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Qui i giocatori di The Miracle lasciano imprese, poesie, narrare eventi e grandi avventure avvenute e in svolgimento su Ardania. Linguaggio strettamente ruolistico.

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By Puniz
#48401
C'è chi dice che i sogni siano frammenti di altri mondi che, a volte timidamente, a volte burrascosamente, si affacciano quando le nostre menti si riposano dalle fatiche del mondo reale.

Era ormai diverso tempo che quel frammento di mondo era diventato parte della vita di Inverno.
Una tempesta, del legno morto, un grande telo ed un segreto che non voleva più essere tale, un segreto che copriva il dolore di una ferita ormai rimarginata, ma mai totalmente guarita.
Un sogno troppo ricorrente e troppo strano, per essere un frutto dell'inventiva del ramingo.
Dopo un passato di "fanatismo", la sua vita era stata consacrata al dio della pietà. Ad accollarsi le sofferenze altrui. A cercar di proteggere la vita in ogni sua forma.
Senza l'uso di armi, se non per legittima difesa. Senza l'uso della violenza.
Non aveva mai chiesto niente al suo dio, non aveva mai voluto nemmeno niente. Voleva solo vivere la sua vita appieno, come ogni Ramjalar giura di fare quando indossa il manto, servendo umilmente il suo patrono.
Ma il disegno divino, spesso non coincide con la volontà di chi ogni giorno respira l'aria portata ai suoi polmoni dai capricci dei quattro venti.
Per giorni si nutrì avidamente di libri, cercando un'interpretazione a tutto ciò che stava accadendo, cercando di collegare luoghi ed eventi a ciò che stava sognando, di dare una spiegazione al tutto.
Proprio mentre stava sfogliando l'ennesimo libro, Rubina e Cenere entrarono in magazzino.
Fu quella sera che Inverno raccontò ai prahla ciò che stava succedendo.
La sua distrazione, sebbene tale parola non descriva appieno ciò che le movenze e i toni di Inverno trasmettevano chiaramente a chi gli stava intorno, era palpabile.
Ma nonostante tutto, riuscì a spiegare loro per filo e per segno ciò che aveva scoperto e ciò che ancora lo tormentava.
Uno dei dettagli che palesò, fu anche quello strano bisogno di recarsi nel nuovo mondo; sebbene ormai fossero passati diversi anni dalla sua scoperta da parte dei djaredin, lui continuava spesso a chiamarlo così.
La scelta dei tre fu quella di esplorare il luogo che tutti collegarono alla prima parte del sogno, ovvero la valle dei tempestari.
Inverno salì su Scyla, la sua fedele cavalcatura, un esemplare decisamente robusto di Naggaronte spinato, allevato ed allenato da lui personalmente.
Fra i due si era creata un'ottima intesa, erano compagni di viaggio inseparabili, sempre pronti a proteggersi a vicenda, sebbene a volte la brama di carne del naggaronte li cacciasse in situazioni pericolose.
Rubina e Cenere lo seguirono salendo sulle loro cavalcature ed imbracciando chi l'arco chi un polveroso tomo pieno di formule arcane e di difficile comprensione a chiunque non sapesse padroneggiare l'arte del flux.
I due, sebbene forse cercassero di nasconderlo, ogni tanto davano l'impressione di essere preoccupati, o per la situazione, o per lo stato in cui Inverno si trovava.
Spuntarono nella savana, Inverno essendo quello più protetto, sia dalla cotta di maglia in adamantio forgiata dalle sue sapienti mani, sia dall'emissario divino, fu il primo ad arrivare.
Fu assalito da diverse creature ostili, che con l'aiuto dei suoi prahla vennero neutralizzate. Un po' agitati dalla calda accoglienza, cercarono di uscire da quella pericolosa pianura, galoppando il più velocemente possibile.
Quando la pianura iniziò a scomparire e rigogliosi nonché possenti alberi e arbusti li accolsero, si fecero strada fra Idre dall'alito di fuoco, trogloditi in grado di scagliare possenti rocce, ettin le cui teste a volte litigavano fra loro ed altre aberrazioni che sicuramente non avevano a cuore la ricerca dei tre sventurati raminghi, bensì di soddisfare le loro esigenze.
Costeggiarono la montagna, fino ad arrivare al sentiero che, protetto da maestosi e letali fulmini, portava alla valle dove vivevano le creature chiamate "tempestari".
Decisero, vista la difficoltà del viaggio, di fermarsi a prendere fiato e pianificare la prossima mossa.
Guardando i fulmini bombardare incessantemente il terreno, Inverno iniziò ad accusare un formicolio alla base della nuca. Da li a pochi minuti, ci fu come un mancamento temporale.
Un attimo prima era appoggiato alla roccia della montagna, l'attimo dopo si trovò sempre appoggiato alla roccia, ma diversi metri più a nord.
Gli sguardi preoccupati ed increduli dei suoi due compagni di viaggio lo attraversavano; indagatori lo guardavano, come aspettandosi qualcosa.
Inverno di suo riprese il discorso che aveva interrotto prima del mancamento, ma subito i due lo fermarono e gli raccontarono ciò che era successo.
A detta dei due, un poco convinto inverno, ascoltò le parole che i prahla erano riusciti a far loro.
Gli dissero anche che iniziò a parlare in rima, come fosse una piccola profezia.
Nella foga del momento, Cenere e Rubina non riuscirono a memorizzare tutto, ma quella sera prima di addormentarsi, le parole infine tornarono in mente anche ad Inverno.

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"Devi scoprir ciò che ti è stato celato. Il dolore evitato.
Scappa dalla roccia, dove vive la tempesta malvagia. Corri a perdifiato!.
Fronteggia il bagnato, finché del legno morto avrai incontrato.
Nel velo celato, un ricordo del fato."


Tornando invece a pochi minuti dopo lo strano comportamento di Inverno, i tre decisero dopo un po' di riflessione, di interpretare le parole relative alla fuga come un allontanamento dalla valle, proseguendo il sentiero nel ventaglio di direzioni che esso avrebbe permesso ad una persona che stesse scappando da quella valle.
La strada fu ardua, i boschi che attraversarono ricchi di fitti rami, resero molto arduo affrontare i trogloditi, gli ettin e le idre che si opposero alla loro esplorazione.
Arrivarono infine a "fronteggiare il bagnato", ovvero di fronte a loro la strada era bloccata da un grosso corso d'acqua.
I tre fecero diverse supposizioni, tra le quali quella di guadare il fiume ed andare verso la valle della morte, ma preferirono, forse perché ormai l'ora era tarda e quel viaggio sarebbe stato troppo impegnativo, esplorare una direzione a scelta; sud o nord del luogo in cui si trovavano in quel momento.
Alla fine decisero di proseguire a nord, perché il bosco in quella direzione andava a diradarsi.
Dopo un po', i tre arrivarono ad una grossa palizzata.
La palizzata, infestata da diverse creature ostili, proteggeva una tenda abbandonata da svariato tempo. Dopo aver liberato la zona, i tre legarono le cavalcature ai pali della palizzata e decisero di entrare nella tenda.
Diverse furono le domande che si posero. Perché, se quella era la giusta destinazione, erano arrivati ad una tenda vuota? Ma da li a poco, Cenere trovò un maleodorante involto di stracci, che conteneva una altrettanto poco allettante pergamena.
La pergamena era avvinta in un sigillo logorato dal passare del tempo, ma che ancora sigillava la missiva. Il simbolo era quello del Grigio, un tomo vecchio e consumato.
Decisero che era Inverno quello che avrebbe dovuto leggerla. E così fu.
Lo sgomento si dipinse immediatamente sul volto del ramingo, in quanto la missiva era intestata a lui, al vecchio lui, il nome che aveva abbandonato quando intraprese la via.
Leggere la missiva non fu né facile, né piacevole. Era una missiva dei suoi genitori; genitori che lui aveva dato per morti durante un invasione di non morti che avvenne molti anni orsono.
Ciò che lesse lo lacerò dentro. Un dolore evitato. Per anni.
Qualcuno o qualcosa, aveva deciso che era giunto il tempo per lui di dipanare il velo dell'ignoranza, che lo avvolgeva in una calda coperta di pietà.
Era giunto il tempo di conoscere e soffrire. Ma di essere consapevole.
Di uscire dal buio della pietosa ignoranza ed abbracciare la conoscenza di quello che era accaduto.
La cosa era ironica in fondo. Il Grigio, le divinazioni. I sogni. La sconfitta dell'ignoranza a seguito dell'acquisizione della conoscenza.
Nella missiva si era parlato di un amnesia subita dai genitori, guarita lentamente da un sacerdote del Grigio al quale era stata affidata la missiva.
E la data risaliva a molti anni indietro nel tempo. Chissà, forse anche lui aveva subito lo stesso destino ed era stato vittima di una parziale amnesia?
Forse i sogni rappresentavano la sua memoria che stava provando a riemergere e respirare nuovamente, dopo un immersione nel mare dell'oblio? Ma come poteva sapere di queste cose? No, no.
Nella sua vita, i sogni erano sempre stati parte del suo collegamento al divino.
L'unica cosa della quale era certo, è che era stufo di accollarsi tutto questo dolore.
Prese il simbolo sacro che pendeva al suo collo, si fece prestare una pala e lo seppellì.
Lì seppellì più di dieci anni della sua vita. Lì seppellì tutto ciò che era stato. Non avrebbe più chiesto l'intervento del suo patrono.

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Non gli aveva mai chiesto niente, per se. Solo per gli altri. E questa era stata la sua ricompensa.
Una menzogna. Una menzogna, ripiena di pietà, per non farlo soffrire. Una mancata rivelazione per mostrare pietà.
Una pietà che ora aveva lo stesso rinculo di un colpo di cannone, sfondando il petto della sua fede e lacerando gli organi della sua anima.
Una sola cosa in quei momenti lo stava spingendo ad andare avanti. Capire il perché. Conoscere le risposte.
E anche un certo debito da ripagare verso il Grigio, in fondo da quel che diceva la missiva, era stato un suo emissario a prendersi cura dei suoi genitori.
Non era certo di trovarlo in vita, visto il ritrovamento della missiva e degli anni passati, ma sapeva che la sua ricerca di risposte doveva partire proprio da qualcosa a lui collegato.
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