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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Altai
#34407
Imperscrutabile è il volere degli Altissimi. Le nostre fragili menti giacciono inermi di fronte all'ignoto e per questo temiamo ciò che non siamo in grado di capire. E' anche in questo che giace il significato della fede poiché in essa e per essa possiamo inoltrarci nel baratro sicuri e forti, e nei meandri del buio, trovare la scintilla che divampa.
Noi fedeli e, in particolar modo, noi sacerdoti consacriamo ogni giorno della nostra vita per ottenere quella scintilla, per contemplare il lampo accecante della rivelazione.
Così in essa e per essa il volere di una mente imperscrutabile si rivela e da essa scaturisce la saggezza, che è viatico supremo per la comprensione della Verità.

Il silenzio mi circondava, la quiete della notte era congeniale affinché potessi sentire quello che non si può sentire. I bracieri assopiti attendevano di essere ravvivati e così il tenue riverbero dei carboni spandeva il riflesso scarlatto delle vetrate. Avvolto in quella muta alcova, al cospetto della statua cremisi, pregavo affinché gli Altissimi mi onorassero con la loro parola.
Sempre più le incognite divenivano pesanti nel mio cuore e il dubbio si faceva strada nei miei pensieri assieme alla paura di riverlarmi inadeguato a reggere il peso che grava sulle mie spalle. Così cercavo risposte a domande che non ero in grado di porre e conforto nel messaggio divino. Eppure esso non giungeva.
Per questo, al sopraggiungere dell'aurora, decisi che prodigarmi ulteriormente nello sforzo non sarebbe stato giusto.
La queiete mattutina sembrava cullare i miei passi e il profumo pungente del mare si mescolava a quello delle foglie autunnali che volteggiavano dolcemente nel vento.
Giunsi in fine agli alloggiamenti in cerca di requie per il mio spirito stanco e trovai conforto in quella finta solitudine, circondato dagli eletti.

Rammento quella sensazione come di vaga rassegnazione mista al peso dell'imperativo che da sempre impongo alla mia volontà, quello di resistere. Dinanzi al fallimento, all'angoscia, finanche al terrore. Resistere. Ed ora mi ritrovo a rimuginare su quanto sia inutile sperare o rammaricarsi di fronte alla voce degli Altissimi. Poiché solo rivelandoci degni di fronte al loro volere possiamo udirla.
Così la mia vista venne rischiarata nel sogno e il mio udito potè percepire alate, limpide parole.
Dischiusi gli occhi su una notte stellata. La tenue luce degli astri filtrava eterea tra le foglie degli alberi e sembrava guidare i miei passi all'interno di un placido bosco.

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Il mio lento incessare non durò a lungo poiché dopo pochi passi giunsi in una piccola radura al centro della quale stava un'elfa che pareva irradiare l'argentea luce delle stelle. Alta e nobile, avvolta da un leggero peplo bianco e rilucente che faceva eco alla pelle diafana e ai serici capelli che puri discendevano dietro la schiena. Di colpo mi arrestai al suo cospetto e il mio sguardo dovette farsi limpido specchio dello sgomento che quella visione suscitò nel mio cuore, poiché ella mi sorrise. I canini aguzzi sporgevano elegantemente dalle labbra e il riflesso violaceo delle iridi le conferiva una bellezza maestosa e selvaggia, ancestrale.

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Con un lieve cenno della mano indicò un braciere sorretto da una colonnina di marmo che giaceva ai suoi piedi e che era sfuggito alla mia attenzione, prostrato com'era di fronte alla trascendenza della visione di lei.
Osservai il crogiolo d'argento decorato a fregi sbalzati che in alternanza ospitavano elaborati motivi geometrici e ragni sul cui dorso spiccavano piccole schegge di ametista. Poi lentamente alzai lo sguardo fino ad incrociare quello dell'elda e, ne fui quasi risucchiato. Sentivo il dolore e la sofferenza, la rabbia e l'odio in quello sguardo, eppure in esso non scorgevo crudeltà, solo rammarico e qualcosa che non riuscivo ad identificare, talmente sottile e flebile all'interno di quel tumultuoso vorticare.
In quel momento l'elfa sollevò la mano e dischiuse la gabbia delle dita eleganti lasciando scivolare una sottile polvere vagamente rilucente nel braciere, che non appena entrò in contatto con il freddo metallo divampò in una luce accecante. Portai istintivamente una mano al volto cercando di farmi schermo e fu in quel momento che udii una voce riverberare nei miei pensieri.
“Dischiudi gli occhi” disse “il buio non sarà per sempre la nostra dimora”.
In quel momento avvertii il calore della fiamma scaldarmi le gote ed a quella sensazione seguì la vista del braciere, che accoglieva un fuoco che ardeva limpido ma anche famelico, distruttivo.
In quel momento l'elfa avvicinò la mano alla fiamma e poi, levato lo sguardo su di me, ve la immerse. Il fuoco cominciò a divorarla e a poco a poco il viso dell'elda, che fino a quel momento era stato incarnazione di una ieratica serenità, cominciò a inasprirsi. Le labbra si contrassero fino a scoprire i denti, e lo sguardo si fece duro e feroce, come se la sofferenza alimentasse un odio profondo e inestinguibile. Nella mia mente esplose allora una tempesta, un coro dissonante di mille e mille voci, urla impossibili da sopportare. Duramente giunsi alla consapevolezza che quelle urla non avrei potuto sopportarle e che esse mi avrebbero inevitabilmente condotto alla pazzia, poiché un animo mortale non avrebbe mai potuto sopportarne il peso. Tuttavia all'interno di quelle urla potei scorgere un tenue sussurro e, afferrandolo con tutte le mie forze potei riacquistare il dominio delle mie emozioni.
Fu allora che l'elfa mi sorrise nuovamente mentre di scatto estraeva dalle fiamme la mano brandendo una spada avvolta dalle scintille.
La lama era forte, e l'acciaio splendente sembrava emettere un suono vibrante, come una sorta di richiamo, figlio del crepitare famelico della fiamma che agogna di consumare.
Con un gesto l'elda mi fece cenno di avvicinarmi e, una volta al suo cospetto mi porse la spada e fu allora che dischiuse nuovamente le labbra. Disse, “nar mate, nò turlve ta, la fiamma divora, ma noi la controlliamo”. Ripetei lentmente quelle parole mentre con solenne reverenza raccoglievo dalle candide mani la fulgida lama. “Non temere il dolore, giovane vita, abbraccialo e fanne uno strumento. Solo in questo modo dalla sofferenza nascerà la virtù, e con essa un individuo forte, saggio. E Pronto. A condurre Arda verso il suo destino.
Che la fiamma possa ardere fino al momento del Suo ritorno, difesa dagli otto scudi, custodita da ancelle devote.
In quel momento la vista cominciò ad offuscarsi e sentii una parte di me urlare e dimenarsi in maniera quasi fanciulla, poiché non riusciva ad accettare il ritorno. La sensazione alla quale i ricordi riescono ancora a dar forma era come di un'onda che mi trascinava inesorabilmente verso il basso, come se al di sotto ci fosse un baratro terrificante. Così la parte irrazionale del mio spirito tentò di aggrapparsi alla visione di Lei, disperatamente, e in fondo al cuore speravo non avesse mai fine. E mentre nel profondo mi rassegnavo e accettavo le tenebre, un ultimo guizzo di luce mi investì, e con esso nuovamente la sua voce. “Non lasciare che si spenga. Mai”.

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