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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Nawal al Sabah
#57505
Non sono mai voluta stare all'Oasi.
Chissà quando l'ho dimenticato?!
Da ragazzi, nella Harais, ridevamo delle finezze della vita dentro le mura, trovavamo ridicole certe comodità e certi vizi, pensavamo fosse cosa per gente con poco Vigore, meno Parsimonia e nessun cactus di senso.
Quante risate al pensare un figlio della città santa a districarsi tra i problemi di una vita nomade, con un bello sputo di lama da lavare da una tunica di seta, aah!
Con mia sorella Labwa ibn Kmal, dopo la liberazione, avevamo pensato di stabilirci sul Raya per un periodo, ma poi no, porca siccità, troppi vincoli, troppe catene.
E ce le siamo fatte mettere d'oro, poi; lei più di me.
Così eccomi qui, a considerare se le tende sono abbastanza blu o aguardar le ha troppo stinte per tenerle ancora; se non è il caso di aumentare il prezzo dei narghilè al Bordello; se sto uscendo con la giusta quantità di gioielli per non fare sembrare la mia Tenda povera, ma nemmeno volgare.
Non sono mai voluta stare all'Oasi.
Poi mi sono dimenticata...
Sarà che all'inizio mia sorella ne aveva bisogno, per un periodo, per studiare il Maat; forse perché mio zio mi mostrava affetto e fiducia; che da tanto tempo non avevo nessuno a parte Labwa e dopo tutto all'Oasi lavoravo poco e guadagnavo bene.
Poi c'era stato quello là, che per un attimo mi fece credere di essere come loro. Tutti attori, per non pagare, eh?
Non sono mai voluta stare all'Oasi.
Ho iniziato a ricordarmelo, ad andare tra le dune, a tornare solo poco tempo, girare Ardahan senza una meta, per perdermi e ritrovarmi, perché Akkron ama i curiosi, no?!
Però avevo giurato, quindi tornavo sempre, come il buon lama torna alla Harais anche senza cavaliere. E poi oh, anche senza aver giurato al Risoluto, comunque ero figlia di Akkron, ben prima che di mio padre.
Tornavo alla città santa e finivo sempre per restare un po'di più, finché non mi trovai di nuovo sedentaria. Una sedentaria. Una Tremecciana.
Non sono mai voluta stare all'Oasi.
Eppure vuoi per distrazione, vuoi perché forse credevo che avrei avuto una famiglia, che mi sarei abituata, sono rimasta qui. E ho fatto le cose che fanno i tremecciani, ho preso una casa più grande, ho messo un paio di cugini a vendere per me, ho preso il bordello in gestione, ho provato a tenere lo stesso uomo per un po', c'ero quasi riuscita.
Ma non è servito a nulla, dentro di me c'è una nomade stanca di troppe cose; di star ferma ad aspettare, della falsa cortesia urbana, degli intrallazzi del bazaar dell'anima, di questi segreti sotto un velo di sabbia che troppe volte il Kamshin ha disperso con le sue illusioni, che poi sono le mie, oh!
Non sono mai voluta stare all'Oasi.
Ora che me ne sono ricordata, torno con la Harais della zia Rabbuqa, che in questa stagione è da qualche parte nella Sarissa e sicuro ha voglia di canzoni nuove per le donne, trucchi di Maat per i bambini, e capelli rossi con esperienza per giovanotti esuberanti. Questa sono: una danzatrice del Maat, una Sahima da Bordello, una cantrice del Kamshin; e per quelli come noi con le nostre facce da schiaffi, c'è sempre una tazza di stufato della zia Rabbuqa, uno dei peggiori del Sahra.
A un Assid questo serve, la pancia piena e le stelle disordinate solo a prima vista.
Punto a nord, nord-ovest il muso del mio lama, le sue orecchie dritte sono una fionda che mi lancia a casa, mi volto a vedere le dune che si mettono veloci tra me e le cupole e sorrido: se la caveranno una stagione senza una vecchia odalisca!
Dietro mi lascio tutto e solo una canzone sguaiata mi rincorre ancora un po', prima di perdersi nel Sahr'akbar, come me.
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By Nawal al Sabah
#58423
Mbeyrika, col cucchiaio di legno, stava frugando da un giro di clessidra nel suo piatto in cerca di un pezzo di qualcosa, qualsiasi cosa, che fosse più grande di un granello di sabbia e che non fosse completamente sputlito. Aveva un'aria davvero avvilita.
"Akkron è grande, ma non può fare anche questo per noi, - sospirò - devi andare tu"
Yashet, che aveva lasciato perdere la cena e stava accostando il manico rotto del suo liuto alla cassa, sussurrando "an xar...xar ylem...vas des xar" con aria concentrata e nessun risultato, sollevò lo sguardo, notando sua cugina di 5° grado fissarla.
"Andare io...a fare cosa?"
"A sederti su un cactus!!" - sbottò Mbeyrika - "All'Oasi, con la zia Rabbuqa, a farle fare una dentiera"
In un angolo della tenda, infagottata in svariate pelli di lama, la zia Rabbuqa russó brevemente piú forte, come a rispondere al suo nome.
"E basta con la dentiera delle mie dune, cucina tu se hai da ridire" la rimbrottò Saray.
"Io faccio frecce. Frecce, imbecille!" Precisò piccata Mbeyrika
"Non dire imbecille a mia sorella" le gridò Elghalia, col suo cucchiaio già carico, pronto a scattare come una catapulta.
Elghalia tesseva tappeti e quindi non aveva un gran mira, ma tutte nella tenda delle donne dovettero comunque schivare la poltiglia che avevano per cena, l'unica cosa che ormai cucinasse la zia Rabbuqa, avendo perso il suo terzultimo dente il mese passato, perché la sbobba tendeva a spandersi come fiato di drago.
"Merda nella barba di Gurion!" Strillò Yashet "Vedete perché voglio stare nella tenda degli uomini?! Siete un nido di vipere"
"Seh, te ci vuoi stare, ma sono altri i serpenti che ti motivano" la rimbeccò Atissah, la più anziana, con un sorriso storto per la cicatrice della brutta coltellata che si era presa nella guerra.
Tutte risero; era normale qualche buona zuffa in una tenda di donne Assid, ma non duravano mai.
"E va bene, se vogliamo tornare a mangiare come adulti sani, zia Rabbuqa deve avere una dentiera, perché lei non cucinerà due piatti diversi al giorno e voi non me la farete ammazzare..." Concesse Yashet.
"Poi dice a noi vipere, 'sta ofidiana..." ghignava Saray, che intanto tirava in faccia a Elghalia una pezza per pulire il disastro di zuppa.
"...solo non ho capito perché dovrei accompagnarla io, come se fosse solo mia zia, oh...mandiamoci un uomo, scusate!" Concluse la cantrice, tornando a cercare di riparare il liuto.
"Perché te sei nei registri"
"Seh, un uomo che fa una cosa bene..."
"Conosci gente"
"... e sai come farti fare gli sconti, schifosa" risposero le altre in un coro scomposto.
"Ecco lì, una bella botta di schifosa e subito mi viene voglia di compiacervi, oh!"
"Dai, così ti fai riparare il liuto, che vogliamo musica e te si vede che non ce la puoi fare, insomma, ci son manici che non rispondono nemmeno al tuo maat!"

Yashet sospirò lentamente e teatralmente.
Non le piaceva l'idea di tornare all'Oasi, ma le sue cugine avevano una carovana di buone ragioni ed erano giorni ormai che la opprimevano con gli stessi discorsi.
E poi c'era la cucina della zia Rabbuqa...se prima faceva schifo solo il sapore, ora anche la consistenza faceva venire voglia di andare a mangiare vomito di sciacallo.
Mentre pensava che dopo tutto... un paio di giorni... giusto per mettere i denti su un bel porco "alla Kodjo" con la crosta croccante...già Atissah stava sgomitando Mbeyrika, indicandole l'espressione sognante della cugina.

Sgattaiolò fuori dalla tenda di Kabdiel già pronta, senza svegliarlo; non aveva voglia di sgridarlo ancora perché si faceva sentimentale, difetto comune negli amanti troppo giovani. Prima del suo ritorno, se Akkron voleva, si sarebbe scordato di lei, sperava vivamente, anche se non pensava di stare via a lungo.
La zia era quasi pronta, era già a metà della lista delle lamentele del mattino, una specie di Faradh degli anziani, che menzionava i 4 Pilastri dell'età: schiena dura, ginocchia gonfie, vecchie ossa e cicatrici ancestrali.
Quando ebbe finito di lamentarsi, si fece aiutare a salire sul lama da due vittime scelte a caso, ma con prepotenza, tra i ragazzini che studiavano i loro preparativi dal fuoco principale della Harais, che scamparono ad un'ernia a testa solo perché la quasi totale inutilità della dentatura della zia Rabbuqa aveva invece sì una utilità, la stava facendo dimagrire.
Quindi, cercando di non ridere dei due poveri bambini, anche Yashet montò sul suo lama.
Poi le due donne dai capelli rossi, unico tratto comune, misero i loro lama a passo lento sulla pista invisibile che ti porta dove sei costretto ad andare.
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