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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Zenon Valdemar
#31202
C’è un motivo che più di molti altri mi ha spinto a chiedere di essere accolto nell’Accademia delle Arti di Hammerheim: un’aggregazione di sapere da cui volevo attingere senza tregua e che volevo arricchire con le mie esperienze non solo per il nobile scopo di donarle agli altri, ma per lasciare un segno seppur minuscolo nella storia del mondo.
Molti preferiscono la lettura di antichi testi, esaminarne ogni pagina come se fosse custode di segreti ben celati dalle parole. Io ho sempre scelto la via dell’esplorazione, della ricerca di misteri e meraviglie nei più remoti angoli di Ardania: a volte facendo tesoro di indizi, ma molto spesso il sapere giunge a me accidentalmente - o forse come un dono che il Grigio vuole farmi.

E’ una mattina calda e il sole batte forte sul legno della mia barca, le vele illuminate dai raggi sono accecanti come i riflessi sull’acqua. All’orizzonte, poco distante da grandi montagne di roccia a picco sul mare, una serie di scogli si è trasformata nel tragico destino per un’imbarcazione, ormai un relitto che mi invita ad esaminarlo.

Del suo padrone, o uno di essi, resta uno scheletro divorato dal calore e dai granchi e solo le rocce su cui è poggiato il vascello gli impediscono di essere attratto verso una strana risacca: l’acqua sembra formare un piccolo gorgo che con forti correnti trascina tutto verso di sé. Indubbiamente un rischio avventurarsi per quella strada, ma sarebbe un insulto ad Oghmar e al suo dono non farlo.

Riposta l’armatura e alleggerito il carico, prendo un lungo respiro e mi tuffo augurandomi che l’aria nei miei polmoni basti a riportarmi a galla al termine della ricerca.

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Un paradiso sotto la superficie, una foresta di coralli e alghe, un delfino mi dà il benvenuto mentre alcune aragoste si lamentano della mia invasione di territorio: di certo il Grigio mi ha condotto qui, ma è Danu che mi accoglie a braccia aperte nel piccolo regno subacqueo.
Le correnti sono forti e posso solo spostarmi con brevi e poderose nuotate fra una roccia e l’altra, gli unici appigli sicuri: l’acqua è limpida, sebbene a poche decine di metri (o di più? Difficile a dirsi…) la sabbia renda tutto nebuloso.

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D’un tratto vengo staccato con forza dal sasso, la spinta mi trascina fino ad una parete che non vedo, l’impatto è forte ma riesco ad attutirlo: non è pietra su cui sono sbattuto, sono le tavole ricurve di un vecchio relitto!

Mi muovo a tentoni nella speranza che ad ogni nuovo appiglio in quell’oscurità di acqua torbida non scomodi un’anguilla o qualche essere velenoso: raggiungo una posizione privilegiata, alla mia destra a pochi metri vedo un altro scoglio che una volta scalato mi riporterà a galla, ma dinanzi a me la nave giace sul fondale: grande e ancora in ottimo stato.

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Vorrei scoprire di più ma la sabbia negli occhi non me lo consente. Prima di andare riesco a leggere una targa in un metallo che sembra orialkon: quel posto è una tomba, le incisioni una dedica a due persone.
Altro si nasconde nella nube, qualcosa che non riesco a vedere e raggiungere. L’aria nel corpo sta finendo e devo tornare a galla.

La mia curiosità è al culmine, devo tornare con gli strumenti adatti e sapere di più. E magari con l’aiuto di un sacerdote dei Mari.
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By Zenon Valdemar
#35492
Il tempo propizio era giunto, il cielo sereno e il mare calmo mi invitavano a tornare a quel relitto, a squarciare il velo di sabbia che mi separava da antiche verità: in molti si erano radunati in piazza, pronti a salpare condotti da me verso questa nuova avventura nei mari del sud.
Due gruppi furono organizzati sulla fregata: il primo avrebbe sorvegliato le acque infestate difendendo la nave, il secondo si sarebbe lanciato nel gorgo e avrebbe affrontato il fondale con coraggio, magia e una profonda scorta d'aria nei polmoni.


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Fu un colpo di fortuna scoprire che i maghi dell'Accademia e i sacerdoti di Danu presenti con noi riuscivano, anche se con enormi sforzi e difficoltà nel trattenere l'aria, a lanciare i loro sortilegi, liberando lentamente il ponte del relitto dai detriti e dalla sabbia: una nave funebre nordica, questo sembrava, e la prova era incisa su una tavola di orialkon e su un antico scudo cerimoniale. Ciò che si era inabissato in questo fondale portava su di sé i corpi di due eroi che si erano sacrificati per ergersi a baluardo di un male oscuro.


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Impossibile era per noi raccogliere altri reperti oltre a questi due e ad una faretra che risplendeva di una strana luce: il resto doveva rimanere là dove lo avevamo trovato.
Ma qualcos'altro colse la mia attenzione, tanto da spingerci a tuffarci più volte per osservare meglio: coperta da strati di corallo duri come l'acciaio c'era una pavimentazione in pietra, nulla che potesse essere opera della Natura, e un varco, forse una sorta di rampa verso lidi ancora più profondi... qualcosa che era rimasto chiuso per un lungo tempo e che si ostinava a volerlo restare - e forse era meglio così, pensai inizialmente.


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Avevamo abbastanza informazioni per dare vita ad uno studio approfondito, ma non di certo sul ponte affollato di una fregata: c'era da tornare a casa con i reperti.

Ma poi... il terrore.

Dapprima dalle acque emerse ciò che a tutti sembrò lo spirito di un defunto, il fantasma di un guerriero del Nord, che ci osservava silente ed impassibile: era lo sguardo di rancore per averlo disturbato oppure voleva darci un avvertimento?
Chi di noi convinto nella Fede ritenne che fosse giusto dare riposo alle spoglie e riporre gli oggetti trovati, ma gli altri sentivano che c'era qualcosa di più.
Ma le congetture lasciarono ben presto lo spazio a pensieri di gran lunga più gravi: il cielo si oscurò e nubi di tempesta si addensarono in un battito di cuore, la nostra nave divenne fuscello in balia della furia dei mari.
La disperazione iniziò a serpeggiare fra i presenti, un muro di acqua solida come granito ci circondava e la nave non riusciva a trovare un varco per viaggiare verso lidi più sicuri: molti di noi furono scaraventati in mare e raccolti solo con grandissimi sforzi, mentre il resto si ritrovava a fronteggiare enormi kraken, draghi marini e creature d'acqua invocate da chissà quale oscuro potere degli abissi.

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La tempesta passò fra le lacrime e il sangue: forse solo l'amore della Dea dei Mari ci aveva scampati a quel supplizio e ad una morte certa nel buio delle acque più profonde.
Riportammo la nave, la pelle e i reperti in salvo a Hammerheim, c'era molto da studiare e da fare.

Eppure, malgrado l'accaduto, nel mio animo si fece spazio una sensazione: lo spirito di quei nordici che si erano sacrificati per un bene superiore ci aveva passato un testimone, la supplica di terminare ciò a cui la loro morte aveva dato principio. Mi domandavo cosa sarebbe accaduto se spiriti perversi e malvagi avessero trovato quel luogo invece che noi, guidati da ciò che è giusto.

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Quella notte, inutile a dirsi, presi sonno con estrema difficoltà, pensando e ripensando all'accaduto. Ma alla fine la stanchezza vinse.
Ma forse fu solo per meno di un'ora, o pochi minuti, o ancor meno: mi risvegliai di soprassalto, gridando come un bambino nel buio della notte.

Avevo sognato... superando una grigia coltre il mio sguardo viaggiava e vedeva.

Qualcosa nelle profondità degli abissi si è risvegliato.

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By Zenon Valdemar
#39191
Le domande si accumulavano come anni sulla schiena di un vecchio e la mancanza di indizi ci portava a brancolare nel buio.
Era evidente che da qualche parte avremmo trovato la tomba sommersa di un altro eroe, Visegard o Harald che fosse. Ma dove?

Qualcosa era stato risvegliato, forse uno spirito dei fondali o solo un'anima inquieta per il non aver portato a termine la propria sacra missione... non potevamo ancora saperlo.
Ma la risposta giunse presto e l'oscurità avvolse alcuni di coloro che insieme a me si erano lanciati in quell'impresa, un'oscurità che sussurrava una richiesta di aiuto dall'oltretomba, la supplica di qualcuno che voleva trovassimo le sue spoglie.
Nei mari del Nord, dove fuoco e acqua s'incontrano... queste le parole bisbigliate da un gelido respiro di morte.
E fu là che ci recammo seguendo questa semplice frase: ai piedi di un'isola vulcanica nei mari di settentrione un altro gorgo ci attendeva, dovevamo solo tuffarci in esso e sperare che la determinazione nel voler sapere non fosse maggiore dell'aria nei nostri polmoni.

Affrontando creature dal veleno mortale, correnti impetuose ed esseri di pura acqua e malignità giungemmo alla fine in una cavità naturale, antica di millenni, in cui un vecchio battello funebre era arenato: il secondo corpo era là, eravamo giunti finalmente al termine della nostra missione e potevamo portare pace all’anima sconvolta comprendendo al contempo il perché di quell’inquietudine.

Ah, noi illusi! La speranza di sapere soffocò presto nel vortice dell’ignoranza, nulla sembrava darci risposta… o almeno nulla che avremmo potuto considerare utile sin da subito!
Un vecchio baule, incastrato fra i macigni, giaceva in attesa di esser notato ed aperto, la sua chiave nella bocca di una dispettosa rana che dava l’impressione di voler ostacolare la nostra missione… se non fosse stato per la gravità delle circostanze saremmo probabilmente scoppiati a ridere: uno squadrone di Hammin messo sotto scacco da una ranocchia!

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Al termine della titanica impresa del recupero della chiave, il contenuto dello scrigno rivide finalmente la luce: una semplice freccia, forse legata all'arco e alla faretra che avevamo in passato rinvenuto, ed un antico diario.

Un terzo attore di questa tragedia era appena salito sul palco: non un eroe, non quanto Harald e Visegard apparentemente, ma qualcuno che era stato ricordato solo dall’amore di una donna, colei che aveva pazientemente vergato le pagine dinanzi ai nostri occhi nella speranza che l’uomo a cui aveva donato il cuore avrebbe prima o poi ricevuto il giusto spazio in questa intricata storia, qualcuno le cui gesta furono considerate disonorevoli malgrado il suo eroismo, qualcuno che aveva commesso crimini così gravi da non meritare il sonno dei giusti e il degno rito di abbandono delle spoglie mortali.

Agor, il suo nome, forse il più grande arciere che i popoli del gelido Nord avessero mai visto.

Che cosa hai fatto, Agor, per meritare tanto oblio?

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