Le tre principali stirpi elfiche esprimono ciascuna un aspetto peculiare dell’elficità. I Quenya incarnano la grazia, la sapienza e la potenza sovrannaturale degli Eldar; i Teleri esprimono la curiosità, l’adattabilità e il legame profondo con il mare. I Sindar, invece, rappresentano il rapporto antico, viscerale e armonico con la foresta e le sue creature.

Il Sindar è l’elfo delle fronde e del sottobosco. Nella sua immagine ideale, si muove con agilità tra gli alberi, silenzioso e invisibile, spesso armato di arco, in totale sintonia con l’ambiente naturale. Appartiene a una stirpe antica che ha scelto di preservare una simbiosi autentica con la foresta, mantenendo una cultura viva ma integrata profondamente nel ritmo e nel respiro del mondo naturale.

Chi desidera interpretare un elfo che, pur padroneggiando l’arte della spada, della magia, del canto o della preghiera, dedica gran parte della propria esistenza all’amore per la foresta, troverà nel Sindar la scelta più coerente.

Va chiarito che il Sindar non è un elfo “selvaggio” nel senso in cui talvolta vengono percepiti certi membri di tribù umane. Nonostante viva immerso nella natura, ha conservato nei millenni una complessa cultura, tramandata sia per iscritto sia oralmente. Il Sindar ha saputo unire la profonda conoscenza elfica al genuino rapporto con il mondo naturale, dando vita a una forma di civiltà che è al tempo stesso antica e pienamente armonica con la terra che abita.

Storia

La ricerca sulla storia antica dei Sindar si rivela fin da subito un’impresa ardua. Molti documenti e testimonianze sono andati perduti, soprattutto a causa delle devastazioni dei Falò senza Luce, che segnarono profondamente questa stirpe elfica. I pochi testi sopravvissuti, custoditi nella biblioteca di Tiond, sono preziosi ma frammentari: si trovano antichi libri rilegati in metalli pregiati, pergamene consunte chiuse da cordicelle, e perfino tavole di legno collegate da anelli in mythrill. Tuttavia, le fonti scritte sono limitate, e quelle anteriori ai Falò quasi inesistenti.

Nonostante ciò, esiste un’altra via per accedere alla memoria dei Sindar: il canto. Questa stirpe ha saputo preservare parte del proprio sapere attraverso le lunghe e poetiche ballate tramandate oralmente dai cantastorie silvani. Questi canti custodiscono eventi del passato, leggende e conoscenze che non compaiono più nei testi scritti. È proprio grazie a queste melodie che si possono ricostruire, almeno in parte, le radici più antiche dei Sindar.

Una delle fonti più evocative è una ballata in lingua sindarin, che racconta l’alba del mondo elfico:

Sovrani e possenti volavan i draghi
Era il tempo in cui non v’erano maghi
Il tempo in cui gli elfi eran giovani,
E l’uso di spada e di scudo eran vani,
Le foreste erano immense e possenti.
E limpide e luminose le acque correnti,
I sussurri delle fronde eran parole chiare
Portatrici di notizie un dì belle, un dì amare,
Le creature silvane parlavano ai figli di Beltaine
Ai tempi in cui non ancora v’erano ferro né fucine.
Un giorno la Dea dei Misteri, una sfera donò
E la Magia come una marea, gli elfi inondò
Cominciò l’era dei Poteri e degli Spiriti Arcani
E nacquero così i reami dei Tempi Lontani.

Questa testimonianza, seppur poetica, rappresenta uno dei rarissimi riferimenti ai tempi anteriori ai Falò. Si parla di un’epoca primordiale, in cui gli elfi vivevano in armonia con una natura vastissima e incontaminata, guidati dagli spiriti e immersi in una realtà priva di guerra, ferro e fucine.

Dai frammenti raccolti, emerge che in origine le tre grandi casate elfiche — Quenya, Sindar e Teleri — vivevano in relativa vicinanza, pur mantenendo le proprie identità. I Sindar si distinguevano già allora per un legame con la natura più profondo rispetto alle altre stirpi.

La società dei Sindar era suddivisa in Rim Faerin, le “schiere di spiriti”. Ogni elfo, attraverso addestramento, meditazione e profonda sintonia con la natura, poteva armonizzarsi con un particolare “aspetto” del mondo naturale — una creatura, un elemento, una forza — tanto da entrare in comunione con esso. Questo legame portava non solo a una comunicazione con l’aspetto scelto, ma anche a una trasformazione interiore: l’elfo ne assumeva tratti caratteriali, visione del mondo, inclinazioni. Si diceva dunque che seguisse lo “Spirito” di quella entità.

A capo di questi ordini vi erano i Faerin Dhaer, gli “spiriti maggiori”: elfi di straordinaria sintonia con la natura, dotati di grande potere interiore, che guidavano gli Erthaid Faerin, gli “ordini di spiriti”. Questi ordini si formavano in base alla comunione con lo stesso aspetto naturale, e ne scaturiva un profondo senso di unione e coesione interna. Col tempo, alcuni ordini divennero più numerosi e influenti, fino a guidare l’intera casata dei Sindar.

Le testimonianze indicano l’esistenza di quattro grandi ordini nel periodo finale di questa organizzazione:

  • Gli Spiriti della Quercia: erano i più numerosi e influenti. Riflessivi, saldi e devoti, questi elfi si armonizzavano con i grandi alberi di quercia e si distinguevano per la loro saggezza. Erano profondamente legati ai Valar e contavano tra le loro fila potenti guerrieri e sacerdoti votati alla protezione della foresta e della stirpe Sindar.
  • Gli Spiriti del Ciliegio: incarnavano la bellezza, l’arte e l’armonia. Creativi ed esteti, erano artigiani, musicisti e cantori, capaci di creare opere magnifiche in perfetta sintonia con il mondo naturale. Condividevano un legame particolare con i ciliegi, simbolo di grazia ed effimera fioritura.
  • Gli Spiriti della Farfalla: liberi, curiosi e sfuggenti, questi elfi erano viaggiatori ed esploratori. Custodi delle frontiere più remote delle terre elfiche, svolgevano anche il ruolo di ambasciatori presso altri popoli. Avevano una comunione profonda con farfalle e insetti simili, e si distingueva per la leggerezza dello spirito e la vivacità dell’animo.
  • Gli Spiriti del Drago: rarissimi e leggendari, rappresentavano l’ordine più potente e temuto. Solo le anime più forti e sagge potevano sopravvivere al cammino dello Spirito del Drago. Chi vi riusciva acquisiva un’autorità immensa, tale che anche gli altri ordini tacevano in loro presenza. La loro comunione con i draghi — creature antiche e temute — li poneva tra le figure più influenti non solo tra i Sindar, ma tra tutti gli elfi.

Esistevano numerose altre “schiere di spiriti” nella tradizione sindarica, anche se molte di esse erano meno influenti o numericamente ridotte rispetto a quelle principali. Tra queste, vengono menzionate la Via dell’Aquila e la Via del Granito, a testimonianza della varietà di legami spirituali che caratterizzavano la società dei Sindar.

Col passare del tempo, si racconta che un elfo silvano potesse armonizzarsi con il proprio Spirito a tal punto da manifestare mutamenti esteriori. Questi cambiamenti, pur lievi, erano evidenti: gli “spiriti” di Quercia, ad esempio, avevano occhi che mutavano come le foglie nel corso delle stagioni, assumendo toni grigi o bianchi in inverno; quelli del Ciliegio mostravano iridi di un delicato rosa primaverile. I seguaci dello Spirito della Farfalla erano invece noti per l’estrema varietà cromatica, con occhi cangianti e iridescenti. Infine, gli appartenenti alla Via del Drago avevano pupille che richiamavano i colori delle antiche creature con cui si armonizzavano.

Anche l’architettura dei Sindar, nella loro epoca arcaica, era intimamente connessa alla natura. A differenza dei Quenya e dei Drow, che usavano magie complesse per modellare gli elementi in forme nuove, i Sindar sembrano aver seguito un principio differente: non imponevano trasformazioni, ma chiedevano alla natura di rimodellarsi. Gli alberi si piegavano così spontaneamente, formando arcate verdi simili a cattedrali viventi; la roccia si sollevava dalla terra per ergersi in colonne maestose; persino il terreno si plasmava dolcemente per accogliere le loro dimore e i loro sentieri.

Vi sono ricordi di immense vetrate colorate, incastonate tra i rami degli alberi per trasformare semplici radure in saloni splendenti. Quando il sole filtrava attraverso questi vetri, riflettendosi sui corpi degli elfi in mille sfumature, si dice che molti tra loro si commuovessero fino alle lacrime, colpiti dalla bellezza effimera e sacra di quei momenti.

Oggi, nel tentativo di narrare queste memorie, ciò che colpisce maggiormente è la consapevolezza di quanto sia stato perduto durante i Falò senza Luce. Di una civiltà millenaria, raffinata e in profondo dialogo con il mondo naturale, non restano che frammenti sparsi: testi ormai rari e incompleti, e canzoni antiche che, pur custodendo barlumi di quel sapere, non riescono a colmarne il vuoto.

Il “Lungo Regno” di Arabella

Tra i Sindar, il nome di Bereth Arabella – la Regina Arabella – è ancora oggi pronunciato con amore e devozione. Per comprendere appieno la portata della sua figura, è necessario considerare il periodo di devastazione che seguì la fine dell’epoca nota come quella dei Falò senza Luce.

Durante quel tempo oscuro, i Decadenti erano numerosi e influenti tra i Sindar. Molti di loro, per nulla disposti a vedere svanire il proprio potere, ricorsero a incantesimi di distruzione di terrificante potenza. Tra questi, il più terribile fu quello delle cosiddette nuvole di fuoco: un incantesimo latente che si attivò in modo improvviso proprio quando si pensava che il peggio fosse ormai alle spalle.

Su tutto il Doriath si addensarono allora nubi violacee, e presto cominciarono a cadere dal cielo gocce di fuoco, incendiarie e mortali. L’intera foresta rischiò di trasformarsi in un rogo immenso, poiché l’incendio, nato a occidente, si stava propagando verso est con rapidità devastante. L’intento dei Decadenti apparve chiaro: cancellare ciò che rimaneva della civiltà elfica, eliminando anche gli ultimi centri sopravvissuti del Doriath.

Fu soltanto grazie a un’ultima, disperata preghiera rivolta al dio Earlann che il disastro fu scongiurato. Un gruppo dei più potenti sacerdoti del dio, riunitosi in una radura, si sacrificò unendosi in un’unica entità spirituale. Il loro spirito si trasformò in una bianca e pura nube che salì in cielo, dissolvendo le nubi di fuoco e portando con sé una pioggia purificatrice. Questa pioggia spense ogni incendio, salvando la porzione orientale della foresta. In ricordo di quell’evento, quel bosco venne in seguito chiamato Foresta di Earlann, e fu lì che, molto tempo dopo, venne fondata la nuova Tiond.

Terminata questa tragedia, e in seguito alla separazione dai Quenya, ebbe inizio per i Sindar il periodo noto come “della Ristrutturazione”. Fu in quel contesto che emerse la figura di Arabella. Le sue origini sono avvolte nel mito: si narra, in una versione poetica, che la dea Beltaine, vedendo i suoi figli elfi afflitti e smarriti, si commosse al punto da far cadere una pioggia benedetta, portatrice di saggezza e longevità per i tre sovrani elfi destinati a guidare la rinascita. Una di questi fu, appunto, Arabella.

Altri racconti più audaci la vogliono figlia di una divinità – Earlann per alcuni, Morrigan per altri – e di un mortale, ma si tratta di voci non confermate.

Quel che è certo è che Arabella fu eletta regina degli elfi silvani poco dopo la dipartita dei Drow e dei Quenya, e che il suo regno durò oltre il doppio della vita media elfica. Solo in tempi recenti si è spenta.

All’inizio del suo regno, Arabella si adoperò per ristabilire l’armonia fra i Sindar, e tra questi e la foresta del Doriath. I Falò senza Luce non avevano solo distrutto insediamenti, conoscenze e culture: avevano quasi completamente spezzato il legame profondo che univa i Sindar alla natura. Gli incantesimi oscuri dei Decadenti avevano avvelenato l’ambiente: gli animali divennero aggressivi, gli arbusti bloccavano ogni sentiero con spine e rovi, e i fiumi si gonfiavano, trascinando chi li attraversava verso una morte rapida e fangosa.

In risposta a questo squilibrio, Arabella intraprese un lungo pellegrinaggio solitario nella foresta, parlando con piante e creature, tentando di ristabilire la fiducia perduta tra gli elfi e la natura. Visse per decenni come un’eremita, in simbiosi con il Doriath, e solo dopo oltre un secolo la foresta accettò la sua presenza e si placò. Per questo, Arabella è ricordata anche con il titolo sindarico di laBereth i Nuir, la Regina dei Boschi.

Detentrice di conoscenze ancestrali risalenti a prima dei Falò, Arabella le mise a disposizione del suo popolo, guidandolo fuori dallo stato di selvatichezza in cui stava sprofondando. Insegnò nuovamente l’arte del costruire – non più le maestose cattedrali silvane di un tempo, ma abitazioni armoniose tra i rami – e recuperò le tecniche dell’antica arte della guerra, necessarie a difendersi dalle mostruosità ancora annidate nelle ombre.

Riscoprì e tramandò le arti, l’artigianato e i saperi perduti, ma soprattutto riportò i Sindar a un rapporto vitale con la foresta. Sebbene non si fosse più in presenza della perfetta fusione spirituale dei tempi antichi, venne ristabilita una simbiosi sincera e profonda, che a tratti, secondo la tradizione, arrivava ancora a sfiorare l’armonia mistica perduta. Per molti elfi silvani, quell’antico legame con la natura non si è mai davvero spezzato.

Lo spostamento di Tiond

In seguito alla breve reggenza di Agar En’Nimbreth, figlio di Arabella, e del giovane Haran Jerzat, si verificò un evento drammatico che segnò la fine della prima Tiond. Le antiche querce della città avvizzirono, corrotte dal passaggio degli invasori e dal sangue versato durante i conflitti. Le abitazioni decaddero, i telain crollarono, e Tiond fu infine reclamata dalla vegetazione selvaggia e dall’oblio.

A sopravvivere furono solo tre Sindar appartenenti all’epoca degli Herain, i sovrani di un tempo. Questi ultimi elfi del tempo antico presero parte all’esodo dalla foresta meridionale del Doriath, seguendo l’ultimo degli Herain, il quale intraprese un pellegrinaggio alla ricerca di risposte e del cammino degli avi. Il viaggio lo consumò, e quando la sua morte divenne certa, i tre anziani decisero di agire.

Radunati i superstiti, guidarono il popolo verso le foreste occidentali del Doriath, là dove le acque, mosse dal volere di Earlann, scorrono secondo un ritmo sacro. In quel luogo rigoglioso, germogliarono i semi delle antiche querce e si intrecciarono nuovamente i telain tra i rami, dando vita alla nuova Tiond.

Il fiume che accolse la rinascita del popolo fu chiamato Salkien Duin, ovvero Fiume Danzante, in onore della sua natura generosa e vitale. Fu in quel luogo che i tre Sindar sopravvissuti, testimoni delle epoche passate, assunsero il ruolo di guide spirituali e civiche della città rifondata, erigendo la nuova Tiond sulle fondamenta della memoria e della tradizione.

Lo spostamento da est verso ovest, dalle terre tra Ondolinde e Rotiniel fino al Sacro Bosco di Earlann, coincise con il ritrovamento del Drago di Smeraldo, una reliquia mistica di recente creazione. Questo artefatto sacro divenne presto parte integrante del destino della nuova Tiond, legandosi profondamente all’identità del popolo Sindar rifiorito.

Aspetto fisico

I Sindar presentano caratteristiche distintive che li differenziano con chiarezza sia dai Quenya sia dai Teleri, rendendoli riconoscibili anche a osservatori privi di particolare esperienza.

In genere, i Sindar risultano più bassi rispetto agli altri elfi. La loro corporatura è snella, ma dotata di una muscolatura ben definita, che consente loro movimenti rapidi e agili. Questa conformazione fisica ha alimentato la credenza, diffusa in molte tradizioni, che gli Dei li abbiano plasmati con tale statura e agilità proprio per favorire la loro dimestichezza tra gli alberi. Osservare un Sindar muoversi con disinvoltura da un ramo all’altro contribuisce a rafforzare tale impressione.

La carnagione tende a essere leggermente olivastra, in netto contrasto con la pelle chiara e luminosa dei Quenya. Gli occhi sono per lo più marroni o neri, sebbene talvolta si possano riscontrare rari casi di iridi verde smeraldo. I capelli sono prevalentemente di tonalità castano chiaro.

Il termine "Sindar" significa "grigi" nella lingua quenya, appellativo che deriva non tanto dal colore della pelle quanto da quello degli abiti tradizionali: toni di grigio e di verde sono infatti tipici del loro vestiario. Questi colori, uniti ai tratti fisici propri della stirpe, facilitano la mimetizzazione dei Sindar sia nel sottobosco che tra le fronde, rendendoli particolarmente adatti alla vita nella foresta.

Lingua Sindarin

Il Sindarin, noto anche come “lingua degli Elfi Grigi”, è strettamente imparentato con il Quenya, pur presentando differenze strutturali fondamentali. Mentre il Quenya ha conservato molte delle complesse strutture grammaticali dell’Antico Elfico, il Sindarin si è evoluto privilegiando l’armonia fonica e una grammatica più snella, mantenendo soprattutto caratteristiche sonore dell’idioma originario.

Una delle peculiarità linguistiche del Sindarin consiste nella sua capacità di mutare le parole in base al contesto fonetico. Tali mutamenti, noti come variazioni consonantiche o mutazioni, rendono la lingua particolarmente scorrevole e musicale, ma anche difficile da apprendere per chi non la parla come lingua madre.

Rispetto al Quenya di Ondolinde, il Telerin — il dialetto parlato dagli Elfi del Mare — ha subito un’evoluzione più rapida e ha assorbito numerosi termini sindarin, perdendone tuttavia spesso la musicalità.

Una delle caratteristiche più distintive del Sindarin è l’ampiezza del suo lessico legato alla natura. Molti suoni e fenomeni propri dell’ambiente silvano — come forme specifiche dei rami, colori delle foglie, odori del sottobosco o movimenti delle nuvole — hanno nomi precisi in Sindarin, spesso privi di equivalenti nelle altre lingue elfiche.

Per un elfo non Sindar — ad esempio un Quenya — imparare questa lingua richiede un impegno considerevole. Anche superato l’ostacolo iniziale delle mutazioni fonetiche, permane la difficoltà nell’apprendere l’enorme patrimonio lessicale legato alla natura. Solo pochi individui non appartenenti al popolo Sindar riescono, dopo anni di studio, a padroneggiare tale vocabolario e ad utilizzarlo correttamente.

Breve frasario Sindarin

(Nota: l’uso in gioco di queste parole è incoraggiato, ma si consiglia di limitarsi ai termini elencati. L’impiego di altri vocaboli potrebbe compromettere la comprensione tra i personaggi.)

Singolare/Plurale=significato.

  • Aaye= Salve     o anche   Mae Govannen= ben incontrato     Namaàrie = saluto di congedo
  • Diola lle= grazie     Lle creoso= prego
  • Edhel/Edhil= elfo/elfi  (Galedhel/Galedhil= elfi della Luce,quenya  Aearedhel/ Aearedhil = elfi marini, teleri)
  • Edhel Mhithren/ Edhil Mhithrin = Elfo grigio/ Elfi grigi = (sindar/sindarin è parola quenya ma ormai si è diffusa anche tra gli elfi silvani stessi)
  • Tawarwaith = elfi silvani (Tawar il singolare)
  • Peredhel/Peredhil = mezz’elfo/elfi
  • Adan/Edain = umano/umani
  • Balan/Belain =  dio/dei (a volte tuttavia si usa anche il quenya Vala/Valar)
  • Haran/Herain =  re/ i re
  • Bereth/Berith = regina/regine (ultimamente si usa spesso il titolo introdotto da bereth Kiya dei Galanceleb: Lass Galen=Foglia Verde,o l’arcaico Lasse Calen)
  • Doriath = “terra inghirlandata(dal mare)”, terra degli elfi (ormai si usa poco la versione originale “Hildoriath”)
  • Maer Fara = Buona caccia!
  • Maer du = buona serata   Maer kaima= buon riposo
  • Gondolin (pietre cantanti),i Silala (la Splendente)= Ondolinde
  • I Calen (la Verde)= Tiond  (nato dalla storipiatura dell’antico “Tindu”= Crepuscolo Stellato)
  • ‘Earost (fortezza del Mare) o Nimphel (Perla)= Rotiniel
  • Ay/nay= sì/no
  • Tòr/ Tòronin= “fratello/i”, usato per chiunque appartenga alla collettività elfica. Tra di loro i Sindar invece usano il prefisso “gwa”, per indicare una maggiore vicinanza: gwador/gwedeir è quindi usato solo tra i silvani o con elfi che si sentono particolarmente vicini.
  • Sèler/ Sèlerin= “sorella/e” usato per chiunque appartenga alla collettività elfica. Tra di loro i Sindar invece usano il prefisso “gwa”, per indicare una maggiore vicinanza: gwathel/gwethil è quindi usato solo tra i silvani o con elfe che sentono particolarmente vicine.

Etica

Il rapporto con la natura

Il legame che un elfo sindar intrattiene con la natura può essere descritto come viscerale e istintivo. Da uno sguardo esterno, tale connessione appare quasi simbiotica, al punto che sembrerebbe la natura a esercitare una forte influenza sull’individuo. Tuttavia, secondo la prospettiva sindarin, non è la natura a modificare chi la abita, bensì sono le altre genti ad essersi allontanate dal suo equilibrio. I Sindar non si considerano dominatori o interpreti della natura, ma una delle sue espressioni, al pari del lupo che ulula nella notte, dell’aquila che plana nei cieli o del pino che resiste sulle alture.

La foresta rappresenta per loro un esempio di armonia perfetta, un equilibrio che non deve essere modificato ma seguito e rispettato. La vita stessa è interpretata come un ciclo naturale in cui ogni elemento — dalla caccia alla raccolta, dalla pioggia al sole — ha un posto e una funzione precisa. La caccia, in particolare, assume un valore sacro e simbolico, specialmente in relazione al culto di Suldanas: l’atto venatorio è vissuto come una manifestazione dell’ordine naturale, in cui l’elfo assume il ruolo del predatore, non per dominio, ma per appartenenza al ciclo della vita.

Anche la raccolta di risorse è regolata da una logica di equilibrio. Non si prende mai più di quanto la foresta possa offrire. Se si coltiva, lo si fa in modo sostenibile, ruotando i campi per permettere alla terra di rigenerarsi. Di ogni preda si tende a utilizzare ogni parte, riducendo al minimo gli sprechi. Questa attenzione deriva da una profonda sensibilità, spesso emotiva e istintiva, che richiede disciplina e consapevolezza per non sfociare in irrazionalità. Proprio per questo, i Sindar aspirano alla pace e all’equilibrio, come strumenti per incanalare e armonizzare le proprie percezioni.

La natura non è solo modello di vita, ma anche fonte d’ispirazione: l’abbigliamento richiama i colori e le forme del sottobosco, l’architettura segue l’andamento naturale degli alberi, evitando di forzare l’ambiente. Pensiero e comportamento traggono insegnamento da ciò che li circonda. Come affermano spesso gli elfi grigi:
“Lo spirito di un sindar è possente come il tronco di una quercia, rapido ad agire come la lince, ma dolce come la lupa coi piccoli, se necessario.”

Il decadentismo

Il crollo della civiltà elfica, un tempo la più grande di Ardania, è attribuito all’azione corrosiva del pensiero decadentista. Sebbene i decadenti non siano riusciti ad annientare del tutto la cultura elfica, il loro operato ha comunque ridotto le conoscenze elfiche a un livello paragonabile a quello delle altre genti del continente.

La differenza di prospettiva tra i popoli elfi si rivela in modo evidente nel giudizio su questo periodo. I Quenya condannano apertamente il decadentismo, definendolo una sciagura, un tradimento della loro essenza e cultura. I Sindar, invece, tendono ad assumere una posizione più sfumata. Sebbene non approvino la distruzione cieca e totale operata dai Thaltrim, non ritengono del tutto errate le premesse del loro pensiero. Secondo i Sindar, gli elfi avrebbero dovuto ritirarsi dal mondo, nascondersi, abbandonare le conoscenze più pericolose e custodire la propria essenza senza imporsi agli altri.

In quest’ottica, il problema del decadentismo non risiedeva nell’idea del ritiro in sé, ma nel modo violento e distruttivo con cui fu perseguita. Il "decadentismo giusto", secondo i Sindar, avrebbe dovuto consistere in un ritorno alla natura, in un isolamento protettivo, in una rinuncia consapevole al progresso sfrenato. Questo pensiero ha lasciato una profonda impronta nella cultura sindarin attuale, rafforzando la loro tendenza alla chiusura e alla preservazione.

Tiond stessa può essere vista come espressione di questa visione: una città nascosta, in armonia con la foresta, distante dalla magnificenza e dall’imperialismo quenya. In un famoso episodio, durante una discussione tra Sindar e Quenya sul futuro della collettività elfica, l’allora giovane Arabella pronunciò parole rimaste celebri:

“Ma toronin Galedhil, che senso ha costruire massicce città di pietra, deviare i fiumi con dighe, modificare la realtà con le mani e la magia se poi un giorno la Foresta si riprenderà tutto nel suo abbraccio d’edere e muschio?”

La collettività elfica

La concezione di collettività propria dei Sindar riflette la loro natura semplice e istintiva. In un contesto dove le convenzioni cittadine e le leggi codificate appaiono artificiali, il popolo sindarin preferisce affidarsi a precetti morali intuitivi piuttosto che a norme scritte. A Tiond è comune udire il detto:
“Un buon sindar da solo capisce, ciò che un degli edain con 10 leggi imbastisce.”

Più che un corpus di leggi, si tramandano massime orali come “onora gli antichi e rispetta i pari” o “tratta le creature della foresta ricordando che hanno un’anima”. Questo approccio non implica una mancanza di senso civico, ma al contrario, denota una profonda consapevolezza collettiva che non necessita di imposizioni esterne. L’unità elfica, pur priva delle codificazioni elaborate dai Quenya, è sentita con forza dai Sindar, i quali si riconoscono come parte essenziale di un’unica stirpe.

Pur mantenendo una certa distanza culturale dai Quenya e dai Teleri, i Sindar non negano l’importanza del legame che unisce tutti i figli di Beltaine. La collettività elfica, per loro, è un fatto naturale e necessario, come il vincolo tra gli alberi di una stessa foresta: ogni albero ha la sua forma e il suo spazio, ma insieme compongono l’intero bosco.

Spiritualità

La religiosità dei Sindar si distingue per la sua intensità e originalità interpretativa. Sebbene tutti gli elfi nutrano profonda devozione verso gli Dei, gli elfi silvani esprimono tale fede attraverso modalità particolarmente intime e legate alla natura. La loro spiritualità è vissuta come parte integrante del quotidiano, tanto da manifestarsi spontaneamente in ogni gesto compiuto nella foresta.

Benché esistano templi consacrati, i Sindar prediligono celebrare riti e preghiere all’aperto, immersi nell’ombra degli alberi o sotto il cielo stellato. Questo legame diretto con l’ambiente naturale riflette la loro concezione del divino come presenza pervasiva e viva, riscontrabile in ogni elemento della foresta.

Una peculiarità della religiosità sindar è la rappresentazione degli Dei sotto forma animale. Ogni divinità principale viene associata a una creatura: Suldanas è simboleggiato dall’aquila, Beltaine dal cigno, Earlann dal delfino e Morrigan dal puma. Queste forme non sono considerate semplici metafore, ma incarnazioni spirituali attraverso le quali si manifesta l’essenza divina. È consuetudine tra i Sindar rivolgersi alle divinità utilizzando l’appellativo "Sacro/a" seguito dal nome dell’animale, come "Sacro Delfino" per Earlann. Tale uso può risultare estraniante per altri elfi, specialmente quelli non legati alla tradizione silvana, e portare a incomprensioni anche in contesti rituali.

La visione spirituale sindar si fonda inoltre su una concezione animista del mondo naturale. Ogni elemento della foresta, dalle creature più umili agli alberi più vetusti, è ritenuto dotato di spirito. Secondo la tradizione, fu Beltaine a donare vita agli alberi e Suldanas a popolare la foresta con gli animali, conferendo così a entrambi uno spirito intrinseco. Il diritto di porre fine alla vita di una creatura, vegetale o animale, non è mai considerato un atto arbitrario: viene accettato solo come parte di un ciclo naturale inevitabile, simile al modo in cui una volpe caccia la lepre. Questa concezione spiega il profondo rispetto che i Sindar nutrono verso la foresta e i suoi equilibri, e come la loro spiritualità sia inscindibile dalla vita selvaggia.

Il Culto di Suldanas

All’interno del pantheon elfico, Suldanas occupa un ruolo di assoluto rilievo per i Sindar, i quali lo venerano come divinità patrona e protettrice. Egli è percepito come il Padre della Foresta, figura severa e vigile, parte della Divina Coppia insieme a Beltaine, la Grande Madre. Mentre quest’ultima rappresenta l’aspetto generativo e amorevole del mondo naturale, Suldanas ne incarna la forza, l’ordine e la ciclicità.

La scelta dei Sindar di attribuire a Suldanas la centralità del culto, pur riconoscendo l’importanza creatrice di Beltaine, si radica in un principio di presenza quotidiana: se Beltaine presiede ai momenti della nascita, della fioritura e della fertilità, Suldanas è percepito come l’essenza costante e regolatrice della vita silvana. La sua volontà si manifesta nel ritmo della caccia, nella forza degli alberi, nel perpetuo inseguirsi di predatori e prede. Per questo motivo, è a lui che gli elfi silvani si rivolgono nelle azioni che scandiscono la loro esistenza.

La caccia, in particolare, è considerata atto sacro e rappresentazione vivente della comunione tra l’elfo e la foresta. Quando un Sindar imbraccia l’arco e si muove silenzioso tra le fronde, diventa strumento del Dio Padre, partecipe del suo disegno e del ciclo naturale. Prima di scoccare la freccia, molti elfi recitano la “preghiera della caccia”, una formula arcaica con la quale si chiede il permesso di separare lo spirito dal corpo della creatura designata, e di essere guidati con mano giusta e rispettosa.

Una delle più solenni espressioni del culto è la Fara Aer, o Caccia Sacra. In questa cerimonia collettiva, i Sindar, vestiti con abiti propiziatori e guidati dai sacerdoti di Suldanas, partecipano alla caccia di un animale selezionato. Raggiunta la preda, essa non viene immediatamente uccisa: gli elfi la circondano e iniziano un rituale in cui imitano lupi, ringhiando, invocando lo spirito del Dio e danzando intorno alla creatura. Solo quando il sacerdote giudica che Suldanas abbia accolto l’invocazione, la preda viene abbattuta. Il suo sangue viene usato per segnare simbolicamente le labbra dei partecipanti, e le sue carni sono impiegate in un banchetto condiviso da tutta la comunità.

Il sangue, nel culto di Suldanas, ha una funzione rituale ricorrente. Esso non è associato alla violenza in senso profano, ma alla realtà ineluttabile del ciclo vitale. I sacerdoti del Dio Arcere ne fanno uso frequente, talvolta incidendosi durante le cerimonie, oppure versandolo dalle prede della caccia sacra. Si tratta di un’offerta e di un riconoscimento della forza vitale che permea ogni creatura.

Un altro rituale significativo è il Rito del Fuoco. Il fuoco, pur essendo elemento distruttore, è considerato simbolo di rinnovamento. I Sindar assistono talvolta a incendi naturali controllati, durante i quali pregano e ringraziano Suldanas per la sua potenza rigeneratrice. In alcune occasioni, il rito si concentra su un singolo albero malato, che viene bruciato cerimonialmente tra canti e danze, in un gesto di restituzione dell’anima dell’albero al dio. Questo atto, apparentemente contraddittorio, viene compiuto con reverenza e in armonia con la visione ciclica della vita.

Infine, il culto di Suldanas comprende una cerimonia estremamente solenne e rara, nota come Rito dell’Ultima Caccia e del Giudizio Finale, riservata agli elfi prossimi alla morte. La prima parte del rito, l’Ultima Caccia, prevede che l’elfo, accompagnato da un sacerdote e da pochi compagni scelti, partecipi a una caccia simbolica. Dopo aver ferito l’animale designato, l’elfo beve il suo sangue, chiedendo allo spirito della creatura di accompagnarlo oltre la vita, al cospetto di Suldanas e della Divina Coppia.

La seconda parte, il Giudizio Finale, consiste in un ultimo atto di vendetta giusta, compiuto dall’elfo da solo contro un bersaglio ritenuto degno: un eretico, un drow o un mostro specifico. Se l’elfo sopravvive e ritorna, riceve la benedizione finale del sacerdote; in caso contrario, si ritiene che il Dio in persona abbia vegliato sulla sua partenza. Durante questo rito, i partecipanti indossano vesti nere con tocchi di rosso: si tratta della manifestazione rituale più vicina a una cerimonia funebre nella tradizione sindar.

Beltaine per i Sindar

Per i Sindar, Beltaine rappresenta la metà amorevole della Divina Coppia, la Madre della Foresta e Dea della Vita. Seconda solo a Suldanas nella gerarchia cultuale, Beltaine è venerata con profonda devozione, quale fonte di fertilità, rinascita e armonia. La primavera è considerata la sua stagione sacra, momento in cui la sua potenza generatrice si manifesta con maggiore intensità e in cui il culto a lei rivolto raggiunge l’apice della solennità.

Alla nascita di un elfo sindar, è consuetudine che un membro del clero di Beltaine assista la madre durante il parto. Nei giorni immediatamente successivi, viene officiata la Cerimonia della Comunione con la Foresta. Durante il rituale, il neonato viene adagiato sul suolo nudo, a simboleggiare il suo legame con la terra, principio vitale della Dea. Contestualmente, viene piantato un seme, selezionato attraverso arcani metodi divinatori praticati in radure sacre dai sacerdoti e dalle sacerdotesse della Grande Madre. L’albero che ne nascerà è destinato a crescere insieme all’elfo e si ritiene che il suo spirito si leghi profondamente a quello dell’individuo.

La morte dell’albero legato a un Sindar è considerata un presagio funesto. In tali casi, si celebra un nuovo rito di purificazione: l’elfo adulto si stende nudo sul terreno, viene piantato un nuovo seme, e si invoca la benedizione di Beltaine affinché rimuova la sventura e ripristini l’armonia spirituale. Il tipo di albero scelto è ritenuto indicativo del carattere del nascituro, secondo interpretazioni tramandate oralmente. Tra i più comuni:

  • Pino – Simbolo di serenità e resilienza; l’elfo sarà incline all’allegria anche in tempi duri, ma potrà apparire superficiale.
  • Quercia – Indica forza e saggezza; l’elfo sarà saldo nei principi, ma a volte rigido o testardo.
  • Salice piangente – Riflette una natura sensibile e ricettiva; incline alla malinconia.
  • Pioppo – Simbolo di coraggio e accettazione della morte; l’elfo sarà audace, ma talvolta impulsivo.
  • Edera – Segno di determinazione e tenacia; potrebbe indicare una tendenza alla dipendenza affettiva.
  • Noce – Indica apertura mentale e spirito errante; può però suggerire indecisione o mancanza di tempismo.

Esistono molte altre corrispondenze, ciascuna legata agli alberi e alle piante della foresta, interpretate secondo la tradizione esoterica del clero.

Una delle festività principali dedicate alla Dea è la Cerimonia della Vita, celebrata il quindicesimo giorno del mese di Solfeggiante. Istituita dalla Bereth Arabella, particolarmente devota alla Grande Madre, la ricorrenza unisce celebrazioni pubbliche e rituali religiosi. Tra le manifestazioni profane si annoverano gare atletiche, duelli simbolici e prove di abilità con l’arco.

Parallelamente, si svolge il rito mistico della Cerimonia della Vita, durante il quale i sacerdoti e le sacerdotesse di Beltaine si raccolgono in cerchio insieme a chi desidera partecipare, dando inizio a un rituale visionario. Attraverso l’assunzione di specifici funghi sacri e l’inalazione di incensi preparati secondo antiche formule, i partecipanti cadono in uno stato di Vigile Trance, durante il quale ricevono visioni e messaggi attribuiti direttamente alla Dea. Tali rivelazioni possono riguardare eventi passati, presenti o futuri, sempre legati alla foresta o agli elfi. È noto che le sacerdotesse riescano, in genere, a interpretare queste visioni con maggiore chiarezza rispetto ai sacerdoti. La stessa Arabella è ricordata per aver avuto, in tali occasioni, visioni profetiche che stupirono anche i saggi più anziani.

Sebbene la Cerimonia della Vita sia la più aperta e partecipata, esistono riti molto più riservati, praticati solo dal clero nei luoghi più remoti della foresta. Durante questi riti segreti, si ritiene che i sacerdoti comunichino con gli spiriti degli antichi Sindar – e in casi eccezionali, con quelli che vengono identificati come “Spiriti Maggiori”, appartenenti a una stirpe primordiale, antecedente ai cosiddetti Falò senza Luce. Queste cerimonie sono rare, complesse e affrontate con la massima cautela, poiché si tratta di contatti con anime che avevano già fatto ritorno al Tulip, il grembo della Dea.

In alcune di queste occasioni, vengono accesi i Sacri Fuochi della Rinascita, fiamme di colore verdognolo che ardono senza bruciare il legno nel modo consueto. Tali fuochi vengono poi consegnati al clero di Suldanas, affinché vengano impiegati nei loro riti legati al fuoco (si veda: Suldanas per i Sindar).

Infine, circolano voci persistenti secondo cui il clero di Beltaine, grazie a queste comunicazioni con antichi spiriti, avrebbe trascritto segreti sufficienti per un giorno rifondare gli antichi Ordini degli Spiriti, ordini religiosi o mistici ormai perduti. Il clero, tuttavia, ha sempre smentito ufficialmente tali affermazioni.

Nel contesto della religiosità sindar, una figura centrale e di estrema sacralità è il cosiddetto Drago di Smeraldo. È fondamentale distinguere tra la creatura leggendaria e la statua commemorativa che la rappresenta.

Origini del Drago di Smeraldo

Secondo la tradizione più diffusa tra i Sindar, il Drago di Smeraldo fu creato da Suldanas, che lo generò dal proprio sangue con l'intento di proteggere gli elfi. A questa creatura vennero conferiti attributi straordinari da altri Belain: Earlann gli infuse la saggezza, Morrigan gli donò poteri magici, e Beltaine l'immortalità, con la condizione che gli elfi ne mantenessero viva la memoria e la venerazione.

In risposta alle suppliche degli elfi durante una guerra contro i ghauna (orchi), Suldanas inviò per la prima volta il Drago di Smeraldo in loro aiuto. L'intervento della creatura condusse alla vittoria elfica, evento che segnò profondamente la coscienza religiosa dei Sindar.

Un’altra versione, di origine hammerheimita, attribuisce la creazione del Drago a Earlann, che lo avrebbe posto a protezione del Tulip e a capo delle mitiche Armate Bianche, schiere celesti al servizio dei Valar. Questa seconda interpretazione è tuttavia considerata meno attendibile da vari studiosi, e la sua accettazione è limitata.

Le Scaglie del Drago e la Cerimonia del Drago di Smeraldo

Dopo la battaglia contro i ghauna, alcune scaglie del Drago furono rinvenute sul campo: gemme verdi dalla consistenza simile a smeraldi, riflettenti la luce con splendore cangiante. Con il tempo, queste scaglie vennero raccolte e incorporate nella statua del Drago di Smeraldo situata a Tiond.

Le scaglie sono oggi protagoniste della Cerimonia del Drago di Smeraldo, durante la quale vengono sollevate al cielo dai sacerdoti di Suldanas. I riflessi generati diffondono una calda luce verde che avvolge tutti gli elfi presenti, momento culminante del rito in cui il Primo Sacerdote impartisce una benedizione augurale per un anno di protezione e serenità.

La cerimonia include una tradizione: se la comunità elfica è impegnata in un conflitto, si osservano almeno tre giorni di tregua e ringraziamento. I Sindar sono i più devoti officianti di tale rito, che spesso si svolge in forma comunitaria con la partecipazione congiunta dei cleri elfi di diverse città. In queste occasioni, Tiond apre eccezionalmente l’accesso anche agli elfi non sanguepuro per tre giorni, rendendo l’evento un momento di unione dell’intera collettività elfica.

La Statua Reliquia

La statua del Drago di Smeraldo a Tiond è considerata una reliquia sacra, recuperata durante lo spostamento dell'intera città nel bosco di Earlann. Sebbene la statua non sia rimasta in possesso dei Sindar per molti secoli, essa suscita una profonda devozione nella popolazione.

Si tramanda che tale statua sia in grado di evocare la creatura reale del Drago di Smeraldo, evento possibile solo da parte di pochissimi individui. Nei racconti tramandati, il Drago è descritto come dotato di una conoscenza straordinaria della magia, capace di manipolare potenti forme dell’Arte e di comandare i portali, oltre a possedere una forza fisica imponente.

Credenze e Culto

Tutti i Sindar riconoscono il Drago di Smeraldo come protettore del Tulip e credono che visiti Ardania almeno una volta ogni cento anni, anche se talvolta in forma invisibile. Alcuni lo considerano un semidio subordinato ai Belain, e si tramanda l'esistenza di riti segreti celebrati in suo onore da parte di certi seguaci particolarmente devoti. Secondo voci diffuse già da novecento anni, ci sarebbero individui pronti a costruirgli un tempio e a fondare un ordine sacerdotale dedicato, ma al momento ciò rimane nel regno della diceria.

Il Culto degli Altri Belain

Sebbene la figura del Drago di Smeraldo rivesta un ruolo centrale, i Sindar mantengono una devozione articolata anche verso gli altri Belain, coerente con la loro visione spirituale e la stretta connessione con la natura.

Earlann

Earlann, figlio di Beltaine, è venerato in particolare come Dio delle Acque. I laghi, i ruscelli e la pioggia sono ritenuti sacri, manifestazioni della sua influenza benevola. La pioggia, in particolare, è considerata la più rilevante manifestazione della potenza del Sempre Saggio, risvegliando la vita nella foresta.

La saggezza di Earlann è simboleggiata nella tranquillità delle acque ferme e nel placido fluire dei ruscelli, ai quali i Sindar si ispirano. Le sue cerimonie vengono svolte nei pressi dei corsi d’acqua o durante gli acquazzoni, celebrandolo come Mantenitore della Vita.

Morrigan

Morrigan è onorata come Dea della Magia e del Mistero, associata al silenzio che accompagna la caccia, alla penombra del sottobosco e ai sussurri delle fronde. La magia viene vista come una manifestazione vivente, un potente spirito generato dalla Dea stessa.

I sacerdoti di Morrigan celebrano riti notturni sotto le stelle, legati alle fasi lunari, ringraziandola per i doni dell’illusione e della magia silenziosa. Un aspetto accentuato nel culto sindarico è quello di “Cacciatrice di Eretici”: esistono cacciatori devoti che esprimono la loro fede attraverso la persecuzione di culti corrotti e sacrileghi.

Il Tulip e il Culto Arboreo

Il Tulip di Ondolinde è oggetto di grande rispetto anche tra i Sindar, sebbene con una concezione distinta da quella dei Quenya. Per questi ultimi è unico e sacro, con uno spirito proprio. I Sindar, invece, considerano molti alberi sacri, ciascuno dotato di un proprio spirito, e percepiscono l’intero bosco di Earlann come luogo animato e degno di venerazione.

In questa visione, il Tulip è ritenuto più sacro degli altri alberi, in virtù della sua connessione con il “Tulip vero”, ma non viene considerato come l’unico albero sacro esistente.

Società

La società dei Sindar si distingue per un’evoluzione dinamica che ha progressivamente abbandonato l’antica struttura rigida imposta dagli Imperialisti in epoche passate. Pur adattandosi e mutando nel tempo, mantiene elementi di continuità che costituiscono il fondamento dell’identità silvana. Un proverbio comune a Tiond afferma: “La casa dei Sindar cambia come le stagioni, ma con o senza foglie l’albero è sempre albero”, espressione che ben sintetizza la resilienza e la coerenza culturale del popolo sindar.

Struttura sociale

La gerarchia è ancora presente e rispettata, ma l’accesso a posizioni di rilievo si basa sui meriti individuali. La vita di un sindar inizia in modo gioioso e immerso nell’armonia della foresta; non appena pronto, il giovane viene indirizzato verso lo studio delle radure, secondo il tradizionale percorso educativo elfico. Tuttavia, nei Sindar l’enfasi è fortemente posta sulla natura e sulla sopravvivenza. Già nella prima radura, i giovani devono apprendere i nomi di piante e animali, comprenderne i cicli vitali, saper sopravvivere con quanto offre la foresta e muoversi senza perdersi.

Funzioni e ruoli

La maturità coincide con l’integrazione armoniosa nella comunità e nell’ordine naturale. Ogni membro della società assume un ruolo specifico, che sia artigiano, guerriero, cantore o altro, contribuendo all’equilibrio complessivo del popolo. La funzione individuale non è solo sociale, ma anche spirituale, intrecciandosi profondamente con la vita naturale e il culto religioso.

Vita comunitaria e ritualità

Le attività collettive hanno un ruolo fondamentale nella coesione della comunità. Tra queste, la caccia è centrale: sia nelle sue forme sacre che profane, costituisce un’occasione di socializzazione e di rafforzamento dei legami. A tali eventi fanno spesso seguito banchetti animati da canti epici che celebrano le gesta degli antenati.

Un’altra pratica distintiva è la contemplazione, che consiste nel vagare tra gli alberi ammirando insieme le meraviglie della foresta, condividendo l’osservazione di dettagli nuovi, come la nascita di un germoglio o la costruzione di un nido. Sebbene altri elfi, in particolare i Teleri, trovino questa pratica noiosa, per i Sindar essa rappresenta un motivo d’orgoglio e un’importante forma di connessione reciproca e con la natura.

Druig en Naur – I Lupi di Fuoco

Figura quasi mitica nella storia dei Sindar, i Druig en Naur (letteralmente “Lupi di Fuoco”) erano devoti servitori del Balan Suldanas, Dio Arcere e Spirito della Foresta. Conosciuti anche semplicemente come in druig (“i Lupi”), erano divisi in tre sottogruppi con funzioni distinte:

  • Artigli del Lupo: guerrieri devoti a Suldanas;
  • Zanne del Lupo: custodi e gestori delle risorse della foresta;
  • Occhi del Lupo (Hen en Draug): sacerdoti, giudici e amministratori spirituali tra gli elfi silvani.

Gli Hen en Draug godevano di altissimo prestigio, considerati alla pari di importanti ordini religiosi elfi come l’Ordine delle Madri e la Delegazione del Buon Risveglio a Ondolinde, o le Onde d’Oro di Rotiniel. Essi rappresentavano una vera e propria casta sacerdotale d’élite, e dal loro ordine veniva scelto il Primo Lupo (Draug Erui, quenya Minya Narmo), guida dell’intero clero di Suldanas nel Doriath.

Pur essendo in prevalenza composto da Sindar, l’ordine dei Lupi di Fuoco accoglieva membri da tutti i popoli elfici del Doriath, segno del suo ruolo sovranazionale all’interno del culto. Verso la fine del regno della bereth Arabella, i Druig en Naur scomparvero misteriosamente, dando origine a molte leggende. Secondo alcune fonti, il loro ritorno sarebbe imminente, con l’intento di ricondurre la società sindar e l’intera cultura elfica al volere del Balan Suldanas.

Arte e Artigianato

Gli Edhil Mhithrin (Elfi Grigi) sono noti per la loro raffinata maestria artigiana, affinata da secoli di vita in simbiosi con la foresta. Tra le loro abilità spicca l’eccellenza nella lavorazione del legno, frutto di una tradizione millenaria legata al rispetto e alla comprensione della natura. Contrariamente ad alcune credenze diffuse tra gli umani, i Sindar non si astengono dall’abbattere alberi: lo fanno, ma con grande riguardo. La scelta dell’albero da utilizzare segue criteri precisi, come l’interferenza con la crescita di altri esemplari, e l’abbattimento è preceduto da un silenzioso atto di rispetto rivolto a Beltaine e allo spirito dell’albero.

Le creazioni lignee dei Sindar spaziano da strumenti e utensili quotidiani a opere artistiche complesse, spesso ornate con motivi naturalistici e iscrizioni in sindarin. I loro archi, in particolare, sono rinomati tanto per l’efficacia quanto per la bellezza. Nonostante il loro talento, gli elfi grigi dedicano meno tempo alla produzione artigianale rispetto ai Quenya o ai Teleri, poiché vedono nella natura una bellezza già completa. Tuttavia, le necessità pratiche spesso li conducono a realizzare oggetti tanto funzionali quanto esteticamente pregevoli.

Un’arte antica ancora praticata è la lavorazione delle pelli, impiegate sia per la produzione di armature sia per oggetti ornamentali e d’uso quotidiano. Tali manufatti sono molto apprezzati anche al di fuori delle foreste sindar, in luoghi come Ondolinde e Rotiniel.

La conoscenza delle erbe è un altro aspetto distintivo della cultura sindar. Considerate doni di Beltaine, molte piante possiedono significati mistici e rituali: i Capelli di Fata sono impiegati per favorire la meditazione profonda, l’Erba Mistica trova uso nei rituali della Dea della Magia, mentre il Fiore degli Immortali è associato alla benedizione sovrana. Gli erboristi sindar operano dunque anche come custodi di un sapere sacro, legato tanto alla guarigione quanto alla spiritualità.

In ambito animale, i Sindar eccellono nell’addestramento e nella cura delle bestie. La loro empatia naturale permette una comunicazione intuitiva con gli animali, visibile anche nella pratica di cavalcare a pelo. Questa confidenza si riflette anche nella vita quotidiana e nella simbologia culturale del popolo.

La cucina sindar si distingue per semplicità e raffinatezza, arricchita dall’uso di rare erbe e spezie locali. Gli ingredienti principali sono carne selvatica, frutti di bosco e radici, spesso combinati in piatti agrodolci. Le pietanze vengono servite su piatti di legno, vetro o intrecci d’edera secca. Tra le specialità figurano piatti come il pettirosso con salsa di more, radici di mandragola con latte e miele, e fragole di bosco con violette e fagioli.

Il consumo di alcolici tra i Sindar è moderato, ma non assente. Sono celebri per il loro sidro e per il Faer en Eryn (“Spirito del Bosco”), un liquore dolce e potente ottenuto da more, mirtilli, ribes e spezie segrete. Tra le bevande analcoliche spicca il Mìdh en Aur (“Rugiada del Mattino”), a base di acqua di sorgente, succo d’uva e sciroppo di sambuco.

Gli abiti dei Tawarwaith (“Elfi Silvani”) sono pratici, aderenti e pensati per favorire la mimetizzazione tra gli alberi. I colori predominanti sono verde e marrone, e sia uomini che donne tendono a portare i capelli sciolti. Le acconciature elaborate sono rare. Per esigenze di praticità, gli elfi silvani possono vestire con semplicità estrema, fino a risultare assai poco coperti, anche secondo gli standard elfi. I celebri “abiti grigi” da cui deriva il nome della stirpe sono spesso realizzati con tessuti dalle leggere proprietà mimetiche, capaci di confondersi con le ombre del sottobosco.

Musica Sindar

La tradizione musicale dei Sindar è profonda e peculiare. Il genere più antico è la Lind e Hul, la “Melodia del Vento”, caratterizzata da una fusione armonica con i suoni della foresta. Strumenti come flauti, arpe e tamburi accompagnano voci che narrano poemi e leggende, in concerti che possono durare un’intera giornata. La musica segue il ritmo del vento tra le fronde, rendendo ogni esecuzione unica e irripetibile. Tali esibizioni si svolgono esclusivamente all’aperto, in sintonia con l’ambiente.

Un secondo genere, più recente e popolare tra i giovani Sindar, è la Lind edh-Ross, la “Melodia della Pioggia”. Nata da un incontro tra la musica sindarin e le sonorità della Perla (Rotiniel), essa riproduce il ritmo della pioggia sulle foglie attraverso tamburelli e flauti veloci. Questa musica, meno solenne e più vivace, viene spesso suonata durante le feste ed è apprezzata anche al di fuori della cultura sindar.

Rapporto con gli altri popoli

I Sindar si distinguono per una notevole riservatezza nel manifestare opinioni riguardo alle altre stirpi di Ardania. Persino tra loro stessi, i giudizi espliciti sono rari: la moderazione è infatti una delle loro qualità più riconoscibili, tanto che è difficile sorprenderli in atteggiamenti eccessivi, come ubriachezza o sproloqui. Tuttavia, osservazioni raccolte nel tempo permettono di delineare alcune tendenze nel loro modo di percepire le diverse genti.

Quenya

Esiste una vicinanza riconosciuta tra Sindar e Quenya, ma essa non implica un’approvazione totale. I Sindar rispettano la capacità dei Quenya di costruire grandi città e di conservare le tradizioni elfiche. Tuttavia, si ritiene che essi non abbiano appreso a sufficienza dalla storia, in particolare riguardo alla caducità delle opere mortali. Secondo la visione sindar, solo la Natura è eterna e degna di vera devozione.

Le opere architettoniche quenya, sebbene considerate splendide, vengono talvolta giudicate fredde e sterili, in contrasto con la bellezza intrinseca dei boschi, delle acque e dei cieli. I Quenya, quindi, godono del rispetto per il loro impegno nella preservazione dell’"elficità", ma sono criticati per la distanza che li separa dal mondo naturale. Nonostante ciò, i rapporti tra le due stirpi sono generalmente positivi, e l’amicizia tra esse è frequente.

Teleri

I Teleri sono considerati i membri più eccentrici e “scapestrati” della collettività elfica. Essi appaiono ai Sindar come una stirpe che ha ereditato un rapporto attenuato con la Natura dai Quenya, senza però mostrare lo stesso zelo nella custodia delle tradizioni. I loro modi spesso suscitano disapprovazione.

Tuttavia, i Sindar riconoscono nel profondo amore dei Teleri per il mare un sentimento affine al proprio legame con la foresta. Questo sentimento viscerale è considerato una prova della loro appartenenza, seppur atipica, alla collettività elfica e al suo rapporto con la Natura.

Peredhil

I mezz’elfi (Peredhil) sono generalmente visti con una certa distanza. Il loro sangue umano è considerato un fattore di indebolimento e di allontanamento dalla collettività elfica. Raramente un Peredhel viene considerato pari a un Edhel, sebbene tra i Sindar ciò sia più possibile che presso i Quenya.

Quando il retaggio elfico si manifesta non solo nel fisico, ma soprattutto nell’atteggiamento verso la Natura, i Belain e la collettività elfica, è possibile che un Peredhel venga accolto non solo come amico (mellon), ma addirittura come membro effettivo della collettività stessa.

Edain

Gli umani (Edain) sono percepiti come una stirpe distante e, sotto molti aspetti, “ingiusta”. La loro breve esistenza è vista come una causa di impulsività e scarsa saggezza, ma ciò che più colpisce i Sindar è la loro apparente mancanza di connessione con la Natura.

Secondo la visione sindar, ogni stirpe elfica ha un legame con un elemento naturale: i Tawarwaith con la foresta, i Quenya con i monti, i Teleri con il mare. Gli Edain, invece, appaiono privi di tale radicamento. Pur non essendo considerati intrinsecamente pericolosi, sono visti come potenzialmente dannosi, e difficilmente viene loro accordata fiducia. Quando questa fiducia viene conquistata, tuttavia, è profonda e duratura: coloro che riescono in ciò sono chiamati mellyn en edhil, “amici degli elfi”.

Naugrim

I nani (Naugrim) suscitano nei Sindar sentimenti contrastanti. Vi è compassione per il passato e per le guerre che li hanno coinvolti, ma non vi è accoglienza calorosa. I Naugrim sono visti come rancorosi e lontani dalla visione sindar della vita.

Rappresentano, per i Sindar, l’opposto dell’armonia naturale: esseri che scavano le viscere della terra per estrarne metalli e forgiare armi nelle loro fornaci sotterranee. Di conseguenza, vengono generalmente evitati e trattati con freddezza.

Leggende

Nelle notti calme, sotto la protezione delle fronde sacre della foresta di Earlann, i Sindar si raccolgono spesso intorno ai fuochi per condividere racconti e memorie del passato. Queste narrazioni, tramandate oralmente di generazione in generazione, spaziano da favole ricche di elementi fantastici a storie che, pur permeate dal mito, contengono dettagli di sorprendente coerenza con eventi reali o testimonianze oculari. Di seguito vengono riportate alcune delle leggende più diffuse tra gli edhil mhithrin.

I Faerin in Ithryn – Gli Spiriti dei Maghi

Secondo una delle credenze più radicate, quando un elfo dotato di poteri magici muore, il suo spirito può scegliere di non attraversare il Tulip, ma di rimanere nella foresta per vegliare sui propri cari. Tali spiriti si manifesterebbero sotto forma di sfere luminose fluttuanti nell’aria, capaci di lanciare incantesimi e, in rari casi, di comunicare con voce melodiosa e calma, rivelando frammenti di conoscenze dimenticate e antichi eventi. L’esistenza di queste luci è stata segnalata da diversi testimoni nella foresta di Earlann, rendendo questa leggenda una delle più accreditate tra i Sindar.

Le Faerin Anrafn – Gli Spiriti Alati

Note anche come Fate o Spiritelli, queste entità vengono considerate un popolo primordiale, antecedente persino alla comparsa degli elfi. Si narra che siano nate dagli elementi stessi della foresta, e che abbiano vissuto in armonia fino a un misterioso evento—variamente interpretato come un furto o un torto subito—che avrebbe acceso in loro un odio duraturo verso gli elfi. Secondo la tradizione, solo grazie all’intervento di una figura elfica chiamata Arabella fu raggiunta una parziale riconciliazione. Alcune di queste creature, oggi, danzano ancora pacificamente tra gli alberi, mentre altre, restando legate all’antico rancore, aggrediscono ogni elfo che incontrano.

La Thor in Enreinn – L’Aquila degli Eoni

Questa leggendaria creatura, un’aquila di dimensioni straordinarie, è da secoli legata alla storia marziale dei Sindar. Si dice che risponda solo al richiamo del Berith o dell’Haran della Verde, apparendo nei cieli ogni volta che i Sindar devono prepararsi alla guerra. Il suo grido possente è per molti un segnale sacro, che spinge gli edhil mhithrin a radunarsi immediatamente per la battaglia. La costanza con cui la creatura si presenta, sempre uguale e puntuale, alimenta la convinzione che si tratti di un dono degli dèi, in particolare di Suldanas, il Signore del Cielo e della Guerra.