di Valdir. Tanti erano i dubbi che lo avevano colto.

Per lune e lune era rimasto nei boschi, aiutandoli a tornare rigogliosi, proteggendo la fauna che viveva lì protetta dalle chiome degli alberi. Aveva osservato passivamente lo scorrere delle guerre, era solo interessato ai boschi. Non quella volta, però. La guerra era arrivata fino a lui, era stato fermato e perquisito solo per le sue origini. Poteva essere il primo episodio di altri che sarebbero potuti essere anche peggiori. Rifletteva.
Quel vento, quella tormenta, parevano avergli inviato un allarme, un grido che era rimasto inascoltato. Aveva proseguito diritto, lungo il passo, incurante dei segnali che aveva ricevuto.

Che fosse giunto il momento di prendere una decisione? Doveva forse capire quale fosse il suo ruolo nella complessa geografia di Ardania? Era forse giunto il momento di abbracciare anche altri punti di vista? Le forze in gioco erano enormemente più grandi di lui, si era sentito schiacciato in mezzo a questi macigni immovibili senza alcun potere di poter influenzare il loro moto. Si era trovato malauguratamente sul loro cammino, finendone schiacciato.

Come poteva accadere tutto ciò, però? Aveva vissuto nel solo credo di Aengus, per tutta la sua vita. Il fuoco che ardeva in lui lo aveva spinto a solcare mari e fiumi, scalare montagne ed attraversare deserti. Tutto ciò era stato giusto per Ardania? Come poteva ritrovare la pace nel suo cuore? Poteva avere ristretto la sua vista sulla sua sola condizione personale ed avere perso di vista il bene comune?

"E' giunto il momento di capire cosa fare di questo mio tempo su Ardania. Ora e in futuro - devo ricongiungermi con Aengus e trovare risposte. Che ruolo dovrò avere? Cosa dovrò proteggere? A chi mi dovrò votare?" si chiedeva Valdir "Sono risposte che potrò ottenere solo da una persona".

Umbra lo stava aspettando, saltò in groppa e partì alla volta di Helcaraxe. Rapido si lasciò alle spalle il Passo, Hulborg, i cunicoli nelle montagne. La neve crepitava sotto gli zoccoli, conosceva a memoria quella strada, l'avrebbe potuta percorrere ad occhi chiusi. Il breve tragitto in marefu affrontato senza problemi, il mare era placido e non presentò alcun inconveniente. Il traghettatore attraccò al molo, si scrollò di dosso il gelo accumulato e si adagiò affianco ad un tiepido fuoco. Valdir scede ed accompagnò il suo compagno animale fuori dalla piccola imbarcazione e proseguì fino alla piazza.

Era sera, c'era fermento, clangore di armi, corazze che venivano riparate, scintille che salivano in cielo, mole che scivolavano sulle lame per renderle ancora più lucenti ed affilate.
I destrieri sbuffavano vampi di vapore, inquieti, pronti a portare i condottierin battaglia. C'era profumo di neve, di freddo, di guerra. Urla si levavano da ogni angolo della piazza, un grande fuoco ardeva nel centro di Helcaxe.

Su di una panca, rivolto verso le fiamme del fuoco d'accampamento, era seduto Cartis, avvolto nelle sue pellicce bianche come la neve. Al suo fianco, un altro Gael, Tuyuk. Entrambi, in silenzio, osservavano i legni bruciare.
Valdir lasciò in consegna Umbra allo stalliere, pagò il dovuto e prese posto affianco al Rumenal. Senza tanti preamboli, arrivò subito al nocciolo della questione: "Rumenal, ho bisogno di risposte. Mi sento perso".

Cartis inspirò, si alzò lentamente, chiuse e riaprì gli occhi, scavalcò la panca, alzò il cappuccio e risposte: "Seguimi". La piazza continuava a rumoreggiare alle loro spalle mentre imboccavano il sentiero che conduceva fuori città, in mezzo al boschi. Oltrepassarono gli alti cancelli, si ritrovarono soli nel candore della neve. Nulla produceva un suono. C'era solo silenzio.

Valdir proseguì, guardando i due Gael: "Penso che sia giunto il tempo di prendere una decisione. Non posso più permettermi di non avere un ruolo in questo mondo. La natura e la salvezza di questa dipende anche dagli uomini che la abitano; Aengus pare avere distolto lo sguardo da me, quello che credevo fino a qualche luna fa ora mi sembra lontano". Spiegò ai due quello che era successo sul Passo dell'Orus Maer, prima dell'incontro con l'esercito di Hammer e tutte le successive riflessioni. Fu un racconto accalorato e pieno di passione.

Cartis annuì, attese che l'uomo finisse e si incamminò verso un'altura: "Seguimi".

I tre si mossero seguendo le orme del Rumenal. Dall'alto potevano vedere una grotta di Ragni dei Ghiacci. Proseguì: "Chiudi gli occhi. Percepisci quello che ti sta intorno. Le fronde degli alberi, la neve sotto i tuoi piedi, il vento che ti sfiora la pelle. Chinati, immergi le mani nel manto nevoso della terra."

Valdir fece come richiesto. Una incredibile forza parve avvolgerlo. Gli occhi chiudi gli permettevano di incrementare la percezione dei suoi sensi, la terra era come se tremasse sotto i suoi piedi e ammantasse le sue mani. Era quello che percepiva nei boschi ma molto, molto più forte.

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Cartis sussurrò alcune parole, invitò i due a proseguire. Arrivati al fianco della montagna, nuovamente Cartis invitò Valdir ad eseguire nuovamente un esercizio di concentrazione: occhi chiusi, mano tesa a toccare la nuda roccia.

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"Senti come la Montagna arrivi fino al ventre della Terra." Si mosse nuovamente. Si fermò di fronte alla tana dei Ragni. Enormi ragnatele oscuravano l'entrata, la luce non poteva filtrare pienamente fra quelle incredibili reti. "Avanza, senza timore" disse Cartis.

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Valdir indugiò. Si fidava del Rumenal ma... Una folata di vento lo fece vacillare, un piede affondò pesante nella neve e non perse l'equilibrio. Era chiaro il segnale. Avanzò, attraversò le tele. Rimase immobile, vicino ai ragni. Non era percepito come una minaccia, pareva non fossero preoccupati dalla sua presenza. Lentamente, allungò una mano, poté sfiorare una zampa di un ragno. Esterrefatto, uscì lentamente dalla tana. Raggiunge i Gael, senza parlare i due si mossero verso Kaek Valdar. Valdir non capiva. Cartis fece un lieve sorriso. Camminarono, varcarono i cancelli, si radunarono intorno a grandi monoliti disposti in un cerchio.

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Cartis lo fissò. Le domande di Valdir avrebbero trovato una risposta, o almeno così sperava.
By Valdir Kentor
#30241
"Livmor. Equilibrio naturale. Tutto quello che vedi intorno a te ruota su questa parola: Livmor" disse Cartis.

Valdir voleva saperne di più, continuò ad ascoltare senza fare domande. Il Rumenal proseguì: "Tutto è ciclico. La nostra esistenza non è una linea retta, è un cerchio senza fine e senza capo. I tuoi dubbi sulla tua esistenza sono leciti. Come ogni abitante del Nord, hai una fede in una divinità, Aengus nel tuo caso.
Ma..." prese fiato, e continuò: "Quello che tu consideri come il Dio del Fuoco, per noi Gael non è altro che la potenza più pura del fuoco.
Danu rappresenta l'acqua ed i mari che bagnano le nostre isole. Vashnaar lo identifichiamo nella morte. Althea, infine, nella vita. I nomi che vengono dati dagli uomini per noi Gael sono relativamente importanti: quello che ci interessa è l'essenza più primordiale che essi rappresentano."

Cartis allargò le pellicce, scrollò le spalle e riprese: "Considera un qualunque tempio umano. Dal lembo più occidentale di Hammer alle coste di Amon, vengono eretti templi per una o l'altra divinità. E' possibile che la potenza di un Dio venga imprigionata in quelle mura? Inoltre... Credi veramente che le nostre azioni siano regolate dall'occhio benevolo di un solo dio?".

Tutto era quieto in quelle ore della notte. Non una voce, non un ululato, non una lampada che tintinnava contro una parete. Solo il fuoco che bruciava potente resistendo alle raffiche del vento.

"Ogni divinità esiste per sé e per il suo opposto. Un albero ormai vecchio e consumato dalle intemperie non potrà far altro che cadere. E darà vita al terreno, che lo consumerà per creare nuova vita nel sottobosco. La Morte dell'uno che genera la Vita dell'altro, come in un ciclo unico e indistinguibile all'infinito. Un bosco in fiamme, per il troppo calore estivo, sarà spento da una incessante pioggia nel primo periodo fresco. Questi due elementi a loro volta porteranno vita dalla morte.
Ogni elemento naturale poggia su questi quattro pilastri. E' necessario che i quattro elementi siano in equilibrio fra loro e non ci siano scompensi perchè una alterazione di questa bilancia può essere fatale per un intero ecosistema.
Prendi la sconfinata Baronia: se i cacciatori decidessero di sterminare l'intera popolazione di lupi, cosa potrebbe provare questo?" chiese il Rumenal.

Valdir ci pensò e risposte: "I cervi ed i daini potrebbero vagare liberi... Ma sarebbero in sovrannumero probabilmente".

"Esattamente. Andando a distruggere i raccolti degli uomini, i quali sarebbero costretti ad emigrare in zone con" "più equilibrio naturale" concluse Valdir, aggiugnendo: "La visione dei Gael mi fa pensare ad un topazio, la pietra che troviamo nelle montagne del Nord. Ponendo l'occhio su uno dei suoi lati puoi vedere il mondo in una forma diversa, ruotandolo davanti agli occhi le forme cambiando. Fino ad ora, ho visto tutto sotto una sola forma. E' forse ora di ruotare la gemma".

Il Gael annuì. Poi proseguì: "Come ogni elemento è costituito da questi quattro elementi, c'è una essenza pura che lo governa. Il Flux. Questa essenza può essere tenuta in equilibrio, rispettata ed onorata, oppure usata, sfruttata, imbrigliata, distorta. Noi Gael ci occupiamo di mantenere l'equilibrio nei quattro elementi e nel Flux stesso.
E laddove vi sia una violazione, ci occupiamo di far tornare la bilancia dell'equilibrio nella giusta posizione".

Tuyuk si avvicinò al Gael, dalla bisaccia estrasse dei tomi. Valdir ne aveva visti parecchi nel suo vagare, in vendita nei mercati, dai predoni del deserto o nelle cripte maledette. Osservò, il suo cuore pulsava forte.

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"Questi libri insegnano come manipolare il Flux, sfruttandolo a proprio piacimento senza contribuire all'equilibrio. Il livmor ora deve essere ristabilito." concluse il Rumenal. Pronunciò alcune parole sottovoce, con una voce che pareva provenire direttamente dal cuore della montagna.

Accadde qualcosa che Valdir non aveva mai visto. La neve cominciò a vorticare affianco a Cartis, sempre più rapida. Volate di vento si stavano convogliando al suo fianco, fondendosi col ghiaccio ed i cristalli. Un arcano rumore parve levarsi da terra, come se tutta la Natura si stesse risvegliando da un antichissimo sonno. Il vento ed il turbine erano talmente intensi che Valdir dovette coprirsi il volto e gli occhi con gli avambracci, tenendo ben sale le gambe per non rovinare al suolo. Tutto crebbe di intensità. E di colpò cessò. Si materializzò davanti ai suoi occhi una figura simile ad un nuovo, azzurra come le acque ghiacciate del nord, con una possente alabarda di ghiaccio tenuta salda nella mano destra. Una armatura bianca splendente proteggeva il suo corpo immateriale. Sembrava al contempo impalpabile e indistruttibile. Un secondo guerriero era apparso anche affianco a Tuyuk.

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La Natura stava rispondendo alla chiamata del Gael, che proseguiva con la sua preghiera. Il Livmor reclamava la sua centralità nel mondo. Gli empi tomi furono gettati con forza nella fiamma. Il Fuoco parve esplodere verticale verso il cielo, la fiamma si tinse di un rosso innaturale, come se bruciasse l'essenza stessa della materia primordiale. La luce che li ammantava era accecante. Il crepitio del fuoco si era trasformato in un vero e proprio grido di forza. Il tomo, però, non bruciava. Era una lotta fra le forze della natura ed il Flux che era stato abusato. L'intensità della fiamma crebbe ancora, Valdir dovette allontanarsi di alcuni passi per sfuggire al calore della fiamma, sentiva la pelle bruciare sotto le pellicce. Il tomo cedette, si spalancò, si alzò di qualche metro e divenne polvere.
Una creatura immonda, un Lich, parve uscire dalla fiamma, osservando i presenti con i suoi occhi assenti. Partì alla carica. I guardiani dei ghiacci calarono le bardiche sul non morto; lo scontro rappresentava perfettamente quello che il Rumenal disse poco prima.
Valdir era immobile, non riusciva a proferire una parola. I muscoli erano atrofizzati.

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La creature cadde a terra. La fiamma del fuoco tornò a crepitare pigra, le fiamme che fino a prima raggiungevano le palizzate della struttura, superandole anche in altezza, erano tornate a lambire i ciocchi di legna. I Gael avanzarono verso Valdir, i Guardiani erano fissi affianco alle fiamme del fuoco. Tuyuk disse: "Syskar, hai capito che cosa comporta la mutazione del Flux? Ti rendi conto di quanto sia importante mantenere l'equilibrio nella nostra vita, nelle nostre azioni, in ogni nostro passo?".

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Valdir inspirò profondamente, si ricompose, si schiarì la voce e commentò: "E' stato illuminante. Sentio che la Natura stava richiamando su di sé la mia attenzione, ma ero troppo concentrato sulle mie azioni quotidiane per accorgermene. Ero partito da Helcaraxe per conoscere il mondo attorno a me, ma non mi ero reso conto che non potevo veramente arrivare all'essenza delle cose senza conoscere in maniera completa i quattro Pilastri che sono alla base del mondo che conosciamo".

Cartis si avvicinò a Valdir, gli sorrise e proseguì: "Le risposte sono solamente dentro di te. Per poterci avvicinare ad esse, però, devi saperti porre le giuste domande. Il mio suggerimento è quello di raggiungere i templi delle divinità che sorreggono il nostro mondo e confrontarti con i sacerdoti che governano quelle Chiese. Solo con la conoscenza più profonda potrai raggiungere l'essenza più intima del Flux che regola il mondo".

Valdir pensò che in quella serata aveva visto abbastanza, era giunta l'ora di rientrare verso Helcaraxe a riposare in locanda. Si congedò dai Gael. Lungo la strada del ritorno rimase in assoluto silenzio, a contemplare le montagne ed i ghiacci perenni. Affittò una camera in locanda, sistemò i suoi averì e riposò. La notte trascorse pacifica, ora aveva chiaro quale fosse la direzione da prendere.
By Valdir Kentor
#30252
Pigramente appoggiato allo steccato del recinto dei cavalli di Hulborg, osservando il suo stesso respiro diventare nuvola nell'aria gelida, Valdir stava riflettendo.

"Un tempio dedicato ad Althea? E dove potrei mai trovarlo? Sono stato ad Amon e sicuramente posso escludere che ci sia... Eracles e Seiland meglio evitarle, sono deserte in questi tempi. Il Trivio, dopo la fine dei lavori, non ospita comunque un tempio della Dea. A Cheshire forse? Sicuramente non in Baronia."

Il sole era appena sorto, la modesta cittadina era ancora sopita, nell'aria c'era il solo profumo dei fuochi spenti. Fece un cenno allo stalliere, prese le briglie di Umbra e si incamminò sul sentiero della Baronia Orientale, senza particolare lena, lasciandosi via via alle spalle il Passo dell'Aquila ed Eracles. La ricerca del tempio gli occupò buona parte della mattina, senza alcun successo. Trovava qui e là solo statue votive, ma non un vero tempio. "Eppure..."

Pensò ad un incontro avvenuto molto tempo prima con Jolet Tudas, un'abitante di Nosper, la quale lo aveva invitato a visitare la cittadina, una piccola oasi di pace adagiata sulla Strada del Re, operosa e al contempo oziosa, circondata di boschi e... "Ma certo! Fra boschi e campi di grano! Solo lì può trovarsi un tempio dedicato ad Althea!"

Spronò la cavalcatura strattonando con decisione le briglie, il lama sbuffò, si impennò ed assecondò il padrone. Galoppò a pieni polmoni sulla Via Esterna, deciso a raggiungere Nosper prima che il sole potesse calare sul Doriath. Confidò di non incontrare lungo il suo cammino l'esercito ddella Capitale, per sua maggior sicurezza evitò la Strada del Re e costeggiò il Monte Zefiro, si lanciò nel bosco, schivando le frecce lanciate dai briganti che infestavano quella foresta e sbucò infine al limite di Nosper. C'era ancora tanta luce, prima di muoversi ulteriormente scrutò le case e gli edifici della cittadina, per assicurarsi che nessun soldato fosse in ronda.

"E voi, uomo del Nord, che fate qua?" sentì una voce. Una donna stava lavorando nei campi, spingendo un aratro e spargendo semi. "Vi conviene girare al largo da qua, se non volete incorrere in situazioni spiacevoli, per così dire".

"Sono in cerca di risposte, sono disarmato, mi chiedevo se ci fosse una Chiesa dove poter pregare Althea" rispose Valdir, sfoggiando un gentile sorriso.

"Certo che c'è" rispose l'anziana "proseguite oltre il mio campo, attraversate la strada e ve lo troverete davanti. Andate a vostro rischio però" e tornò ai suoi duri lavori nel campo.

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Valdir fece come suggerito, arrivò nei pressi della Chiesa ma vide che non c'era nessuno del clero. Osservò una piccola bacheca affissa all'ingresso della struttura, intruì che il sacerdote capo fosse Trevor Harty. Si annotò il nome, risalì a cavallo e tornò verso il Monastero. Una missiva l'avrebbe aiutato.

Appoggiò il pennino nel calamaio, sigillò la missiva e la spedì ad Hammer, e rimase in attesa di una risposta.
By Valdir Kentor
#30640
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Valdir ricevette risposta. Attese nuovamente fino a quando, girovagando nel mercato, potè udire un uomo sbuffare e lamentarsi mentre leggeva la bacheca; confabulava qualcosa a rigaurdo una fornitura di verdure. Incuriosito dall'uomo, Valdir si avvicinò e chiese se avesse bisogno di aiuto. Si presentarono e capì che era l'uomo che stava cercando, colui che reggeva la Chiesa di Althea a Nosper.

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Conclusi i convenevoli, il nordico chiese all'uomo di poter essere accompagnato alla chiesa; era in cerca di risposte, solo in quel luogo a Lei consacrato ne avrebbe, forse, trovate. Partirono alla volta della piccola cittadina agreste; l'aria era stranamente calda quella mattina, nonostante il mese di Nembonume fosse ormai agli sgoccioli. Nosper era avvolta nella sua solita aria di ozio e operosità, placidità e vicacità; un piacevole ossimoro, una piccola isola felice contemplativa. Raggiungesero la chiesa, legarono i compagni animali ad un rigoglioso albero di mele e salirono i pochi gradini che conducevano all'ingresso.

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Varcata la soglia, Valdir non poté non notare che tutti i dettagli che caratterizzavano Nosper erano presenti amplificati dentro quelle mura; covoni di fiero, legati e appoggiati alle statue, fiori e piante rigogliose, legno e pietra. Elementi naturali in armonia. La statua stessa trasmetteva tranquillità nei cuori degli avventori.

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Valdir si accomodò su una panca, Trevor concluse le sue preghiere e prese posto davanti a lui. Valdir cominciò ad esprimere i suoi dubbi. Sapeva di potersi fidare di lui: "Sono nato al nord, ad Helcaraxe. Ho trascorso tante lune nei boschi; ho scalato montagne, attraversato mari e fiumi. Mi sono sempre tenuto lontano dalle guerre, volevo solo conoscere il mondo che mi circondava. La Guerra, alla fine, mi ha comunque raggiunto, sul passo dell'Orus Maer. L'esrcito di Hammer mi ha comunque braccato, mi ha perquisito e ispezionato. Ho vacillato. Non sono più tanto sicuro della mia posizione nel mondo, pensavo che la risposta fosse già chiara, probabilmente non è più così. Forse... " sospira: " Forse devo cercare altrove una spinta alle mie azioni quotidiane."

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Trevor ascoltò, paziente, riflettendo. Afferrò il mento barbuto, poi rispose: "Mi hai detto di essere originario di Helcaraxe, isola che io ho visitato. Il credo Nordico è esclusivamente concentrato su Danu ed Aengus, la cosmogonia dei Giusti è troppo semplificata.
Lasciamelo dire, figliolo, e ti assiruco che non è mio intento offedere ma... Le usanze che ho visto sono seplici. Questo si riflette anche nelle vostre convinzioni, siete figlio di quella cultura.
La teologia di Giusti è ben più complessa di quello che voi credete. Spiegami meglio, come ha potuto l'incontro con l'esercito della Capitale mettere in discussione le tue credenze?"

Valdir risposte: "Pensavo che la natura fosse la mia risposta. Pensavo che il mondo capisse la mia posizione, così non è stato. Mi sono sentito come schiacciato fra delle enormi forze in gioco, ero impotente e non ho avuto modo di fermare il loro moto".

Il sacerdote ascoltò le parole, annuì e poi risposte: "Penso che tu abbia uno spirito libero; non hai il cuore costretto nelle sole credenze nordiche. La tua mente cerca risposte in una struttura teologica più complessa di quella classica delle tue origini. Conosci la Dea?"

Valdir scosse il capo, Trevor proseguì: "Althea è sorella e moglie di Crom, Madre di Aengus, Awen e Danu, Creatrice di Oghmar. E' colei che ha creato e custodisce i boschi, i campi e tutte le loro creature. E' la Dea della fertilità e dell'abbondanza."

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"Althea è una Dea Pacifica, crede che sia opportuno trovare sempre un modo per arrivare alla pace, senza sacrificare inutilmente vite. La vita è sacra. La Dea viene pregata a Nosper, ella ci riconosce raccolti abbondanti, una salute forte e boschi sempre verdi."

Valdir annuiva ed ascoltava; non potè non pensare alle parole del Gael, quindi chiese: "Come viene giudicata un'annata sfavorevole?"

Trevor risposte: "Non abbiamo pregato abbastanza quell'anno.

Valdir proseguì: "Non credete in un ciclo vitale, naturale, di vita e morte, un equilibrio? Vi è forse una complementarietà con altre divinità?"

Trevor annuì, e a sua volta disse: "L'equilibrio è una costante che viene custodita da Althea. La vita come la morte fanno parte del naturale ciclo naturale. Alla fine della tua vita, la tua anima andrà a sedersi affianco alla divinità in nome della quale hai vissuto la tua vita". Si tamburellò il pancione, sorrise a Valdir e lo invitò a trascorrere qualche giorno presso la cittadina. La locanda aveva qualche camera libera, avrebbe potuto respirare a pieni polmoni l'operato compiuto in favore di Althea.
Valdir forse ne aveva bisogno, doveva entrare in maggiore sintonia con la Dea e percepire come la sua mano entrasse in ogni piccola opera. Si congedò dal sacerdote, si segnò, uscì. La strada era segnata. Il primo passo era stato compiuto.
By Valdir Kentor
#30665
La nave filava veloce sul mare agitato, le onde si frangevano contro i legni levando spruzzi di acqua salata sul volto dell'uomo; era ormai nei pressi dell'isola della Sorella di Derit.

I dettami del Rumenal erano chiari, seppure il suo cuore non ardeva nel raggiungere quel luogo, la sua sete di conoscenza era più forte, aveva bisogno di sapere. Attraccò sull'isola, abbisciando le cime non utilizzate; serrò la porta d'accesso al sottocoperta, con un balzo atterrò nella morbida sabbia, si mosse rapido verso la piazza cittadina. Era già stato nell'isola prima di allora, in visita al mercato principalmente e per recuperare provviste prima di riprendere nuovamente il mare.
Dopo una rapida sosta in locanda, dove prenotò una camera per la nottata a venire, si recò in piazza. Un gran via vai di genti affollava il largo spiazzo di fronte al locale dei custodi e del gioielliere, si muovevano tutti di gran fretta come se avessero numerosi impegni lontani da lì.

Lo sguardo non poteva non andare alle ombre che venivano proiettate sul terreno dai draghi che volavano alti nel cielo. Il rumore delle loro ali che infrangevano i venti poteva essere udito fin da terra. Valdir non era tranquillo.

Si decise a cercare qualcuno che pensava potesse dargli la risposta che cercava; nella folla, addocchiò un cavaliere di nero vestito che se ne stava ritto, con una lunga lancia appoggiata al terreno, ai bordi della piazza, decise di avvicinarsi.

"Kveda" disse Valdir.
"Salute, uomo del Nord. E' inusuale trovare uno con le vostre origini qua, su quest'isola." lo scrutò da cima a fondo l'uomo in armatura, poi riprese: "Cosa ci fate qua? E chi siete?"
"Sono Valdir. Cerco risposte" disse il nordico.
"Di quali risposte avete bisogno?" chiese l'uomo a sua volta.

La folla non accennava a fermarsi, il trambusto della piazza copriva quasi le loro voci. Valdir si guardò intorno, intento a cercare un segnale, un simbolo che potesse spiegare in un attimo quello che cercava. Vide due statue di pietra ai lati di uno stretto ponte su un fiume; figure alate, nere, parevano proteggere i mondi separati da quelle acque. Oltre le figure, nere pietre, cancelli. Era lì.
Valdir indicò verso quella direzione, levandosi i guanti. L'uomo capì e disse: "Cercate Dakeyras o Bradhadair. Dite loro che vi ha mandato Martinet" e si congedò, ritornando ai suoi compiti.

Valdir si mosse verso il centro della piazza; larghe panche erano rivolte verso la statua di un nero destriero impennato. Si accomodò, cercando di scovare in mezzo alle genti qualcuno che potesse appartenere al clero. Senza che quasi se ne accorgesse, si parò davanti a lui una figura avvolta in un abito lungo e nero, che li ricopriva interamente. Le mani reggevano un alto bastone; si accomodò davanti al nordico, sistemò la tunica e incrociò gli occhi di Valdir. Il nordico anticipò le mosse e si presentò: "Sono Valdir. Giungo qui dai boschi di Ardania e sono in cerca di risposte. Vorrei conversare con qualcuno della Chiesa" indicando alle spalle della nera figura.

Schiarendosi la voce, la nera figura risposte: "Lo avete davanti."

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"Sto cercando Dakeyras o Bradhadair, i loro nomi mi sono stati suggeriti da Martinet" cercò l'uomo armato nella piazza del mercato, ma non lo vide più.

Annuendo, la figura risposte: "No, non sono io. Mi chiamo Setian. E' nostra volontà poter risolvere i dubbi di coloro che ricercano nella Fede le risposte, anche se di rado vengono poste da uomini del Nord. Le vie del Primo Nato sono difficilmente disegnabili, io mi limito ad accettarle. Liberati dalla barriere che hai conosciuto fino ad ora prima di conversare con Dakeyras o Bradhadair. Incontriamoci qua, domani, alla medesima ora. Ti farò avere un incontro con uno dei due membri della Chiesa." Si alzò e si congedò dal nordico. Valdir prese la strada per la locanda, pagò il dovuto e riposò. Il rumore delle ali dei draghi non accennava a diminuire.

L'indomani, all'ora promessa, muovendosi verso la piazza vedi un'altra nera figura, accomadata sempre all'ombra della stata equestre. Gli si avvicinò, si sedette e si presentò: "Sono Valdir" e, osservando la tunica ornata e ricamata, sempre nera come la notte, proseguì: "Voi dovete essere un membro della Chiesa, giusto?"

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Annuendo lentamente, l'uomo disse: "Sono Dakeyras, Sacerdote del Primo Nato, della Chiesa di Vashnaar e dei Sette"

Lasciò proseguire il nordico. "Sono qui in cerca di risposte a domande che sono sorte da qualche tempo. Vorrei capire di più del mondo che mi circonda".
Dakeyras tratteggiò una S sulle labbra e proseguì: "Porsi domande è un primo passo verso la fede. Chiedete pure, sarò lieto di risponder ove possibile".
Valdir inspirò, si schiarì la voce: "Fino ad ora ho vissuto sotto lo sguardo di Aengus. Ma recenti avvenimenti hanno portato a farmi domande sul mio operato, sulla mia vita e sul ruolo nel mio mondo. Mi sembra di aver avuto una visione solo parziale delle cose, come se mi mancassero altri punti di vista sui segnali che ricevo da ciò che vive sopra di noi. Ho bisogno di capire che ruolo io debba avere in questo mondo, in relazione anche alle guerre che mi circondano e dalle quali non riesco a sottrarmi".

Attese che finisse, il Sacerdote gli rispose: "Qui a Loknar il vostro Credo è ben accetto. La Chiesa dei Sette accetta potenzialmente il culto di ogni divinità di Ardania. All'interno di questa, prospera fortemente la Chiesa del Primo Nato. Poste queste premesse, sul quale deve essere il vostro ruolo in questi scontri... Solo voi potete decidere, capire, conoscere e credere nella strada che percorrerete. Ditemi di più sulla vostra visione delle cose".

"Pensando a ciò che ci circonda come un equilibrio, è possibile considerare il Primo Nato un bilanciamento di chi come Althea da la vita? Vita e Morte che si uniscono e si annullano a vicenda? Che si supportano a vicenda? L'uno legato all'altro in un legame indissolubile?" chiese Valdir.

"La Morte fa parte dell'agire dell'uomo, anche di chi si professa lontano da essa. Althea, sorella di Crom, rappresenta valori e principi di ferilità e abbondanza. Il Primo Nato ha una origine comune sia ad Althea che a Crom; gli antichi progenitori erano detentori del tutto, una antitesi quindi fra i tre possibile, si parla meglio di complementarità. Esiste l'uno affinchè esista l'altro" inspirò, fece una breve pausa, e proseguì: "La vita e la morte sono comuni in tutte le divinità. La Morte è un aspetto della Vita. Il Primo Nato è custode delle Anime, talvolta, per alcuni, giudice. Ma non è Lui a portare morte. Sono gli uomini, e talvolta la natura, a far calare.."

"la scure" aggiunse Valdir.

"Esattamente" concluse il Sacerdote.

"Vorreste accompagnarmi nel tempio che avete dedicato al Primo Nato? Di questi viaggi vorrei avere non solo il ricordo delle parole udite ma anche dei simboli che sono sacri alle Divinità." chiese il nordico. I due si alzarono e superarono il ponte. Un brivido di gelo parve scuotere Valdir, non sapeva se fosse la suggestione di fronte a quelle statue od il luogo stesso. O le cripte aperte.

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Il Sacerdote rimase assorto in una preghiera. Il Nero era il colore preponderante; talvolta non pareva nemmeno un colore, pareva che inghiottisse la luce intorno a se tanto era intenso. Aveva ottenuto le risposte che cercava, si era annotato i particolari di quel piccolo tempio. Prese la via dell'uscita, seguito da Dakeyras. Una volta oltrepassato il ponte, i due si congedarono.

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Valdir ripartì subito, nonostante l'ora tarda. Il lungo viaggio in mare gli avrebbe permesso di riflettere su quanto sentito.
By Valdir Kentor
#31204
Le provviste per il viaggio erano state caricate; le vele bianche erano raccolte, in attesa del vento. Valdir aveva controllato le mappe, la direzione era ormai chiara, avrebbe utilizzato il profilo della costa per arrivare a destinazione: Torguga.

"Un'altra ruota dell'ingranaggio, un altro passo in avanti nella piena consapevolezza" pensò. Spinge il legno in mare, saltò a bordo e veleggiò verso Sud. "Vento contrario... La mia solita fortuna." mugugnò; la traversata dalle rive di Cheshire portò via più tempo del previsto a causa delle avverse condizioni meteo. Riuscirò ad ormeggiare quando le luci del giorno stavano calando, attraccò la propria nave su un istmo situato ad est della grande isola. Non era mai stato in quelle terre, era tutto nuovo, avrebbe volentieri speso del tempo per conoscere la fauna e la flora di quei luoghi, ma non era il momento giusto. Era alla ricerca di un sacerdote che andava professando le parole di Aengus, si sarebbe confrontato anche con lui cercando di capire qualcosa in più della cosmogonia nordica.

Scese a riva, assicurò l'imbarcazione ad un pilone di legno, salì in groppa ad Umbra e si gettò nella fitta vegetazione della giungla. Guadò un canale di mare che separava fisicamente quella penisola dall'isola principale di Tortuga, costeggiò un'altra montagna, oltrepassò un villaggio Qwaylar senza compiere alcun rumore. Non era pratico di quelle terre e di quelle genti, era meglio evitare contatti, almeno per il momento. Le torce cominciavano ad accendersi, molte navi stavano rientrando al porto, scaricando i loro carichi esotici. Raggiunse il centro della confusionaria cittadina. La gente correva, sbatteva, urlava, vociava, taluni erano ubriachi in un angolo cantando alcune canzoni che non aveva mai sentito, brandendo una bottiglia di birra, che finiva più sul terreno che nella loro pancia.
Grandi barili venivano fatti rotolare a terra e messi al sicuro in grandi depositi, vele venivano rammendate, strani di vernice applicati alle livree delle imbarcazioni per renderle sempre riconoscibili in alto mare.
Il caldo, però, per poco non lo fece cadere da cavallo. Era vestito come saprebbe vestirsi un nordico, aveva tolto il pesante mantello ma era ancora costretto nella sua armatura e nelle vesti di pelle. Dovette compiere un verso e proprio sforzo per non svenire; l'aria era pesante, gli sembrava di respirare il mare stesso per quanta umidità c'era, e la notte non aveva portato alcun tipo di refrigerio. Scese rapidamente da Umbra, la consegnò allo stalliere ed allentò i lacci dell'armatura. Mentre si avvicinava alla locanda, fu visto da un uomo a cavallo, gli galoppò incontro e si pose davanti a lui.

"Chi siete?" domandò l'uomo, senza tradire alcuna emozione.
"Mi chiamo Valdir, uomo dei boschi, sono qui per cerca risposte."
"Dipenderà dalle domande che porrete... Siete amante degli alberi?" rispose la figura a cavallo.
Valdir scosse il capo (forse non capì l'allusione marinaresca) e rispose: "Vivo nei boschi, non amo gli alberi ma la natura stessa. Vengo dal Nord, sto cercando un sacerdote che professa le parole di Aengus, lo conoscete?"
Proseguì l'uomo: "Mi dispiace. Potete provare a fermarvi sull'isola, magari troverete questo prete di cui parlate."
Valdir lo ringraziò con un sorriso ed aggiunse: "Voi chi siete?"
"Doblone, cercatemi se avrete bisogno di altro" e si congedò. Valdir aveva bisogno di togliersi qualche strato di indumenti, affittò una camera in locanda per una notte e tornò a cercare il sacerdote.

Si spinse fino all'estremità nord occidentale dell'isola. Un immenso coccodrillo sguazzava in una piccola pozza, sembrava emettere un ticchettio di orologio dalla sua bocca. Non ci pensò minimanente ad avvicinarsi di più, tornò verso la piazza. L'incontro fu fortuito, come se fosse stato guidato da qualcuno. Un uomo avvolto in un mantello con il cappuccio alzato era in groppa ad un maestoso cavallo bardato. Valdir incrociò il suo sguardo, l'uomo si fermò ed attese una domanda; l'aveva trovato, era Golkarg, chierico di Aengus, della ciurma dei Teschi, la persona che stava cercando.

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Valdir chiese di poter parlare in un luogo più appartato, dove magari le sue domande potessero arrivare alla sfera superiore alla loro. Scuotendo il capo, il sacerdote risposte che non erano presenti effigi di divinità su quell'isola; avrebbero potuto comunque avere un incontro in un luogo dove l'essenza della città e dell'isola erano racchiuse interamente: la Locanda.

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Legati i destrieri ad una staccionata, si trovarono entrambi al bancone. Valdir sarebbe stato ospite di Golkarg per quella sera, avrebbero discusso a pancia piena bevendo birra e mangiando un succulento cosciotto d'agnello. Presero le bottiglie di birra, i boccali, i piatti e si sedettero intorno ad un grande tavolo.

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Golkarg corrucciò le labbra, bevve una grande sorsata di birra, emise un lamento e disse: "Spero potremo parlare di nuovo al Nord, questa birra al confronto della vostra è urina!"
Valdir rise e rispose: "Sembra grog e non la figlia del malto!". Al grido di "SKOOOLLL!" brindarono per il fortunato incontro, spolparono i cosciotti e finirono i loro boccali.

Valdir si pulì barba e baffi dalla schiuma della birra, si mise seduto più comodo ed introdusse l'argomento: riferì della perquisizione e del suo sentirsi smarrito in quel mondo, del dover cercare un proprio ruolo, di essere stanco di vagare. Soprattutto, di non sentire più su di se lo sguardo benevolento di Aengus. Il sacerdote lo ascoltò, attese che concludesse, si grattò il pancione e gli rispose pacatamente: "Oguno di noi cerca un posto in questa vita terrena. Più che un posto, un senso. E a dire il vero... Credo faccia parte dell'animo umano essere perennemente alla ricerca di qualcosa. Ho ascoltato con attenzione le tue parole: non ti conosco bene, ma vedo in te ciò che ero un tempo. Anch'io come te mi ritrovai a varcare le soglie del baratro, del dubbio. Sono stati momenti bui, quelli."

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Alzò una mano alla locandiera, una bottiglia di birra apparve dopo pochi attimi. Il sacerdote ne versò un boccale ad entrambi, bevve senza mai alzare lo sguardo ma contemplando il liquido. Gli occhi parevano annebbiati, come persi nei ricordi. Si pulì la bocca con la mano, si schiarì la voce e riprese: "Tutto era confuso, non riuscivo a razionalizzare nulla. Sopravvivevo. Mascheravo le mie paure e i mie pensieri con sorrisi di circostanza. Grazie al Santo Padre, decisi di abbandonare la remissività e di fare qualcosa per cambiare il corso della mia esistenza."

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Gli occhi parvero brillare: "Mi spostai al nord, decisi di temprare il mio corpo ed il mio spirito. Una scelta che mi ha reso ciò che sono. I tuoi dubbi" - colpì le assi del tavolo di legno con un possente pugno - "sono leciti. La confusione, è lecita. Non è lecito, però, rimane fermi a farsi travolgere dagli eventi."
Si chinò verso Valdir, appoggiò il gomito al tavolo e puntò l'indice verso il ragazzo: "Cosa vuoi dalla vita? Cosa desideri in questo breve tempo che hai a disposizione?"

Valdir rispose: "Ho difeso la natura, ma mi sono sentito impotente di fronte ad un esercito. Il mio arco parve piegarsi sotto la forza di quegli uomini. La natura è sembrata non seguirmi. Vorrei che invece mi avesse sostenuto."

"Sai, un uomo mi disse che il rispetto si guadagna sul campo di battaglia. Quest'uomo era il Kunnigr, un uomo saggio, temprato da mille battaglie. Ti rispetta chi ti teme. Ti rispetta chi ti vuole bene. Devi solo capire il percorso giusto da seguire, ma questo..." sospirò "Non dipende da Aengus."

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Valdir annuì, aveva già ascoltato quelle parole. L'incontro con i chierici erano stato illuminante fino ad allora: "E' giunto quindi il momento di schierarsi. Scegliere saggiamente chi saranno gli amici e quali saranno i nemici. Farlo senza rimpianti alla fine di questo viaggio che sto conducendo nella cosmogonia di Ardania."

Golkarg trattenne una risata, poi sorrise: "Buffo. Forse davvero Aengus mi ha messo te davanti al mio cammino. E' come se in te potessi vedere il mio passato. Devi fare sì che la decisione sia presa con decisione e sicurezza, senza mai voltarsi indietro. La tua fede, qualunque essa sarà, ti aiuterà in questo percorso."
Valdir annuì, sorridendo. I due continuarono a parlare, la bottiglia di birra fu seguita da un'altra ed un'altra ancora. A tarda notte, i due si salutarono calorosamente. L'indomani Valdir avrebbe ripreso il mare, per tornare verso la terraferma, continuando nel suo viaggio interiore di conoscenza. Golkarg lo salutò calorosamente, fece ritorno dai suoi compagni di ciurma.

Un altro passo era stato compiuto verso la consapevolezza, verso una maggiore tranquillità.
By Valdir Kentor
#31591
Valdir sospirava. Scese da Umbra, si avvicinò all'istmo che separava la maestosa cattedrale di Danu dal restante mondo. L'aria era salmastra, le urla dei gabbiani e lo sciabordio del mare rompevano la naturale quiete di quel luogo. L'immensa cattedrale occupava quasi tutta la vista, l'azzurro del cielo e del mare facevano da sfondo come in un dipinto.
Alle sue spalle, il sole allo zenit illuminava le cime del Monte Zefiro. Era ora di prendere coraggio e trovare un sacerdote del tempio di Danu, nel luogo dal quale tutti i dubbi di Valdir erano nati: la Capitale.

Strinse i lacci dei guanti in pelle, saltò in groppa al destriero e si avviò al galoppo verso la piazza della città. Era deciso a completare il suo cammino di conoscenza. Avrebbe dovuto compiere una scelta, diventare il creatore del proprio destino, affrontare a testa alta l'esercito di Hammer, se lo avesse fermato, una volta ancora. Valdir era deciso, entrò fiero, a cavallo di Umbra, avanzando lentamente. Nulla lo avrebbe fermato. E così fu, l'esercito probabilmente riposava. Sciolse la tensione, era determinato, ma non aver incontrato la guardia armata della Capitale fu un sollievo. Rise.

Legò le briglie affianco all'edificio del custode, si mosse verso la piazza. Le guardie in ronda non parevano interessate al Nordico; nella piazza centrale della città vide una giovane donna, capelli lunghi e neri, vistosi orecchini pendevano dalla orecchie, una coppia di bracciali le cingeva il braccio destro. Era seduta in compagnia di alcuni uomini sulle panche di marmo bianco. La donna alzò lo sguardo e vide il nordico che vagava, vestito come un figlio di Helcaraxe sa vestirsi. Incuriosita, gli chiese chi andasse cercando. Le rispose sorridendo: "Kveda. Sono qui per avere risposte dalla Dea. Vorrei poter dialogare con un membro della Chiesa di Danu".

La donna sorrise a sua volta e rispose: "La Dea vi ha concesso un dono. Sono un'accolita della Sacra Chiesa d'Occidente. Vi aiuterò, fin dove posso".

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"Mi presento, sono Valdir, nato ad Helcaraxe, ma vivo nei boschi da molte e molte lune. Vorrei elevare, tramite voi, le mie domande alla Dea." La sacerdotessa risposte, restando seria: "Le genti del Nord, di questi tempi, sono sospette. Spero che le vostre domande riguardino solamente la vostra fede, e null'altro". Annuendo, Valdir aggiunse: "Non temete. Chiedervi di accompagnarmi alla Cattedrale sarebbe troppo ardito?". Un sussulto scosse la schiena della sacerdotessa e un'ombra apparve sul suo volto: "Preferirei non farlo. Seguitemi, vi porterò sulla mia isola natia, le nostre parole arriveranno comunque dove verranno ascoltate, anche se il luogo sarà meno imponente della Cattedrale."

Valdir la seguì, in breve tempo, si trovarono sull'isola dei Pescatori. Una statua sorgeva al centro di una piccola fontana, attorniata da rigogliose siepi.

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L'accolita recitò una breve preghiera, poi si rivolse al nordico: "Spero che questo piccolo tempio possa essere sufficiente per le tue domande." Valdir annuì, rispondendo: "L'occhio della Dea veglia su di noi, ovunque siamo. Non mi interessa l'opulenza, ma solo la sostanza."
Proseguì poi: "Sono qui perchè non capisco quale debba essere il mio ruolo nel mondo. Vorrei conoscere di più le forze che ci circondano e che determinano le nostre azioni. Sento l'occhio di Aengus ormai lontano da me, mi sento di aver perso alcune certezze, sto cercando di costruire nuove e più solide basi per le mie decisioni future. Vorrei quindi conoscere più da vicino la Dea dei Mari tramite il vostro aiuto".
L'accolita si sedette sul muretto, guardò verso l'acqua che fluiva ai piedi della statua della Dea, la mosse leggermente con una mano, sorrise, guardò l'uomo e disse: "Non è una facile parlare della Dea, vedete, ella ha molti volti e molte sfaccettature.

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La mia fede in lei ha avuto inizio con la mia nascita. Sono originaria di questa piccola isola di pescatori. E' la Dea che tiene sotto controllo i mari e con essi anche i venti e le maree. Così come questi potenti elementi sono mutevoli, tanto lo è il nostro animo. Attraverso le stelle, ci indica la giusta via da seguire nel nostro percorso sulla via dei Giusti."

Valdir ci pensò su, poi rispose: "E' come se fosse la guida dei sette?"

"Oh no, non credo questo. Ogni divinità ha un proprio progetto su ogni singolo aspetto della vita di noi uomini." gli rispose.

Valdir si avvicinò alla piccola pozza d'acqua, levò i suoi guanti, abbassò il braccio ed infilò un dito nell'acqua, muovendolo lentamente avanti e indietro, poi proseguì: "Mi sento come questo mio dito in questo momento. L'acqua mi scorre intorno, non riesco a catturarla, non riesco a fermarla. Lei passa, inesorabile, attraverso me, intorno a me, incurante della mia presenza. Mi sono sentito così, in queste ultime lune, come impotente. Come impotente, di fronte al tempo, come una foglia al vento o un relitto in mezzo al mare. Mi sento come se dovessi cambiare qualcosa, ma non ho ancora gli strumenti per capire cosa mi manchi".

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La sacerdotessa rispose: "Solo i morti stanno fermi. E tu non mi sembri uno di loro. Ogni avvenimento che si frappone sul nostro cammino deve permetterci di crescere, di conoscere, di comprendere qualcosa di più del creato intorno a noi. I Giusti ci guardano, sono in ogni piccola cosa, in ogni piccola azione quotidiana.
Quello che spesso mi fa storcere il naso è che si guarda sempre troppo in alto per cercare una risposta o un segnale dagli dei. Per me, invece, un segnale o una manifestazione la si può trovare anche in una piccola cosa, anche talvolta insignificate. Vedo Crom nella forza delle nostr armi e nella giustizia. Vedo Aengus nel fuoco che brucia. Vedo Awen nell'amore dei miei concittadini, amici e genitori. Vedo Danu nello scorrere placido di un fiume. Tutte le divinità sono presenti nella mia vita. E' questo quello che molti dimenticano. Nel mio caso, ho dedicato la mia vita alla Dea, lei mi ha baciata donandomi i suoi doni. Non dimentico certamente le altre divinità. Nel tuo caso..." si schiarisce la voce, sorride e riprende: "Gli avvenimenti che ti sono capitati possono essere segnali che sono stati inviati dai Giusti. La via che stavi percorrendo, probabilmente, ti stava allontanando dal piano che era stato pensato per te. Questa tua crisi, questa tua ricerca di nuove certezze, questa ripartenza che stai compiendo è stato un modo per renderti pienamente consapevole che qualcosa deve cambiare, che è già cambiato e sicuramente muterà forma in un futuro non troppo lontano."

Aveva ragione. Continuarono a parlare, Valdir apprese altre nozioni sulla Cosmogonia studiata dalla Chiesa della Capitale, ma era annebbiato, non riusciva a pensare ad altro che alle parole importanti sentite poco prima. Un nuovo inizio. Un cambio di rotta. Una rinascita. Tutto era cambiato da allora, nulla era stato come prima. Possibile, quindi, che Aengus non avesse disolto lo sguardo sul suo seguace ma lo avesse intenzionalmente fatto cadere in un vortice di dubbi e domande quando si stava perdendo. Che ogni suo passo fosse stato dettato dai Giusti?
Doveva ripartire. Doveva tornare alle sue origini. Mancava solo un tassello in quel complesso ingranaggio. Crom, al Nord avrebbe trovato la degna conclusione di quella sua ricerca.

Prima di congedarsi dalla accolita, le chiese: "Siete stata gentile, mi avete ospitato nella Capitale, mi avete accompagnato nella vostra isola natia e fatto crollare ancora una volta di più le mie convinzioni, che credevo granitiche. Ma... Non vi siete presentata!" e le sorrise, ridacchiando.

La Sacerdotessa rispose al sorriso: "Mi chiamo Elisabeth". Si avvicinò, aprì la sacca, ne estrasse un ciondolo azzurro come le acque di quella fontana, brillava di una propria luce, glielo porse: "Tenetelo con voi, vi aiuterà nella vostra ricerca". Lo salutò e si congedò.

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Valdir si perse nell'azzurro di quella fontana. La statua della Dea guardava oltre l'orizzonte, impassibile. La fissò, determinato. Indossò i guanti, ripartì al galoppo. Il Nord lo attendeva.
By Valdir Kentor
#31594
Era pronto. Galoppò più rapidamente che poteva, gli zoccoli di Umbra macinavano strada rapidamente, il fiato dell'animale si faceva pesante, ma amava l'aria di montagna, la neve fresca, il vento che ululava fra le valli. Corsero a perdifiato, in Baronia, ad Hulborg, nello stretto pertugio fra i monti che li avrebbe condotti nella terra natia. Helcaraxe. Il rumore dei passi dell'animale divenne ritmico. Tu-tum, tu-tum. Lungo le coste, sul sentiero protetto dalle palizzate, non si udivano altri rumori. Solo neve e ghiaccio schiacciati e narici dilatate per il respiro pesante. Giunsero in piazza, scese al volo dalla sella, prese le briglie, le legò ad un palo della locanda. L'animale si riposò dalla galoppata, Valdir si avviò verso la piazza.

Un uomo alto, con lunghi capelli biondi raccolti in trecce, vestito di pesanti abiti neri stava appoggiato al muro del custode, una lunga pipa in bocca e stava armeggiando con un acciarino per accendere dell'erbapipa. Lo notò, sorrise, gli andrò incontro.
"Valdir!" gli urlò "quanto tempo!". Si salutorono, ma prima che Valdir potesse accennargli qualcosa, l'uomo lo anticipò: "Il Rumenal mi ha parlato di te e sul cammino che stai intraprendendo. Seguimi in locanda, avremo modo di parlare di fronte ad una birra."

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Varcarono la soglia della locanda, il fuoco ardeva nel centro della stanza. Presero posto sui grandi cuscini intorno al camino, tolsero i pesanti indumenti e ordinarono dei boccali di birra. Valdir fissava la fiamma crepitare. Si rivolse a Leonard: "Noi nordici siamo cristallini e diretti. Andrò subito al cuore della faccenda. Come sai, vivevo in armonia con la natura, nei boschi che si estendono dalla Capitale fino ad Amon. Ho esplorato Ardania, non v'è roccia o albero che non abbia notato una mia traccia. Ma..." sospirò, strinse i pugni: "E' come se il mondo non se ne fosse accorto".

"Che intendi?" chiese Leonard dubbioso.

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"Le forze che si sono messe in gioco mi hanno stritolato come se fossi amorfo, senza consistenza. Sono stato perquisito e trattato come un rifiuto. Mi è bastato questo per avere la consapevolezza che è necessario trovare una posizione, non posso continuare a vivere in pace con chiunque, quando in realtà non lo sono con nessuno. Ho avuto uno smarrimento, sono tornato alle nevi perenni per trovare un aiuto. L'ho trovato nel Rumenal, come ben sai" risposte Valdir.
Leonard emisse un grande sbuffo di fumo, sentenziando serio: "Queste sono le tue origini, è inutile negarle dopotutto". Inspirò nuovamente dalla pipa, ascoltando l'uomo.

"Sono partito alla ricerca di nuove conoscenze, di nuove basi, per tutta Ardania. Ora posso dire di conoscere meglio Aengus, Danu, Althea e Vashnaar" Leonard sbuffò nuovamente, senza parlare. "Se queste sono le basi delle mie credenze, però, sento che manca qualcosa a unirle."

Leonard sorrise, ripose la pipa, bevve un generoso sorso e replichò: "Colui che le ha generate. Il Grande Padre, Crom. Il Rumenal, come ti dicevo, me lo aveva preannunciato, come adempimento del to cammino lungo e tortuoso.

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La visione di Crom al nord è profondamente diversa da quella dei Suver, soprattutto in un periodo in cui stiamo scoprendo che potrebbero stravolgere quella che è ora l'attuale credenza divina." farfugliò qualcosa, poi riprese: "Questa è un'altra storia, di cui noi syskar abbiamo ad ora poche informazioni.
Qui nelle nevi perenni, la figura del Grande Guerriero è personificata da Aengus, il dio che i suver assimilano al Dio della Forgia.
Crom invece rappresenta la saggezza: la sua importanza è significativa, in quanto ha generato Aengus e Danu. E' portatore di equilibrio, è l'essenza stessa della lealtà, il suo significato primordiale più intrinseco. I suver lo considerano invece portatore di giustizia ma qui, tra le nevi" prese un altro sorso dal boccale "la Giustizia ce la facciamo da soli. Noi esaltiamo il rispetto e l'onore, la purezza d'animo, la sincerità. Crom è il portatore di questi valori."

Si alzò, consegnò il boccale al locandiere, tornò vicino a Valdir. Gli appoggiò una mano sulla spalla e riprese: "Come sai, tra le nevi, non ci sono statue o posti consacrati al Grande Padre. Mi ha però guidato facendomi scoprire qualcosa di incredibile vicino ad Hullborg. Vuoi seguirmi?"

Valdir annuì, uscirono dalla locanda, raggiungesero i destrieri. Si incamminarono alla volta di Hullborg, questa volta senza corse. Parlarono e discussero degli ultimi avvenimenti di Ardania, di guerre, di ombre, della Baronia. Giunti nel borgo, preserero uno stretto sentiero nascosto dalla vegetazione posto a sud, salendo verso la costa della montagna. Varcato un piccolo cancello, si ritrovarono su una strada a strapiombo sulle terre del sud. Poteva distinguere Amon, le mura del Monastero ed in lontananza, fra le nebbie, Hammer. Presero a destra, verso ovest.

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Delle rocce ostruivano il sentiero, se ne liberaro facilmente con degli intrugli esplosivi. Procedettero, assicurandosi che l'esplosione non avessero provocato smottamenti nelle nevi poste sulle vette. Nulla si mosse.

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Il sentiero continuava sullo strapiombo, procedettero con cautela. Arrivarono ad un bivio, presero a destra. Salirono e giunsero su un pianoro, innevato. Il luogo pareva abbandonato da moltissimi anni, vi erano i resti del passaggio di uomini ma non era più utilizzato.
Quello che saltava all'occhio era una statua del Grande Guerriero ricoperta per metà di neve. Si potevano comunque distinguere i simboli che caratterizzano la divinità. I due nordici si raccolsero in preghiera di fronte alla statua.

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"Qui il Grande Padre di tutti gli Dei" disse Leonard, dopo essere sceso dal suo destriero corazzato: "portatore dei grandi valori del Nord, riposa tra le bianche nevi, a sorvegliare il grande creato di Aengus.
Valdir scese da Umbra, assicurò le sue briglie ad una palizzata malmessa, alzò il cappuccio per ripararsi dal vento. Arrivò al bordo del pianoro, non vi era protezioni; sotto di lui, bianca roccia, ghiaccio, neve, qualche sparuto arbusto. Davanti a lui, l'immenso creato, che si estendeva dai boschi, alle pianure, al mare, e via via fino alle isole più remote. Dietro di lui, un muro di roccia, talmente alto da confondersi con la foschia, che mai si diradava, a protezione del suo tesoro più sacro, la Baronia, con le sue creature, la sua flora, i suoi tesori, i suoi antri, le valli.

Si girò verso Leonard, che lo osservava mentre il vento e la neve sferzavano il suo pesante mantello: "Grazie per avermi fatto conoscere questo luogo. Ora sono in possesso di ogni strumento per capire quale indirizzo dovrà prendere la mia vita futura".

Leonard sorrise: "Crom ha una via per ognuno di noi, syskar. Anche se lungo e talvolta forse privo di senso per te, il tuo percorso era chiaro per la sfera che è sopra di noi. Cosa farai ora?"

Valdir sorrise a sua volta: "Compirò il mio destino".
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