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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By una.acies
#59934
Erano parecchi giorni ormai che Fehres, novello legionario si faceva vedere poco in città. Non avrebbe mai mancato di ottemperare ai propri doveri e sapeva di dover tenere costantemente fede al suo giuramento.
Lo ripeteva tra sé e sé ogni mattina, quando uscendo dalla porta di casa, annodava beve il marsupio per poi dirigersi alla fontana per lavare quella faccia che sapeva di latte e sonno.
C’erano tante cose belle tra quelle quattro mura: le aveva arredate in oro ed avorio spendendoci una fortuna. Aveva scelto ogni ornamento, come era solito fare, con la massima cura, la stessa che dedicava a lucidare e a tenere perfettamente in ordine il suo corredo da soldato, ma in fondo al cuore non vi si era legato. Forse perché la casa è dove si lascia a giacere il cuore, fintanto per disgrazia non si spezza, o molto più semplicemente perché, nonostante i suoi 18 anni appena compiuti, era solito farsi tante domande.
Quesiti sulla fede, sui valori, e su di ogni questione che per lui fosse cosa seria, e ne destinava il massimo tempo e riguardo.
Riempì una sacca di picconi e dopo aver rimpinzato di biada Gioacchino, il suo cavallo bianco, si diresse al galoppo verso la miniera del Monastero. Doveva spezzarsi la schiena e far sanguinare quelle mani curate se voleva il metallo per imparare ad essere un maestro della forgiatura.
Forse non aveva ancora abbastanza amici, o forse, non era ricco abbastanza.
By una.acies
#59954
Passavano le giornate in quei cunicoli scuri, illuminati soltanto da una piccola forgia dai contorni rotondi e consumati, e dalla lanterna di un minatore. Si chiedeva, il giovane Fehres, come facesse quel vecchio, a passare tutte le sue giornate attaccato a quelle braci ardenti, con lo scopo apparente di vendere agli altri, qualche piccone da roccia o al massimo qualche pinza da fabbro.
E faceva caldo lì dentro, e si sudava così tanto che sembrava impossibile che le fresche nevi della Baronia, che dall’altra parte del passo riposavano sulla montagna, non riuscissero a far filtrare un po’ di refrigerio. Aria umida e vestiti intrisi che si attaccavano alla pelle rendendo ancor più faticoso il lavoro: sciacquarsi e darsi una ripulita a volte non bastava, ci sarebbe stato da vergognarsi a girare tra la gente in quelle condizioni, non fosse per il fatto che si trattava di un lavoro umile, onesto e quindi comunque dignitoso.
Ma non era il solo a sembrare destinato per molto tempo a fare quella vita. Padre Rinaldo, chierico di Althea, fendeva la roccia canticchiando come fosse a cercare erbette, mentre Thradiel, grande cerimoniere della Fortezza di tanto in tanto si appoggiava sul piccone strimpellando un liuto che in quelle cavità sembrava un concerto grosso.
Ve ne erano poi altri tra questi: un certo Titus che diceva di essere figlio di padre Testenio, e Ryan il postulante, il più timido di tutti ma che gli piaceva di più, che sconsolato dava quattro colpi e correva a ritirarsi nella sua cella quasi fosse rapito da affari più urgenti.
Si chiederà chi legge, quale senso possa avere raccontare tutto ciò, ma era quello che Fehres vedeva tutti i giorni.
Cose piccole per i grandi ma che per lui, con il suo buontempo e la sua semplicità, sembravano essere enormi.
Il piccone scavava la roccia come il vomero, ben conosciuto dal giovane prete della Madre, preparava la traccia per fecondare la terra. E la strada di fronte a lui sembrava delinearsi sempre più chiara.
By una.acies
#59957
Aveva raccolto un modesto quantitativo di metallo comune è soltanto un po’ di minerale pregiato, ma quest’ultimo per adesso non gli importava. Di tanto in tanto andava al suo deposito e guardava quella piccola catasta ben ordinata, e lo faceva con grande soddisfazione. Se avesse scelto di vendere tutto a uno di quegli affaristi che di tanto in tanto facevano capolino all’interno della miniera, tra l’altro bene attenti a non sporcarsi gli stivali, sarebbe diventato milionario. Ma non era quello il suo scopo: caricava il lama con quanta materia prima potesse trasportare mentre con il resto ci zavorrava lo zainetto. Poi a passi faticosi, spesso lenti, andava verso la forgia. Il fabbro lo osservava e aveva sempre da criticare, nonostante i miglioramenti fossero evidenti e Fehres su di quei bastoni sacerdotali aveva pure imparato a mettere la firma. Gettati a terra li misurava meticolosamente con l’idea che un giorno sarebbero potuti essere utili a qualcuno. Poi scuoteva il capo e li fondeva sulla fiamma viva della fucina.
Giungevano in suo aiuto molto spesso due chierici di Althea. Uno di questi citato prima, era Padre Rinaldo de Metz, sacerdote di Althea, e l’altro, quello che forse considerava il più santo era Padre Anderton, un anziano dal mantello verde.
Fehres e quest’ultimo di erano incontrati quando il vecchio aveva iniziato a frequentare Amon dopo aver lasciato Sorella Derit, mentre si erano conosciuti molto più intimamente nella piccola casa di legno a Cheshire che l’anziano aveva preso in affitto. Interessante notare come le strade degli Dei siano infinite e spesso riescano a coinvolgere divinità una volta contrapposte. A quei tempi Anderton era ancora un sacerdote della dottrina degli Eterni e votato al Primo Nato, mentre Fehres nonostante avesse già imparato a destreggiarsi con spada e scudo, era appena un plebeus.
Anderton sapeva cucire e fare degli orli sul cuoio duro e di alta classe, lavoretti degni della sartoria Stansmore ad Hammerheim che tanto andava di moda anni fa. Fehres aveva bisogno di abiti.
Fehres era un devoto della Madre. Anderton si stava avvicinando alla Madre stessa anche se nel profondo già le apparteneva.
Fehres nel suo cuore era confuso e sembrava avesse voglia di parlare solo d’amore. Anderton invece aveva le ben idee chiare.
Fu un incontro di anime se così retoricamente si può descrivere e l’uno sentiva di poter dire tutto all’altro. Padre Anderton sarebbe stato il suo padre spirituale e il giovane Fehres, magrolino con i capelli biondi e che un padre non l’aveva più, avrebbe seguito, si sarebbe fidato e avrebbe amato quest’uomo con tutto se stesso.
By una.acies
#59982
Esausto in una parola. Tra il metallo che aveva raccolto e quello che aveva dovuto comprare, il giovane Fehres di tanto in tanto andava a prendere la propria cassetta di sicurezza e dopo aver visto il conto scendere di giorno in giorno, gli veniva da piangere. Allora si armava e cercava di farsi forza. “Oggi andrò a recuperare il danaro che mi serve in quella grotta”, e si convinceva entusiasta che avrebbe scassinato il baule giusto, quello della svolta. Ma forse non era quello il suo problema: tra un colpo e l’altro di martello iniziava a rendersi conto di quello che gli mancava e di cosa non gli bastasse più.
Aveva scacciato questi pensieri lontano dalla sua testa e infinte volte si era auto convinto che non fossero reali. Si ricordava le parole dette da un vecchio veterano, con il quale aveva scambiato due parole nella valle degli Orchi, al Riposo del Cacciatore. Questi gli diceva che le battaglie più ardue che avrebbe dovuto combattere, non erano campali, ma fatte di trame, scelte politiche, talvolta sotterfugi.
La sua naturale schiettezza gli impediva di mettere in atto simili manovre, ma iniziava a capire quello che vedeva, e i cambiamenti a quali stava assistendo erano per lui a dir poco inquietanti. I tempi del Console Egimond erano lontani così come sembravano lontani i suoi commilitoni: quelli che lo avevano addestrato ad essere un soldato, e quelli che avevano fatto la gavetta con lui. E approposito, dove erano finiti tutti?
Fosse stato autunno, almeno qualche foglia secca avrebbe danzato col vento sulla piazza d’arme di fronte al mastio, ma la primavera incombeva e salvo rari casi, in giro sembrava non esserci più nessuno.
Alla forgia il rumore del martello copriva il cinguettio degli uccelli ma non il turbine di pensieri e dubbi che gli rapivano la mente.
By una.acies
#60003
Per la Gloria di Althea
Era stato coinvolto con enorme piacere in un evento che sarebbe rimasto scritto negli annali di tutta Ardania. Si perde troppo in fretta la memoria di cose accadute, anche poco tempo prima, presi come siamo dalle questioni quotidiane.
A seguito della distruzione del piccolo tempio di Althea a Bosco Vecchio, con annessa uccisione di tutti i sacerdoti da parte dell’armata orchesca, era stata rinvenuta la testa della miracolosa effige della Dea Madre. Conservata presso la Cattedrale dei Giusti al Monastero, giaceva sotto la statua di Althea dai Cavalieri venerata assieme alle altre cinque divinità, appunto per “Giusti” comunemente conosciute.
Si erano svolte una serie di riunioni che avevano coinvolto davvero tutti, Loknar compresa, ed era stata definita la ricostruzione della statua stessa, questa volta presso Seiland. In lega d’adamantio e ossidiana, sarebbe stata forgiata da un famoso artista e scultore loknariano, tale Gullermo.
La tanto attesa serata arrivò prima del previsto e anche Fehres, su invito di Padre Anderton, aveva fatto la sua parte nelle preparazioni. Aveva fuso una lega perfetta, come concordato, probabilmente la migliore che avesse mai fatto. Non vi erano impurità e il metallo era pronto per essere plasmato dalle mani sapienti dell’ artigiano designato.
Il materiale era pronto per essere lavorato in una cassa di legno regale venne portata all’interno di una tenda color verde alle porte di Seiland, e li si trovò stranamente coinvolto con il suo martello da fabbro aiutando Gullermo e facendo quello una delle cose che sapeva fare meglio: forgiare. Il metallo fluttuava negli stampi fondendo la cera e l’immagine della Dea prendeva forma: non restava che trasportarla sul piedistallo, dove sarebbe rimasta a vegliare su viandanti e contadini del piccolo borgo agricolo. Vennero apposti dei tronchi per rotolarla delicatamente verso la destinazione finale, mentre delle assi avrebbero evitato il contatto della statua con il terreno. Si fecero forza e dopo le benedizioni di rito impartite dai sacerdoti presenti iniziò la parte più difficile. Uniti, come una forza sola la sollevarono, poi dopo averla adagiata con attenzione sulle assi iniziarono a spingerla. Era una forza bruta, una forza che si potrebbe definire “legionaria”, una forza fatta di fede ma anche di amore per la causa. Poi, una volta posizionata e fissata con dei rivetti al piedistallo, venne coperta con un telo in attesa dell’inaugurazione.
Non vi fu pace nonostante la fatica per Fehres quella notte, se non in cuor suo. Il dovere lo chiamava e con il tribuno militare e il legionario Gherard iniziò a pattugliare la zona.
Ma quel che accadde in seguito è un’altra storia.
By una.acies
#60111
Il lento scorrere delle giornate ad Amon sarebbe non sarebbe riuscito a sollecitare altro che pigrizia, non fosse per il fatto che Fehres era tutt’altro che indolente. La sua anima era attanagliata tra un fiume in piena e un enorme oceano, così grande e profondo che nemmeno tutte le lacrime di Awen sarebbero riuscite a colmarlo.
L’avventura di quella notte, poco prima di tornare nei suoi alloggi, aveva turbato quel cuore candido e sereno di chi se ne va a letto soddisfatto dopo una festa.
“Ostili”, così era solito chiamarli. Non se la sentiva di chiamarli “briganti” perché nel suo animo non vi era traccia di pregiudizio e più di qualche volta si era trovato a chiedersi cosa potesse portare un uomo o una donna a ribellarsi al sistema per costruire fortini di legno nel bosco e attaccare il sistema. Fehres era un eccellente spadaccino, uno dei migliori di cui potesse disporre l’Impero. Il suo fisico snello e veloce era stato temprato dal duro addestramento nella legione. Sapeva resistere ai colpi e al dolore ma ancor più ne sapeva dare quando si sentiva attaccato, che se non lo conoscessimo potremmo pensare che fosse solito farlo senza pietà. È così aveva fatto il suo dovere, ne aveva resi inoffensivi una decina e si era avviato al fiume per pulire la sua lama dal sangue e curarsi qualche ferita. Dopo aver ripulito tutto con meticolosa attenzione pensò che la notte, sebbene buia fosse tranquilla, accese un fuoco lungo la riva e dopo essersi spogliato si immerse nelle limpide acque. Fehres era molto pulito.
Disteso nell’acqua fresca, giocando a rincorrere i flutti immergendosi altro rumore non vi era che quel gorgoglìo che tanto lo faceva sentire sereno, quando ad un tratto scorse la sagoma di un uomo seduta vicino al fuoco. Aveva lasciato la spada proprio li a fianco, non gli sarebbero rimaste che le mani nude e il suo esile petto di giovane virgulto a proteggerlo da un colpo mortale. Pensò di essere stato uno sciocco ed ebbe paura. Quell’ombra non si muoveva mentre Fehres la guardava, poi ad un tratto si distese. Era il momento giusto. Uscì dall’acqua e accanto a quel fuoco vi era un uomo che dormiva. Un cappuccio gli copriva il capo e non c’era tempo di osservarlo o parlare. Cercando di fare meno rumore possibile prese in mano il cinturone e si allontanò di qualche passo pronto all’ingaggio. Estrasse la sua spada corta ma il rumore della lama tagliente che usciva dalla sua sede in cuoio fece destare il tale che dormiva pacifico scaldandosi alla fiamma. “Dichiarate subito il vostro nome, provenienza e motivo della visita nei territori di Amon” recitò Fehres con un tono marziale e autoritario. Si avvicinò tenendogli rivolta la punta della spada, e dato che il tale non rispondeva gli abbassò il cappuccio, scoprendone il viso. Si trattava di un giovane di pochissimi anni più grande di lui. La sua pelle era bianchissima e le sue gote coperte di piccole lentiggini. Gli occhi verdi e i capelli rossi, ricci e portati corti. Il tale gli sorrise esibendo un sorriso sereno e bianchissimo, e in pochi istanti Ferhes sentì di non essere in pericolo. Ripose l’arma e ripeté la sua domanda, ma quel giovane uomo non parlava.
Ora per comprendere bene quello che il nostro legionario provava in quei frangenti, dobbiamo premettere che in realtà, sebbene fosse un soldato e sebbene fosse abituato a lanciarsi senza paura caricando demoni e creature enormemente forti, non sapeva nulla della vita.
Si rivestì di fronte a quell’anonimo straniero senza nemmeno mettersi in guardia e violando ogni regola del protocollo militare che conosceva praticamente a memoria, poi si sedette di fianco a lui. Rimaneva in silenzio osservandone la perfezione dei lineamenti mentre un’emozione che non aveva mai provato prima lo attanagliava con un nodo alla gola. Aveva già sentito parlare di questo qualche tempo prima, da un vecchio legionario un pomeriggio alle terme di Amon, e gli sembrava di comprendere che si trattasse di questo. “Posso toccarti il viso?” L’altro giovane lo guardò e dopo avergli sorriso annui appena. Fehres sfilò i suoi guanti in adamantio, e con le nocche della mano destra gli sfiorò appena la guancia. Il giovane si distese guardandolo e Fehres capì che non doveva più dire o chiedere nulla perché non avrebbe ricevuto risposte, non quella notte almeno. Poi gettò della legna sul fuoco per alimentarlo, si slacciò il suo pesante mantello cremisi e si distese usandolo per coprire entrambi.
Si addormentò quasi subito. All’alba il fuoco era spento ormai da un pezzo e la fresca umidità del mattino pensò a destarlo. Era solo, e si chiese se mai l’avrebbe rivisto. Uno strano languore lo pervadeva mentre attraversava il bosco per rientrare in città. Ma di quanto accaduto quella notte non avrebbe fatto rapporto.
By una.acies
#60259
Aveva scelto una casa un po’ più piccola di quanto gli spettava. Preferiva essere a due passi dal Mastio e dal cuore della città. Non che fosse una casa proprio piccola, e come già raccontato in precedenza, c’era tutto quello che serviva. Ultimamente, pioggia o sole, passava le giornate sul grande terrazzo, e mentre la torre nord del Mastio ombreggiava, batteva con il suo martello e forgiava senza sosta.
I colpi del martello coprivano con il loro fragore ogni rumore circostante, e quelli che passavano vedendolo dal terrazzo gli rivolgevano un saluto. Ma in quei giorni ad Amon sembravano andare tutti di gran fretta.
Chi lo incontrava in piazza, durante i pochi momenti di svago che ormai si concedeva, credeva fosse contento. Era forse il suo atteggiamento sempre a modo, o il suo sorriso gentile. O magari perché chi ha passato una certa età, trova difficile immaginare che si possa essere giovani e belli, ma infelici nel contempo.
E Fehres dopo quell’incontro in riva al fiume, si sentiva un rottame.
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