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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Khunktor
#26584
Calpestai il suolo umido della Giungla facendomi largo agilmente tra le liane. Da una spalla pendevano alcune buone pelli. A tracolla, legata con un cordino sottile, oscillava a ogni passo la sacca con alcuni reagenti raccolti da poco, la cui fragranza muschiosa si mescolava con quella ferrosa e selvatica delle pelli appena scuoiate.
Giunsi nei pressi del Grande Fiume, con gli alti fusti che si specchiavano nelle acque rese torbide dai sedimenti delle ultime piogge tropicali. Le fronde erano lucenti d’acqua e stillavano gocce ai leggeri refoli di vento, così come i cespugli di felci e le foglie più basse dei banani e delle palme.
Quasi non mi accorsi quando la sagoma scura affiorò lentamente dal sottobosco. I suoi occhi gialli incrociarono i miei. Occhi vigili, ma non allarmati. Il grosso lupo dal manto nero mosse il muso verso una direzione, snudando appena le fauci, ma senza minaccia. Mi stava dicendo di seguirlo.
Mi mossi nella Giungla seguendo la lesta figura scura che mi apriva la strada. Dopo molto correre, si fermò infine sulla soglia di una grotta nascosta dietro un cespo di grandi foglie ovali.
Ancora una volta, il suo cenno col muso fu sufficiente per farmi capire cosa voleva che facessi. Non indugiai: gli Spiriti mi stavano guidando e la mia mente era aperta ad accogliere il messaggio che era destinato a me. Nel mio cuore mi rivolgevo a Mawu. Ero pronta a ricevere.
L’interno della grotta era freddo e umido. Usai le pelli che avevo riportato dalla caccia per coprire il suolo e sedermi su di esso. Il lupo, intanto, aveva preso a girarmi attorno, lentamente. Le tante spire tracciate intorno a me sulla pietra, la preghiera dentro di me... dopo poco le mie palpebre si erano fatte pesanti e il Mangarap si dischiuse ai miei occhi: non c’era distinzione tra il prima e il dopo. Ero nella grotta, il lupo mi era dinnanzi e mi guardava, io ero accovacciata sulle pelli e ricambiavo lo sguardo. Solo che stavolta il lupo apriva le fauci e da esse ne usciva una voce come di uomo e lui mi si rivolgeva con voce autorevole.

“Sarò la tua ombra, il tuo guardiano. Ti guiderò finché non sarà il momento. Sei pronta?”

Un ruggito improvviso mi fece spalancare gli occhi.
Mi guardai attorno solo per accorgermi che ero da sola. Il lupo era sparito.

Mi volsi allora alla saggezza del Tlatoani, in cerca di una guida per comprendere l’incontro nel Mangarap. Spire Nere ascoltò con attenzione com’era suo solito, ponderando ogni parola e ogni pausa del racconto, quindi decretò l’inizio di una cerca: un viaggio volto ad approfondire la conoscenza delle molteplici specie di lupo esistenti, quelle che secondo le storie tramandate dagli Anziani erano venute tutte dallo stesso, unico Lupo che Mawu aveva mandato a percorrere la terra.
La Giungla mi vide partire e mi vide anche ritornare, molte danze di Lhuixan e di Shoixal dopo.
Recavo con me numerose pelli essiccate su cui avevo tracciato le figure di ogni lupo incontrato, da quelli artici a quelli presenti sulle isole vulcaniche. Quando mi presentai nuovamente a Spire Nere, ella comprese che vi era qualcosa oltre la stanchezza del corpo. Avevo continuato a vedere quel lupo nei miei sogni, un lupo che non calcava la terra nelle forme consuete scorte nei boschi. Decise allora, interpretando il volere degli Spiriti, di affidarmi il Totem che rappresentava lo Spirito-guida del Lupo.

Diversi cicli di Spiriti dopo quegli eventi fui nominata Wakan del villaggio di Timata Ora.
Più che mai desideravo provare il mio valore di Anziano Sciamano tra gli abitanti della Tribù, e decisi così di cimentarmi in un’impresa ardua: quella di rafforzare il legame con gli Spiriti-guida.
Sapevo dai vecchi racconti degli Anziani che Mawu, in tempi antichi, aveva concesso ad alcuni animali particolarmente meritevoli di diventare degli "Spiriti". Il mio intento era quello di avvicinare la Tribù a questi ultimi, di chiedere loro di unirsi a Timata Ora e di proteggere chi fosse ritenuto degno.
Proposi il mio intento al Tlatoani, all'Hawakan e agli altri Qwaylar del villaggio, e tutti si dimostrarono ben disposti ad aiutarmi.

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Deciso il da farsi, informai la Tribù che prima di cercare gli Spiriti bisognava creare dei nuovi Totem destinati a contenerli, e che per fare questo occorreva un feticcio in grado di accogliere uno Spirito potente.
Sapevo bene cosa mi serviva: ossa di Dracolich, piume di fenice e petali di loto nero, il tutto tenuto insieme con peli di Minotauro dalla pelliccia dorata.
Con la luce di Lhuixan che rischiarava l’oscurità nebbiosa della Giungla, partimmo per diverse notti alla ricerca dell'occorrente per creare i Totem.

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Occorse l'intero ciclo di Tonatiuh per trovare tutto l'occorrente per assemblare le future dimore degli Spiriti, e impiegai quasi tutto il ciclo di Oxossi per mettere a punto il rito.

La cerimonia era qualcosa che avevo ben chiaro in mente, ma era la prima volta che lo mettevo in atto. Provavo una sensazione mista tra paura e ansia. Non volevo fallire un rito così importante. Non volevo sbagliare il primo rituale che compivo quale Wakan del villaggio. Non volevo che il mio nuovo nome, "Zannargento", fosse associato alla sventura.
Il mio intento era quello di creare dei Totem differenti da quelli conosciuti dalla Tribù, che sapessero contenere Spiriti potenti e che permettessero, al Qwaylar ritenuto degno, di avere un contatto più diretto e profondo con lo Spirito.
Posizionai un tavolo di solido legno nei pressi della grotta del villaggio che accoglie il Tempio di Mawu, e sparsi tutto attorno petali degli Spiriti a protezione del rituale.
Quando il rito ebbe inizio, le fiaccole e il fumo aleggiavano intorno all’area designata. Dove prima si udivano il suono della risacca e i versi degli animali notturni, ora c’era solo il battente risuonare dei tamburi e dei canti tribali che si protrassero per l’intera notte.

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Jibal'ba e Khewe accesero un fuoco sotto un pentolone con lo scopo di far bruciare i petali di loto nero e i petali degli Spiriti. Makena purificò la zona con la polvere nera e con il fuoco.
La mia voce si sollevava invocando ogni Spirito, perché in ogni fase della costruzione le nostre mani fossero da essi guidate secondo la loro forza modellatrice. Al mio canto seguiva ritmicamente quello dell’intera Tribù, le nostre voci avviluppate come fili di una corda possente.
Così le ossa del Dracolich furono incise con simboli spirituali, i crini filati. I Totem furono assemblati dalle esperte mani di Spire Nere: intrecciò la pelliccia dorata del Minotauro per creare un cordino robusto che fu fatto passare tra le piume e le ossa di Dracolich. Sangue fu sparso sui ciondoli, perché sancisse il legame tra gli spiriti dei Qwaylar e quello degli Spiriti-guida, fumi e cenere li avvolsero, in purificazione.
Dopo che fu conclusa l’invocazione finale a Mawu, deposi i Totem vicino alla grotta sacra con accanto un cesto con fiori degli spiriti, candele e altre erbe per tenere lontani gli spiriti vaganti.
In attesa.

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Ora bisognava trovare gli Spiriti-guida.
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By Khunktor
#26898
Alcune sere dopo, la Tribù ricevette un ospite proveniente dal lontano villaggio di Kaniga Wata. L’uomo, Tamtam, aveva sentito parlare di Spire Nere ed era giunto a Timata Ora con un Mawena molto prezioso da offrire al Tlatoani.
Sedemmo tutti insieme attorno al grande falò al centro del villaggio. Tamtam non era a Timata Ora per caso: aveva visto un lupo nella Giungla, un lupo con Lhuixan negli occhi, come quello che io avevo incontrato nel Mangarap. Solo che il lupo stavolta si era mostrato a Tamtam nel mondo reale, non in quello dei sogni, com’era accaduto a me. Poi, secondo il suo racconto, il lupo era sfuggito al suo sguardo e non gli era più riuscito di trovarlo.
Avevo provato a cercarlo nella Giungla, battendo ogni possibile pista, seguendo odori, tracce, segni del passaggio di una creatura come quella, ma senza successo.
Anche Tamtam si era aggirato a lungo tra le liane e gli arbusti, sul terreno a tratti paludoso, tentando di scorgere nuovamente l’animale, e si era spinto fino ai territori di Waka Nui prima di arrivare al nostro villaggio.
Lì, nella porzione di Giungla sotto il dominio di Nukubame, Tamtam non aveva avvistato il lupo, ma aveva notato che i cacciatori di Waka Nui erano all’erta, come sulle tracce di una preda. Tamtam non seppe spiegare il motivo, ma qualcosa gli diceva che le tracce erano proprio quelle del lupo che si era mostrato anche a lui.
Il qwaylar aveva anche provato ad avvicinarli, a parlare con loro in cerca di conferme, forse di un insperato aiuto, ma tutto ciò che aveva ottenuto in cambio era stata una pioggia di frecce acuminate, con tutta probabilità intinte nel veleno. Una risposta eloquente. Tamtam rievocò il ricordo senza tentare di nascondere il profondo risentimento suscitato da quella reazione.

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Durante il racconto dell’uomo, tutti noi presenti notammo che le lingue di Xangò, il fuoco che bruciava alle sue spalle, avevano preso ad agitarsi con furia improvvisa e ingrandendo a dismisura la sua ombra, fino a farlo sobbalzare.
Spire Nere invece osservava il fuoco, affatto intimorita dalle fiamme. Sapeva cosa cercassero, cosa bramassero ardere. Così si recò nella capanna del Tlatoani e prese il sacchetto con le preziose erbe di Wanjala. Quando le piante essiccate entrarono in contatto con le lingue di fuoco, dense nubi si sollevarono da esse e l’aria attorno al grande fuoco divenne pregna di sostanze inebrianti. Subito le nostre narici ne furono ripiene, inspirandole a fondo. Le brocche, i cesti e gli altri oggetti poggiati al suolo accanto a noi divennero presto indefiniti ai nostri sensi, ma le nostre menti presero a elevarsi, ad aprirsi.

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A quel punto, il Tlatoani pose i suoi occhi piccoli e neri su di me e mi invitò a iniziare il racconto del Lupo-Spirito che mi era stato narrato molto tempo addietro.


La leggenda del Lupo


Molti erano stati i discendenti del primo lupo, colui che Mawu mandò per il mondo a osservare i Figli appena creati e le loro azioni.
Uno di questi era chiamato dai suoi fratelli Wuruhi; era un lupo dal pelo grigio chiaro, certamente non il più grande o appariscente del branco. Era schivo e ritroso, e dimostrava indolenza nell’osservare il compito che il Grande Spirito aveva affidato ai suoi simili, preferendo oziare sulle piatte rocce grigie alla luce di Shoixal o sotto i grandi alberi nei giorni di maggior calura.


Nei pressi del suo territorio vi era una tribù appena stanziata che aveva preso il nome dal suo primo Tlatoani, Hobbanee. Si erano stanziati sopra le montagne per sfuggire ai molti predatori della jungla, abbandonando le capanne e cercando rifugio nelle cave naturali nella roccia. Poco sapevano degli antri celati dalle montagne o dei pericoli che vi si annidavano, ma era una tribù giovane, con pochi guerrieri e ancora meno anziani, poiché vi era stata una lunga carestia.
Il lupo osservava il loro lavoro quotidiano dalla rupe più alta su cui si era adagiato pigramente, più con una lieve curiosità che con vera attenzione. Accadde così che assistette alla gioia della tribù nell’accogliere l’ultimo nato, il più piccolo della cucciolata umana. Osservò la pura espressione di gioia della giovane madre, e la fierezza dello sguardo paterno mentre il bambino veniva presentato a Snu Snu davanti a tutto il villaggio, in ringraziamento a Colui che porta doni. Udì le danze e i canti, e sulle voci di festa si assopì.


Poi, giunsero le urla di dolore. Erano trascorsi alcuni anni da che i giorni di Wuruhi scorrevano di pari passo con quelli della tribù, senza che questa se ne avvedesse. Aveva osservato le famiglie diventare più numerose, nuovi giovani imparare a roteare le lance, i confini divenire più sicuri e gli uomini un poco più saggi. Aveva osservato anche il piccolo imparare a sollevarsi sulle zampe posteriori, camminare prima, incerto, poi tentare di scendere a valle nonostante i rimproveri.
Ora, nascosto sulla sua alta rupe, Wuruhi fu destato dalle grida disperate della giovane madre. Era notte. Lhuixan era così sottile che del villaggio si scorgevano solo i fuochi delle torce degli uomini accorsi in aiuto e quello, più grande, posto al centro delle grotte.
Il lupo fiutò il terrore, lo sgomento della madre. Fiutò l’inquietudine che aveva preso a serpeggiare tra gli uomini nel momento in cui era stata scoperta la sparizione del cucciolo d’uomo. E allora ricordò. Ricordò quelle sensazioni provate tempo addietro di fronte ai pericoli attanagliargli le viscere. Ricordò il senso d’impotenza, l’angoscia, il pericolo.
Non con lucidità, ma fu solo istinto. Puntò una zampa sulla roccia e scivolò silenzioso verso la giungla, gli acuti profumi che gli arrivavano a ondate mentre accelerava nella corsa, mentre si infilava tra i terreni paludosi e le liane cercando una traccia. Non scorgeva i fuochi
lontani delle fiaccole, seguiva solo i propri sensi in una cerca affannata, come se una vita d’attesa fosse servita in anticipazione di quel momento.
Eppure trascorsero ore senza che riuscisse a trovare il cucciolo. Aveva trovato una traccia, poi l’aveva perduta. Odori acri si mischiavano e lo confondevano, e l’oscurità gli impediva di scorgere tracce al suolo. Allora sollevò lo sguardo su Lhuixan che rimandava un debole chiarore.

“Figlia di Hebieso”, le si rivolse, “perché nascondi la tua luce stanotte? I Figli di Mawu sono agitati e fremono. Dona il tuo bagliore più vivo, ché io possa trovare ciò che cerco”.

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Allora Lhuixan, che aveva sempre osservato con interesse quelle creature notturne che le dedicavano canti accorati, si gonfiò ed emanò maggior chiarore, illuminando i sentieri più esposti.
Wuruhi da principio non scorse altri segni, poi vide qualcosa. Orme dapprima compatte, poi trascinate, interrotte, graffiate da altri solchi violenti. Una lotta.
Percorse la breve distanza che lo separava da un anfratto nella grande montagna che si ergeva su un lato della jungla. Non vi erano più orme, ma ora fiutava chiaramente l’odore nell’aria pregna di umidità. Percorse la grotta fino in fondo, avanzando in quello che pareva un gelido covo di ragno.
Aracnidi di medie dimensioni gli si fecero incontro, ma nonostante la stazza dovevano essere giovani e inesperti, poiché il lupo riuscì a saltar loro addosso e a strappar via zampe e occhi senza particolare difficoltà. Più difficoltoso fu liberarsi delle ragnatele che gli rallentavano il passo, ma l’odore aumentava, e con esso la frenesia di raggiungere l’obiettivo.
Il bambino era nella sala più interna; giaceva sospeso a mezz’aria, avvolto in una tela, il volto emaciato e inerme, come addormentato. Accanto ai tanti bozzoli pendenti, Wuruhi vide con un tremito un ragno così imponente che la punta delle zampe graffiava il suolo di roccia e terra. L’enorme creatura verdastra voltò su di lui i tanti occhi rossi e gli parlò con tono affilato:

“Cosa viene a cercare qui un figlio del primo lupo? Hai le tue prede di fuori, sei forse in cerca delle mie? Non sei in grado di cacciare da te ciò di cui ti cibi?”

Il lupo snudò le zanne. “Non sono qui per cacciare le tue prede, ma una la prenderò. Sento nel tuo odore che dentro di te si muove uno spirito malevolo. Ti dilanierò le carni e prenderò ciò che non ti appartiene”.
Così dicendo, Wuruhi ingaggiò battaglia con la creatura posseduta.
Non vi era molto che potesse contro il grosso ragno, giacché lo spirito corrotto dentro di lui lo rinvigoriva in maniera innaturale, ma il lupo non si sottrasse allo scontro e, anzi, infuse tutte le sue energie nel combattimento, mordendo, strappando, lacerando con furia ferale, finché non costrinse l’avversario, ferito, alla ritirata nei recessi più bui e impenetrabili della caverna.
Ma anche Wuruhi era ferito, ben più seriamente dell’altro. Raccolse le ultime forze per strappare la tela che legava il cucciolo d’uomo e lo trascinò, sfinito, all’esterno dell’antro.
Ad attenderlo, sotto lo sguardo di Lhuixan, vi erano i soldati della tribù; tra di essi, la giovane madre. La donna si chinò in lacrime, prese il piccolo e se lo strinse al petto con lentezza, e i loro cuori battevano all’unisono. Poi distese una mano sul capo lacero del lupo che era adagiato al suolo, privo di forze.

“Il Grande Spirito ti ha mandato a noi perché tu salvassi il mio piccolo, e grande è stato il tuo coraggio. Non posso curare le tue ferite, ma la mia tribù narrerà sempre del tuo nome, e il tuo popolo sarà sempre amico del mio. Offriremo sacrifici a Mawu e a Gu in ringraziamento per il tuo gesto. Scolpiremo nella roccia il tuo volto e questa notte sarà tramandata dal più piccolo dei nostri cuccioli al più anziano dei nostri saggi, finché il grande fuoco arderà.”

Quelle parole di profondo rispetto furono le ultime che Wuruhi udì, poi il suo spirito si liberò dal corpo. Ma Lhuixan, osservatrice silente, aveva seguito con commozione gli avvenimenti. Invocò Mawu di preservare lo spirito di quel lupo coraggioso, in onore alla guida e alla protezione offerta dal lupo ai suoi figli. Così, lo spirito di Wuruhi permase sulla terra, aleggiando tra le volte della giungla fino a che Lhuixan non gli offrì di andare a vivere insieme a lei.
Da allora il lupo fu chiamato dai suoi simili Wairua Wuruhi, che vuol dire Spirito di Lupo.
Da quel giorno, Wairua Wuruhi osserva quelli che la notte rivolgono lo sguardo a Lhuixan, scrutando il loro spirito. Coloro che vedrà più affini a lui saranno quelli che da egli riceveranno segni e visioni, perché seguano le sue orme da quel momento e nei tempi a venire.

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By Khunktor
#27041
I fumi del grande falò si addensarono sempre di più, e nell’attimo in cui gli ultimi stralci del mio racconto giungevano al termine ci accorgemmo che non ci era più possibile distinguere neanche le nostre stesse mani, come se la notte, belva famelica, stesse inghiottendo il villaggio un pezzo dopo l’altro, lasciando il centro di esso come ultimo boccone.
Calò d’improvviso una repentina oscurità, e quando riuscimmo di nuovo a guardarci intorno ci rendemmo conto di essere nel cuore della Giungla. Non percepivamo più i nostri corpi, ora intangibili involucri, ma avevamo una percezione superiore del respiro della Giungla stessa.
Poi, il grosso lupo arrivò correndo, scivolò tra i grandi alberi e si fermò davanti a noi.
Di nuovo, ebbi occhi di lupo nei miei. Occhi intensi e luminosi.
Di nuovo, quegli occhi mi guardavano dentro, mi chiamavano, mi indicavano una via. Emise un ringhio leggero, poi riprese la sua corsa, svanendo così com’era apparso.
Anche la Giungla svanì con lui, e noi ci trovammo di nuovo davanti al grande fuoco di Timata Ora.

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Tamtam ora saltellava dall’impazienza. La visione era chiaramente collegata agli eventi degli ultimi giorni, ai sogni e agli incontri. Uno Spirito ci parlava, ci chiamava a raccolta, un luogo ci era stato mostrato, riconosciuto da tutti i cacciatori della Tribù. Erano i territori di Waka Nui.
“Tribù, prepara alla caccia!”, decretò Spire Nere, e a quel comando risuonarono alti i tamburi.
Il calpestio di tanti piedi scalzi agitò il villaggio, polveri e bacche furono sapientemente schiacciate e impastate per formare misture dalle intense tonalità, la pelle di uomini e donne venne decorata con simboli curvi e uncinati. I canti si sollevavano sempre più intensi, le lance svettarono decise mentre la Tribù si inoltrava nella Giungla, seguita dall’entusiasta Tamtam. Ci dirigemmo verso l’area della visione, pur tenendoci a debita distanza da Waka Nui.
Erebo, il lupo di Spire Nere, aveva fiutato una pista e ci indicava la via tra gli arbusti con passo sicuro. Fu seguendo lui che trovammo un manipolo di guerrieri appostati presso un’ansa del fiume serpente. Gli uomini dello Sciamano Serpente si mostrarono tutt’altro che amichevoli. Ammisero di essere sulle tracce del grande lupo perché interessati alla sua pelliccia pregiata, su cui Nukubame aveva messo gli occhi. Spire Nere fiutò la possibilità di uno scambio e offrì loro a più riprese una pelliccia ugualmente rara conservata con cura presso il villaggio, a patto che lasciassero stare il lupo, ma questi ignorarono ogni proposta e insistettero che non dovevamo occuparci di questioni che non ci riguardavano. Continuarono a ostentare gran sicurezza, sebbene avessero la nostra Tribù davanti e il fiume alle spalle, e non fossero in gran numero. Oltretutto uno dei guerrieri appariva inquieto e dubbioso, continuando a guardarsi alle spalle e lamentando strani rumori provenire dall’altra sponda del fiume, nei territori dei Kokaroti. L’altro guerriero, però, non aveva alcuna intenzione di spegnere i fuochi dello scontro imminente. Così, mentre uno, impaurito, se la dava a gambe, l’altro lanciava i suoi compagni alla battaglia, che tuttavia durò solo pochi frangenti.

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Nonostante Spire Nere ci avesse intimato di lasciarli vivi, questi caddero sotto le ferite riportate.
Non ci rimase allora che proseguire la ricerca, non prima di aver raccolto un ciuffo di peli dal colorito inusuale tra gli averi degli sconfitti.
Raggiungemmo l’altra riva con l’aiuto di lunghe corde e ci inoltrammo nel territorio dei Kokaroti, una Tribù che era stata maledetta da Mawu. Occorreva muoversi con estrema cautela.
A dimostrazione di ciò, prima udimmo urla straziate, poi poco distante ci si mostrò uno spettacolo che allertò ancora di più i nostri sensi: corpi umani squarciati al suolo, ridotti in uno stato tale che non sarebbe stato attribuibile ai comuni animali della Giungla. Anche i suoni a noi più familiari erano ammutoliti. Un silenzio innaturale ci ovattava le orecchie, preannunciando sviluppi sinistri, tali che anche gli uccelli e le altre creature si erano allarmati e si erano ritirati nei loro anfratti.
Qualcosa di imponente ci girava attorno, nascosto tra i cespugli. Restando sempre guardinghi, a tratti ne riuscivamo a cogliere un’ombra. Poi solo fruscii. Silenzio. Qua e là un ramoscello spezzato.
Eravamo diventati prede.

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Quando l’enorme fiera emise il suo ruggito di sfida fu come se tutte le fronde intorno fremessero d’un colpo, scuotendosi in preda al terrore.
Un tremito mi colse nell’osservare la creatura dal colore di Xangò, con lunghe striature nere come tetre artigliate, le zanne snudate, come lame d’osso, la muscolatura possente, letale.
Attaccammo tutti insieme, nel tentativo di non lasciar spazio all’iniziativa, di farla soccombere prima che potesse usare qualcuna delle sue armi devastanti.
Inaspettatamente, credemmo per un momento di aver sottomesso la belva con uno sforzo inferiore al previsto, poi una tremenda zampata prese l’Hawakan in pieno petto. Solo la lesta intercessione di Spire Nere lo preservò dal riunirsi al Grande Spirito, frangente di cui l’imponente animale approfittò per dileguarsi nel folto della Giungla.
Eravamo sorpresi dall’incontro, tuttavia non era quella la creatura che stavamo cercando.
Avevamo ancora i peli sottratti ai cacciatori. Li facemmo annusare a Erebo, che subito trovò una pista verso sud, lungo il fiume serpente, e si lanciò all’inseguimento con impeto, seguito da noi tutti.
Quando si fermò, eravamo davanti a una grotta a noi nota per essere una tana dei Kokaroti.
Li scorgemmo appena oltre l’ingresso: un drappello di guerrieri aveva chiuso il lupo della visione in un angolo e infieriva su di lui con la furia delle armi!
Intimammo loro con foga di fermarsi, ma lo scontro fu inevitabile e, purtroppo, non abbastanza rapido. Quando l’ultimo assalitore fu morto, il grosso lupo giaceva al suolo riverso su un fianco, il respiro lento di chi sta per abbandonare le spoglie mortali. Il mio petto si strinse notando per la prima volta che dietro di lui, o meglio, di lei, c’era una cucciolata intimorita che guaiva e dava piccole musatine al corpo ormai morente della madre.
Mi inginocchiai accanto a loro, non sapendo cosa fare. I piccoli di lupo mi guardavano e mugolavano, come se potessi esser loro d’aiuto. Tesi loro una mano, cercando la loro fiducia e volendo dimostrare la mia inoffensività. Desideravo aiutarli, ma non ero una madre per loro. Non potevo esserlo.
La voce di Tamtam giunse alle mie spalle. Era quello il motivo per cui il lupo non fuggiva dalla Giungla nonostante fosse inseguito, notò. Doveva proteggere i suoi cuccioli. Ripensando alla leggenda che gli avevamo raccontato, riflettè poi che allora era stato un lupo a salvare un cucciolo d’uomo, lasciando intendere che ora avrebbe potuto essere la Tribù a fare altrettanto per dei piccoli della loro specie.
Khewe e Kmè presero il corpo della madre e l’adagiarono fuori dalla grotta, alla luce di Lhuixan, mentre i cuccioli mi seguirono spontaneamente. Lì, nella piccola radura, l’aria vorticò in piccoli sbuffi sotto i nostri occhi sorpresi, poi prese la forma di uno Spirito di Lupo, e la sua voce suonò chiara nelle nostre menti:

“In una vita passata, molti anni fa, salvai un cucciolo della vostra specie. Questa notte mi avete ricordato perchè fu giusto il mio sacrificio. Voi avete salvato i cuccioli che ho generato in questa vita. Per questo, concederò nuovamente a voi la mia amicizia e il mio legame.”

Promisi allo Spirito che avrei avuto cura dei suoi piccoli, ma che se avesse voluto, avrebbe potuto rimanere con noi e con la sua prole, continuando a proteggere la Giungla. Gli parlai dei Totem che erano stati creati perché gli Spiriti vi risiedessero, e gli mostrai il ciondolo che pendeva al mio collo. Lo Spirito del Lupo, con un balzo, vi saltò dentro, impregnando di potere il pendente. Potevo sentire la sua presenza, la presenza di Wuruhi, irradiarsi sul mio petto. I cuccioli, tra i miei piedi, guaivano tenendo lo sguardo alto. Verso il ciondolo e oltre gli alberi, verso Lhuixan.

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“Wuruhi”, pensai a notte fonda, seduta sulle canne intrecciate della mia capanna, le dita che sfioravano il Totem. “Wuruhi, ho condotto i tuoi cuccioli a Timata Ora. So che hai sentito i loro spiriti vivi e curiosi appena giunti al villaggio, con quanto entusiasmo hanno annusato il terreno, senza alcun timore, come se si sentissero già a casa, e con quale gusto hanno mangiato la carne che ho dato loro. Sono così pieni di vita… e, puoi starne certo, darò la mia per preservarli.”
Lasciai vagare lo sguardo tra le capanne. La brezza leggera era tiepida e rendeva ancora più dolce la sensazione di pace. Sorrisi guardando un basso banano pieno di frutti che si stagliava poco distante. Molle e rilassata come il venticello notturno, si vedeva penzolare la gamba scura di Tamtam che, entusiasta per la grande avventura appena vissuta, ci si era appisolato per trascorrere la nottata, prima di tornare a Kaniga Wata.

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