Se si desidera incarnare un elfo antico e raffinato, custode di tradizioni millenarie, dotato di una grazia innata e di una saggezza coltivata sin dagli Albori, allora la scelta più naturale è il Quenya.

Scegliere di interpretare un Quenya significa dar vita a un personaggio che non solo abita, ma incarna la memoria degli Eldar: un essere forgiato dalla luce degli inizi, modellato dalla magia, dall’arte e dalla conoscenza. Il Quenya è portatore di leggende antiche, testimone di un tempo che fu, e abita in una città splendida e millenaria, costruita in armonia perfetta tra pietra, spirito e canto.

È un elfo che, pur mantenendo un rapporto armonioso con la natura, è soprattutto custode di un’eredità culturale ineguagliabile: i Quenya hanno raggiunto nei millenni un vertice di civiltà fatto di sapere, arti arcane, filosofia, arte marziale e contemplazione.

Chi desidera interpretare una stirpe dotata di una forte tradizione marziale, disciplinata, elegante, spirituale, ma allo stesso tempo immersa in una dimensione mistica, in dialogo costante con forze magiche antiche e con le verità del cosmo, troverà nei Quenya la perfetta incarnazione di questo equilibrio.

È importante ricordare che un Quenya non è semplicemente un “nobile umano”. La sua nobiltà non deriva da titoli, beni o sangue reale, ma dalla purezza dell’animo, dalla dedizione a ideali elevati, e dal sapere, sia mistico che terreno, che coltiva e protegge.

Giocare un Quenya significa quindi assumersi il compito di rappresentare una stirpe che unisce la grazia alla forza, la saggezza all’onore, la disciplina alla contemplazione. Un popolo la cui presenza su Ardania è al tempo stesso simbolo e testamento dell’età luminosa degli Eldar.

Storia

Le Origini

I Quenya, noti anche come Elfi Alti o “Tareldar” (“coloro che alta hanno la comprensione dell’Arte Arcana”), rappresentano una delle casate elfiche più antiche e sapienti. La loro cultura attribuisce un valore straordinario alla storia: ogni oggetto o struttura da loro realizzato reca con sé una narrazione dettagliata, conservata e tramandata con meticolosità.

Anticamente, prima ancora che gli elfi fossero noti come tali, esisteva un popolo chiamato Yiu, dotato di poteri straordinari: essi viaggiavano tra i mondi e manipolavano il flux con naturalezza. I Quenya discendono da uno di questi antichi lignaggi e hanno mantenuto con grande cura frammenti di quell’eredità perduta. Secondo alcune fonti elfiche, tra cui antichi testi custoditi dalla casata stessa, la loro esistenza risale ad almeno 50.000 anni, anche se tali cifre potrebbero riflettere una volontà di rafforzare il prestigio della loro stirpe.

In origine, le casate elfiche erano famiglie estese, identificate anche per tratti somatici comuni. I Quenya erano noti per la carnagione chiara e i capelli dorati. Sebbene all’inizio fossero poco influenti, la scoperta del cosiddetto Globo della Conoscenza cambiò le sorti della casata. Questo artefatto, contenente il dono della Magia lasciato da Morrigan, venne trovato dal saggio Nuireletion, un membro del lignaggio più nobile dei Quenya, discendente del principe Tingoldin.

Nuireletion trasmise i suoi insegnamenti magici al figlio Amanya e alla figlia Isilwen. I due, seppur legati da profondo affetto e rispetto, svilupparono visioni opposte: Isilwen diffuse l’Arte a tutti gli elfi, sistematizzando le quattro Vie della Magia (Fuoco, Aria, Acqua e Terra), mentre Amanya custodì gelosamente i segreti, condividendoli solo con i membri della propria casata. Da questo dualismo derivò un doppio patrimonio magico per i Quenya, che ereditarono sia i saperi elitari di Amanya, sia quelli più accessibili diffusi da Isilwen.

Col tempo, grazie a questa duplice conoscenza, i Quenya divennero padroni incontrastati dell’Antica Via e occuparono posizioni di rilievo tra i maghi elfici. Con la loro arte e il prestigio derivante, assorbirono armonicamente molte casate rivali attraverso matrimoni, alleanze e condivisione di saperi.

Oltre alla magia, i Quenya coltivarono anche le cosiddette Antiche Tecniche, una forma di sapere ormai perduta che permetteva la manipolazione della realtà senza incantesimi. Con metalli, legni e pietre, gli antichi elfi riuscivano a costruire strutture e meccanismi straordinari: ponti sospesi, edifici in movimento tra gli alberi, telai capaci di tessere in pochi istanti. In sinergia con la magia, queste tecniche generavano meraviglie: navi incantate, torri di cristallo, abiti magici dai poteri arcani.

Un altro aspetto distintivo della conoscenza quenya era la padronanza dei portali. Discendenti degli Yiu, i Quenya conservarono conoscenze riguardanti l’apertura di portali planari, seppur con grandi precauzioni. Dopo catastrofi causate da un eccessivo uso di questa pratica, gli elfi decisero di limitarla, ma i Quenya mantennero il sapere necessario per accedere ai varchi più potenti. La trasmissione di tali segreti divenne oggetto di grande riservatezza e venne custodita con gelosa attenzione.

Infine, la scomparsa delle favoleggiate città elfici viene attribuita alla fusione tra materia e incantesimo nella loro architettura. Quando le energie magiche che le sostenevano furono spente, le strutture crollarono, lasciando poche o nessuna traccia visibile delle antiche meraviglie.

I Falò senza Luce e l’Oracolo dell’Antica Via

Questo periodo della storia quenya è tra i meno documentati, a causa della sistematica distruzione di tradizioni e conoscenze che lo caratterizzò. I cosiddetti Falò senza Luce, che ebbero inizio con la fine della casata dei Re, furono progettati con meticolosa cura dai Lantalar, anche noti come i Decadentisti, nel corso dei millenni precedenti. L’evento portò quasi all’annientamento totale della razza elfica, inclusa la stirpe quenya.

Durante questo lungo periodo di declino e distruzione, definito da una sequenza di “incidenti” distribuiti su secoli, le conoscenze elfiche vennero progressivamente cancellate. Morte misteriose e fiamme nere prive di calore distrussero antichi testi e artefatti.

In questo contesto emerge la figura enigmatica dell’Oracolo dell’Antica Via, il cui legame con l’Ordine dell’Antica Via—preservato da potenti maghi quenya grazie ai segreti di Amanya—è in parte avvolto nel mistero. Di questo Oracolo, si conosce per certo l’identità di uno dei suoi membri più celebri: la Dama Bianca, da non confondersi con la futura Bianca Dama di Ondolindelore. Leggendaria veggente quenya, la Dama Bianca è descritta come una figura di straordinaria bellezza, con capelli color platino e occhi di luce dorata. Fu un punto di riferimento e un baluardo di speranza durante l’espansione dei Falò e dell’influenza dei Lantalar.

Le cronache tramandano che essa:

  • Richiamò gli elfi di Lestanore (antico quenya per Hildoriath) verso l’ovest del continente, anticipando le mosse dei Decadentisti.
  • Condusse le trattative con gli umani per assicurarne la neutralità nel conflitto contro gli Djare.
  • Consigliò l’abbandono delle colonie elfiche dopo la vittoria sui Decadentisti, azione che risultò decisiva nella successiva guerra contro i nani.

La Dama Bianca trovò la morte insieme agli ultimi membri dell’Oracolo durante la fine di questa turbolenta epoca. Secondo la leggenda, al momento della sua uccisione da parte dei Decadentisti, pronunciò queste parole:
“Vi stavo aspettando, il mio destino è compiuto, il vostro si compie ed io muoio ma voi perdete.”

L’Esodo e Finwerin

Al termine del lungo conflitto tra Imperialisti e Decadentisti, le stirpi sindar e quenya si ritrovarono nei boschi del Doriath occidentale per discutere il futuro del loro popolo. Ebbe così inizio l’epoca della Ristrutturazione, periodo di rinascita collettiva degli elfi.

Due figure emersero con forza in questa fase:

  • Arabella, guida per gli elfi silvani.
  • Finwerin degli Eldamar, riferimento per gli elfi alti.

Finwerin, elfo di nobile lignaggio legato alla casata dei Re, era noto per la sua saggezza, lungimiranza e coraggio. Di aspetto severo e poco conforme agli ideali estetici della sua stirpe, aveva capelli neri e occhi scuri, con carnagione chiara come la luce lunare.

Contrariamente alla visione di Arabella—che promuoveva una vita immersa nella natura, in armonia con la foresta—Finwerin sosteneva la necessità di una rinascita culturale e civile degli elfi alti. Promuoveva la ricostruzione di città grandiose, la valorizzazione delle conoscenze antiche e la riorganizzazione di un esercito forte, come gesto di devozione agli antenati e ai Valar.

Le sue parole sono ricordate come fondative:

“Noi figli di Beltaine, come possiamo rimanere nascosti nella foresta, a cacciare cervi ed abbeverarci dai ruscelli per tutte le nostre lunghe vite? [...] Ora, dobbiamo riunire tutto quello che rimane delle conoscenze degli Ordini antichi, navigare tra le memorie dei nostri anziani, ed usare queste conoscenze per rifondare un regno d’arte, tecnica, magia e sapienza elevate, che sia un raggio di luce per gli Eldar ed i mortali tutti, oltre che gesto di devozione ed offerta ai Valar.”

Alla luce di questo dissenso, e pur riconoscendo la validità della via dei Silvani, Finwerin e i suoi seguirono un destino diverso. Alcuni quenya, stando a fonti non confermate, partirono verso "un altro lido" senza attendere il resto della casata. Tuttavia, la direzione definitiva dell’esodo fu indicata da un presunto segno divino.

Un mattino, un grande cigno dalle ali luminose sorvolò le dimore quenya. Interpretato dai sacerdoti come un emissario di Beltaine, il cigno si diresse verso nord. I quenya lo seguirono, lasciando definitivamente le foreste orientali del Doriath.

La Fondazione di Ondolinde

Dopo una lunga marcia, i Tareldar giunsero in una fredda e sterile vallata montana a nord, nella catena dell’Elverquisst. Il cigno si posò sulle acque di un lago montano, raggiunse un’isola al centro e infine si dissolse in una luce dorata. In quel preciso istante, il segmento del Tulip portato dai sacerdoti cominciò a germogliare.

Finwerin lo piantò sull’isola. Da quel momento, la valle iniziò a trasformarsi: la vegetazione rifiorì, ruscelli emersero dalle rocce, e il terreno divenne fertile. Il germoglio, subito chiamato Ninque Alda (“Bianco Albero”), venne identificato come incarnazione della benedizione di Beltaine.

Tuttavia, poco dopo l’arrivo, gli elfi furono attaccati da orde di mostri. La loro conoscenza dell’Arte della Guerra, seppur ridotta, fu sufficiente a respingere gli assalti. Si rese però evidente la necessità di una struttura difensiva permanente. Cominciò così la costruzione della Bianca Fortezza di Ondolinde, destinata a custodire il Tulip e a difendere gli elfi.

Realizzata in ondo-losse (pietra bianco-neve), materiale estratto dalle miniere locali, la fortezza fu progettata dal leggendario architetto Nar Katern, scelto personalmente da Finwerin. Il suo progetto integrava eleganza architettonica e funzionalità militare: la laguna venne canalizzata per fungere da fossato, e il paesaggio fortificato senza compromettere l’armonia estetica.

La fortezza, insieme alle abitazioni costruite sulle rive, prese il nome di Ondolinde, ovvero “Pietre Cantanti”, per il melodioso scorrere dell’acqua tra i palazzi, simbolo di equilibrio tra natura, arte e difesa.

Il lungo regno di Finwerin

La dinastia degli Eldamar è universalmente associata, presso i Quenya, alla nobiltà d’animo e alla regalità. Aran Finwerin, noto anche come Il Fondatore, è considerato uno dei tre leggendari sovrani elfici. A lui fu concesso il Dono della Lunga Vita da parte della Madre, evento che ebbe luogo agli albori del suo regno, quando Ondolinde era ancora giovane.

Secondo la tradizione, durante una battuta di caccia in compagnia della regina Arabella, Finwerin si trovò di fronte a un’apparizione divina della dea Beltaine. La Valie, presentatasi come una dama luminosa e splendente, espresse il proprio dispiacere per le disgrazie occorse al suo popolo e chiese ai due sovrani di giurare di proteggere e custodire gli elfi dopo le devastazioni provocate dalla lotta tra imperialisti e decadentisti. Dopo il loro giuramento, una pioggia calda e luminosa li bagnò. Finwerin, riconoscendone la natura miracolosa, ne raccolse una piccola quantità in un calice. La dea gli chiese di custodire quell’acqua alla Splendente, “in attesa del Re dei Mari”.

Questa Benedizione garantì una lunghissima vita ai sovrani, affinché potessero adempiere al compito affidato loro da Beltaine. Regnarono per secoli Finwerin, Arabella e successivamente Marip’in, superando di gran lunga la normale aspettativa di vita elfica.

Il regno di Finwerin fu segnato da saggezza e lungimiranza. Tra i principali eventi si ricordano l’esodo fino alla valle degli Elvenquisst, la fondazione della Bianca Città, e il duraturo senso di coesione e unità che egli seppe instillare tra i Quenya. La sua eredità è ancora oggi profondamente radicata nella memoria collettiva.

Aredhel Eldamar e il progetto imperiale

Aran Finwerin ebbe due figli: Makindur, un celebre spadaccino, e Aredhel. Makindur scomparve misteriosamente durante una caccia, lasciando la sola Aredhel come erede. Aredhel ricevette un’educazione accurata e raffinata, in un ambiente protetto e ricco di agi. Si distinse fin da giovane per brillantezza, socievolezza e bellezza, con lunghi capelli dorati e profondi occhi scuri.

A soli cento anni Aredhel acquisì un tale prestigio e autorità da sostituire il padre nella pratica del governo. L’ultimo millennio del regno di Finwerin è di fatto ricordato come il periodo del principato di Aredhel. Il sovrano si ritirò alla vita privata, dedicandosi al culto di Beltaine e allo studio, mentre Aredhel regnava in suo nome, lasciando un’impronta indelebile nella storia dei Quenya.

All’inizio del suo principato, Aredhel consolidò il consenso degli Eldamar ad Ondolinde. Il clero di Beltaine rifondò l’Ordine delle Madri, con il sostegno della Ninque Heri. La Delegazione del Buon Risveglio di Morrigan, esperta in sogni e divinazioni, ricevette libero accesso alla Splendente e una sede prestigiosa. In cambio, l’Ordine delle Madri promosse ulteriormente il consenso per la casata regnante, mentre la Delegazione interpretava quotidianamente i sogni della regina, offrendo consigli anche su eventi futuri.

La Bianca Fortezza fu trasformata in Bianco Palazzo Reale, grazie a estensioni e decorazioni promosse dalla stessa Aredhel. La biblioteca dei saggi e sacerdoti di Earlann fu ampliata, e il clero di Suldanas vide accrescere le proprie funzioni amministrative, poiché l’esercito fu posto sotto la sua egida.

Uno dei progetti più ambiziosi della principessa fu la fondazione di un “Impero”. Convinta imperialista, Aredhel mirava a un nuovo assetto dell’Hildoriath, con i Quenya a capo della collettività elfica, arrivando persino a ipotizzare la sottomissione dei Drow. L’obiettivo finale era riportare lentamente anche le terre umane sotto egemonia elfica.

Il piano fu perseguito su due fronti: da un lato il potenziamento dell’esercito, dall’altro un intenso e abile lavoro diplomatico con gli altri popoli elfici.

Aredhel stabilì importanti relazioni con Bereth Arabella, regina sindar, e con il principe Ersyh, figlio di Aran Marip’in della dinastia Elenion di Rotiniel. Con Arabella strinse un patto segreto che le garantiva ampi margini di manovra nell’Hildoriath. Con Ersyh, gli incontri diplomatici si trasformarono in relazioni sentimentali. L’unione tra i due avrebbe permesso di riunire i Teleri di Rotiniel e i Quenya sotto un’unica corona, che Aredhel intendeva fosse quella degli Eldamar.

Divenuta Tari dopo la morte del padre, Aredhel ordinò movimenti di truppe verso sud, con l’obiettivo di conquistare i territori sotterranei dei Drow. Ottenne il sostegno di Ersyh e l’invio di truppe rotinrim, grazie anche alla loro relazione amorosa e alle promesse fatte ai mercanti.

L’esercito combinato di Ondolindelore, Tiondino, Rotinirim e Silvani si stabilì in un grande accampamento nel sud. Il matrimonio tra Aredhel ed Ersyh stava per essere annunciato poco prima dell’attacco dei figli di Luugh, che molti considerarono un tentativo di bloccare l’unione tra gli elfi e la guerra contro i Drow.

L’unione con Ersyh e la presunta rinuncia alla corona da parte di Arabella avrebbero potuto rendere Tari Aredhel regina incontrastata degli elfi, con solide basi espansionistiche per il rifondato impero elfico. Tuttavia, la morte della sovrana e di altri regnanti elfici pose fine a quel progetto. Con la scomparsa di Aredhel Eldamar si concluse il sogno di un impero elfico guidato dai Quenya.

Aspetto fisico

All'origine dei tempi, quando la casata Quenya era ancora giovane e poco numerosa, i suoi membri condividevano tratti somatici straordinariamente omogenei. Si narra che tutti presentassero capelli color oro e occhi nocciola, in una combinazione che contribuiva a creare un’immagine di purezza e coerenza nella stirpe.

Tuttavia, la mescolanza con altre casate elfiche, avvenuta già in epoche assai remote, ha progressivamente ampliato la varietà cromatica nei lineamenti dei Quenya contemporanei. Oggi, pur restando comune la presenza di individui biondi, è possibile osservare un’ampia gamma di colori per occhi e capelli. Nonostante questo, alcuni tratti distintivi sono rimasti invariati nel tempo: la carnagione estremamente chiara – talvolta descritta come quasi splendente – e la statura elevata, superiori rispetto alla media elfica.

Tali caratteristiche rendono i Quenya facilmente distinguibili, soprattutto dai Sindar, che sono generalmente di statura inferiore e presentano tratti più delicati e tenui. Il confronto con i Teleri è invece meno immediato. Molti di essi, infatti, sono Quenya di sangue puro differenziatisi nel tempo per dialetto e consuetudini culturali, pur condividendo tratti fisici simili. Tuttavia, laddove si osservi una carnagione più abbronzata o bruna, si può escludere con certezza l’appartenenza alla stirpe Quenya, la cui pelle resta sempre chiara e luminosa, inalterata dal passare delle generazioni.

Quenyalambe

La lingua parlata dai Quenya è denominata Quenyalambë, più comunemente abbreviata in Quenya. Si tratta di un idioma armonioso e articolato, sebbene meno musicale del Sindarin. Mentre quest’ultimo ha preservato molti suoni dell’antico elfico arricchendoli con elementi fonetici nuovi per aumentarne l’eufonia, il Quenya ha mantenuto una fonetica più semplice e talvolta più aspra, ma ha conservato la struttura grammaticale complessa delle sue origini.

I Quenya mostrano una spiccata inclinazione alla creazione linguistica: coniano frequentemente parole nuove e articolate, dando vita a un vocabolario in costante evoluzione, sebbene con lentezza. I saggi elfi tengono registri e pergamene contenenti neologismi, curando con attenzione la crescita della loro lingua.

Il Quenya è utilizzato non solo nei dialoghi tra membri della stessa stirpe, ma anche in conversazioni con altri elfi – inclusi i Teleri – o razze differenti. I Quenya, infatti, non sono soliti adattare la propria lingua all’interlocutore: è piuttosto richiesto agli altri di sforzarsi nella comprensione del Quenya.

Dal punto di vista culturale, il Sindarin è generalmente percepito dai Quenya come una lingua musicalmente gradevole ma inferiore dal punto di vista culturale e linguistico. È considerato adatto a canti e poesie, ma non a disquisizioni complesse. Nonostante questo giudizio, molti Quenya lo apprendono per il piacere del suo suono. Il Telerin, invece, è spesso ritenuto una degradazione del Quenya, privo di interesse o valore per lo studio, e chi lo parla può essere cortesemente invitato a esprimersi nel “vero Quenya”.

Lessico utile

(Singolare/Plurale = significato)

  • Elda / Eldar = elfo / elfi
  • Tareldar, Calaquendi = appellativi per i Quenya (elfi alti, elfi della luce)
  • Atan / Atani = umano / umani
  • Perelda / Pereldar = mezz’elfo / mezz’elfi
  • Lestanore / Hildoriath = Terra degli Elfi (Lestanore è la forma antica in Quenya, Hildoriath in antico Sindarin; la seconda è più comunemente compresa)
  • Quel fara = buona caccia
  • Quel du = buona serata
  • Quel kaima = buon riposo
  • Aiya = saluto d’arrivo informale (“salve”)
  • Veduì = saluto d’arrivo formale
  • Namárië = saluto di congedo
  • Vala / Valar = dio / dei
  • Valië / Valier = dea / dee
  • Aran / Arani = re / re (pl.)
  • Tári / Tárir = regina / regine
  • Ninquë Heri = la Bianca Dama
  • Ay / Nay = sì / no
  • Diolla lle / Annon lle = grazie / prego
  • Tiond (detta anche i Calen) = la Verde
  • Rotiniel (detta anche i Marilla) = la Perla
  • Sëler / Sëlerin = “sorella / sorelle”, appellativo fraterno usato tra elfi
  • Tór / Tóronin = “fratello / fratelli”, appellativo fraterno usato tra elfi
  • Ondolindë (detta anche i Silala = la Splendente)
  • Gondolin = nome alternativo in Sindarin per Ondolinde

Sul nome della capitale settentrionale

Il nome originario del reame settentrionale dei Quenya è Ondolindë, che significa “pietre cantanti” in Quenya. Tuttavia, è frequente l’uso del termine Gondolin, che corrisponde alla traduzione in Sindarin. L’adozione di questo nome deriva da un evento leggendario: circa un millennio fa, sotto il regno di Finwerin, una carovana quenya in viaggio per omaggiare la regina sindar Arabella fu assalita da una orda improvvisa di minotauri. Fu allora che la guida sindar, gridando “An Tiond! An Gondolin!”, aprì la via e salvò i viaggiatori. Da quel momento, in segno di gratitudine e apprezzamento per la musicalità del termine, i Quenya iniziarono a usare Gondolin come appellativo affettuoso per la loro capitale.

Nota d’uso linguistico in gioco

Per l’utilizzo in contesti di gioco, si raccomanda l’uso esclusivo delle parole riportate in questa sezione. L’utilizzo di termini diversi da quelli qui elencati è sconsigliato, in quanto le parole sopra riportate sono di conoscenza comune tra i giocatori; usarne altre rischierebbe di compromettere la comprensibilità delle interazioni.

Etica

Magia e Natura

Per i Quenya, magia e natura non sono realtà distinte, ma due aspetti complementari di un’unica armonia. A differenza della concezione comune, che tende a considerare la magia come qualcosa di innaturale o separato dal mondo fisico, i Quenya riconoscono nella magia una manifestazione diversa della Natura stessa.

Secondo la loro visione, la Dea della Magia, Morrigan, non ha creato la magia dal nulla, ma ha donato un nuovo modo per percepire e manipolare gli elementi naturali già esistenti. Le sfere magiche corrispondono ancora oggi agli elementi primordiali, e la distinzione tra un evento naturale (come un incendio causato da un fulmine) e un incantesimo che produce fuoco è considerata sottile. Entrambi sono espressioni del medesimo principio naturale, reso possibile dai Valar.

La magia, per i Quenya, è insita nelle cose e non viene creata dall’incantatore: si manifesta attraverso coloro che sono in grado di percepirla e armonizzarsi con essa. Gli Alti Elfi, in virtù della loro storia e della loro innata sensibilità, si sentono costantemente pervasi dalla magia.

Una delle espressioni più elevate di questa relazione è rappresentata dalla Tessitoria Arcana, un’antichissima arte magica conosciuta e praticata unicamente dagli eldar. Essa consiste nel fondere più incanti tra loro, tessendoli come in una trama, al fine di ottenere effetti più potenti o specifici. La difficoltà nel bilanciare le varie componenti magiche ha reso questa disciplina prerogativa quasi esclusiva dei Quenya, che, grazie ai Segreti di Amanya, ne possiedono le forme più raffinate. Sebbene alcuni studiosi umani ritengano la Tessitoria estinta dai tempi dei Falò Senza Luce, vi sono elfi che sostengono il contrario, pur senza fornire dettagli.

Il rapporto con la Natura

La visione quenya della Natura differisce da quella di altre stirpi elfiche. Se i Sindar si considerano parte della Natura, i Quenya vedono la Natura come un dono divino affidato a loro custodia. In particolare, credono che Beltaine e Suldanas abbiano creato flora e fauna appositamente per gli elfi.

L’armonia naturale, secondo i Tareldar, non si manifesta nella foresta selvaggia e incontaminata, ma in quella curata e sorvegliata. In questo contesto, gli alberi malati vengono abbattuti, i rami potati con criterio, gli animali protetti e le acque canalizzate. Si tratta comunque di una gestione rispettosa, ben diversa dallo sfruttamento tipico degli umani, ma distinta anche dalla venerazione della Natura selvaggia propria dei Sindar.

Imperialismo

Il pensiero imperialista, noto come Caneldarion ("comando degli elfi"), è una corrente ideologica antica che riconosce la superiorità degli elfi — i figli di Beltaine — su tutte le altre razze mortali. Due furono le casate principali che lo svilupparono: i Quenya e i Drow. Tuttavia, le due visioni si divisero profondamente nel tempo.

Le due correnti principali:

  1. Imperialismo della Terra (Caneldarion Kemeno)
    Dominante storicamente nella cultura Drow, si basa sull’imposizione della supremazia elfica attraverso la forza militare e la coercizione. L’ultima grande figura di questa corrente fu Tari Aredhel.
  2. Imperialismo del Cielo (Caneldarion Menelo)
    Predominante oggi ad Ondolinde, questa visione promuove l’egemonia culturale come mezzo per affermare la superiorità elfica. I Quenya devono guidare il mondo non con le armi, ma con l’esempio della loro civiltà. È una visione considerata più tollerante verso le razze non elfiche, specie gli umani.

Questa differenziazione spiega anche certi comportamenti sociali dei Quenya: il racconto, l’insegnamento, la condivisione della propria cultura sono strumenti con cui essi cercano di estendere la propria influenza, dimostrando implicitamente la loro eccellenza.

La Purezza del Sangue

Il concetto di purezza del sangue ha conosciuto nel tempo fasi alterne nella cultura quenya. L’attuale orientamento è influenzato dall’editto di Lorac Isildur, che scoraggia le unioni con altre stirpi elfiche per timore di indebolire il lignaggio quenya. Tuttavia, tali unioni non sono considerate inaccettabili.

Nel caso in cui i figli di tali unioni crescano secondo la cultura dei Tareldar, specialmente a Ondolinde, essi vengono spesso accettati come veri Quenya, e la mescolanza viene talvolta vista come un arricchimento. Diverso, invece, è l’atteggiamento verso i mezz’elfi (metà umani), che sarà affrontato separatamente.

Il Ritualismo Quenya

Una caratteristica distintiva della cultura quenya è il forte senso del ritualismo. Per gli Alti Elfi non è importante soltanto cosa si fa, ma soprattutto come lo si fa. L'eleganza, la precisione, l’armonia nei gesti sono considerate manifestazioni di civiltà e superiorità. Questo formalismo si estende a tutti gli aspetti della vita quotidiana: dalla preparazione di un pasto, alla vestizione, all’esecuzione di un rito, fino alle relazioni sociali.

Un esempio significativo è rappresentato dai lunghi preparativi cerimoniali che precedono gli incontri ufficiali: truccarsi con motivi simbolici, accompagnare ogni passaggio con suoni e inni rituali, disporre gli oggetti secondo criteri estetici e armonici. Questo non è considerato un lusso o un capriccio, ma un dovere estetico e culturale. L’assenza di fretta è un concetto fondamentale: con la loro lunga vita e il tempo abbondante, i Quenya coltivano la bellezza del gesto oltre l’efficienza del risultato.

Spiritualità

Anticamente, la religiosità permeava ogni aspetto della vita elfica in modo talmente profondo da rendere indistinguibile il confine tra sacro e profano. La quotidianità stessa degli elfi era vissuta in una dimensione intrinsecamente mistica. Fra tutti gli elfi, i Quenya sono quelli che hanno maggiormente conservato questo legame tra fede e vita quotidiana, integrando il misticismo religioso in ogni gesto, parola e rituale.

Nel parlato quotidiano dei Quenya si rileva una frequente presenza di riferimenti ai Valar, una caratteristica che, fra gli altri elfi, è solitamente riservata ai sacerdoti. Tale peculiarità riflette una continuità con l’antica società degli Eldar, interamente strutturata secondo principi religiosi. I Quenya mantengono un profondo rispetto verso i sacerdoti dei Valar, e partecipano con regolarità tanto alle cerimonie da loro officiate quanto a quelle promosse da altri membri della collettività elfica.

Le liturgie dei Tareldar si distinguono per l’alto livello di ritualità e solennità. Sono caratterizzate da canti celestiali e formule arcaiche di devozione. Tali cerimonie sono considerate da molti come esperienze spirituali elevate, capaci di trasmettere un senso concreto di prossimità al divino.

Beltaine nella spiritualità quenya

Beltaine occupa un posto centrale nella religiosità dei Quenya. Dea Suprema, generatrice di due Valar insieme a Suldanas, Beltaine è anche Colei che, secondo la tradizione, ha dato origine agli Eldar con le sue lacrime. Venerata da tempi immemori, è considerata l’incarnazione delle origini stesse, tanto di sangue quanto di spirito. Dopo il Tulip, rappresenta la forma più pura dell’archetipo originario.

Il culto di Beltaine si è ulteriormente rafforzato nel corso dei millenni, grazie al ruolo attribuitole in eventi fondamentali della storia quenya: la protezione durante l’Esodo di Finwerin, la benedizione del Bianco Albero che garantì fertilità alla Valle Celata, il Dono della Benedizione della Lunga Vita e numerosi altri atti considerati miracolosi.

Contrariamente a quanto comunemente creduto nelle terre degli uomini, Beltaine non è venerata esclusivamente da madri o donne elfiche. Il suo culto è diffuso trasversalmente in tutta la società tareldar. È considerata la creatrice di , termine quenya che designa la “Natura”, e detiene anche l’epiteto di Valie Caleo, Dea della Luce. Secondo la tradizione quenya, il Sole e la Luna rappresentano i due occhi della Dea, simboli della vita e della nascita.

Beltaine incarna, in un’unica figura armonica, i concetti di natura, stirpe elfica, origini divine, nascita, creazione e tradizione. È anche la custode delle antiche usanze e dei valori spirituali dei Quenya.

Il clero di Beltaine

Il clero beltainita tra i Quenya si articola tradizionalmente in due rami: i sacerdoti e le sacerdotesse. Entrambi condividono un legame profondo con la natura e sono impegnati nella conservazione delle tradizioni antiche.

Le sacerdotesse appartengono quasi esclusivamente all’Ordine della Madri, un’istituzione di grande influenza e prestigio, molto amata dal popolo. I sacerdoti, invece, sono legati all’Ordine del Sole, storicamente più ristretto. Tuttavia, in epoca recente, l’Ordine del Sole si è aperto anche ai sacerdoti di altri Valar, divenendo numericamente superiore all’Ordine delle Madri. I sacerdoti di Beltaine mantengono comunque un ruolo di rilievo e sono noti come Raggi di Sole.

Una delle cerimonie più antiche ancora praticate a Ondolinde è il Ringraziamento al Sole, celebrata generalmente in estate. In questa occasione, l’intero clero di Beltaine benedice i campi e le foreste del regno, ringraziando la Valie per la luce solare. La cerimonia è officiata da un sacerdote, il quale versa acqua santa sulla terra utilizzando il Calice del Sole, una preziosa reliquia sacra.

Il culto lunare e il sincretismo con Morrigan

L’Ordine delle Madri, dominato dalle sacerdotesse di Beltaine, prevede rituali incentrati sulle fasi lunari. Sebbene possa apparire contraddittorio, dato il legame di Beltaine con il Sole, per i Quenya la Luna non è un simbolo esclusivo di Morrigan. Quest’ultima rappresenta infatti solo l’aspetto lunare legato al cambiamento, al mistero e alla doppiezza. La Madre degli Dei, al contrario, incarna la dimensione lunare connessa alla femminilità, alla fertilità e al ciclo naturale della vita. La Luna è, insieme al Sole, uno dei due occhi di Beltaine: due manifestazioni complementari della stessa divinità.

Appellativi sacri di Beltaine

Tra i Quenya, Beltaine è conosciuta con numerosi titoli onorifici che ne esprimono le diverse sfaccettature divine:

  • Alatamille – Grande Madre
  • Amille Valarion – Madre degli Dei
  • Valie Caleo – Dea della Luce
  • Valie Cuivieo ar i Taurion – Dea della Vita e delle Foreste
  • Amille Eldarion – Madre degli Elfi

Earlann

Tra i Valar più rispettati dai Quenya, oltre a Beltaine, figura Earlann. Questo Vala è associato alla serenità, alla calma e alla saggezza, qualità ritenute essenziali nel vivere quotidiano e nel processo decisionale. Nei Quenya, Earlann incarna l’oculatezza e la riflessione.

Tuttavia, l’aspetto di Conoscitore di Earlann assume una sfumatura particolare. Mentre per molte stirpi elfiche egli rappresenta la suprema divinità della conoscenza, i Quenya riconoscono l’origine della sapienza più antica in Beltaine, considerata fonte primigenia della conoscenza infusa negli Eldar alla nascita. Earlann, in questa visione, non è la fonte, bensì colui che sviluppa, trasmette e fa scorrere la conoscenza, come un fiume che alimenta il sapere.

Questa distinzione influenza anche il culto: i custodi delle tradizioni e gli studiosi tendono a rivolgere maggiore devozione a Beltaine, mentre coloro che creano nuove opere, testi o forme artistiche sono più legati a Earlann, quale promotore dell’evoluzione del sapere.

Una celebrazione importante dedicata a questo Vala è la “Parola Celeste”, un rituale in cui i sacerdoti di Earlann a Ondolinde invitano tutti gli Elfi del Doriath a comporre una poesia su un tema religioso. L’autore dell’opera ritenuta più meritevole riceve un premio durante una solenne cerimonia che rende grazie al Vala per il fluire del sapere, spesso simboleggiato da una cascata.

Suldanas

Suldanas occupa un ruolo centrale nel pantheon elfico. Per i Quenya, egli è venerato come Custode dell’Equilibrio, piuttosto che come semplice divinità silvana o protettore della fauna. Viene percepito come vegliante severo e imparziale di tutto ciò che Beltaine, sua consorte, ha generato. In questa funzione, Suldanas è giudice inflessibile, garante del bilanciamento cosmico.

Da ciò nasce una peculiare visione teologica presso i Quenya, secondo cui bene e male costituiscono un equilibrio necessario, un alternarsi dinamico dove ciascun opposto ha bisogno dell’altro per esistere. La presenza di eventi nefasti, esseri malvagi o calamità naturali viene quindi interpretata come parte di un equilibrio arcano, in cui gli elfi sono inconsapevoli partecipanti. Tale dottrina non è condivisa unanimemente: il clero di Beltaine e quello di Morrigan tendono a considerare il male come un’alterazione da eliminare, non come componente necessaria.

Nella pratica, anche il clero di Suldanas si adopera per la protezione del popolo e della collettività, ma con una prospettiva diversa, volta al mantenimento dell’equilibrio. I sacerdoti di questo culto sono tradizionalmente associati sia alla funzione giudiziaria cittadina sia al comando militare.

Una cerimonia distintiva del clero di Suldanas è il “Giudizio Infuocato”, celebrato in occasione di decisioni cruciali, sia da parte di giudici sia da autorità politiche. Durante il rito, un fuoco mistico ricco di incensi viene acceso per infondere discernimento ispirato nel decisore.

Morrigan

Sebbene la sua fede non sia tra le più diffuse, Morrigan occupa un posto importante nel cuore dei Quenya. Dea della Magia e della Dissimulazione, è venerata soprattutto per il Dono della Magia, ritenuto uno dei lasciti più preziosi per gli Eldar. Tale devozione va oltre i confini delle cerchie magiche, coinvolgendo anche la popolazione in generale.

Un altro dono importante attribuito a Morrigan è la protezione della valle di Ondolinde, che rimase celata per lungo tempo agli occhi indegni grazie a una sua benedizione. Tuttavia, tra i Quenya, è la sua funzione di Madre della Magia e Dispensatrice di Sogni a essere più esaltata, rispetto all’aspetto di Signora degli Inganni.

Particolarmente rilevante è il legame di Morrigan con i sogni, testimoniato dalla Delegazione del Buon Risveglio, un antico ordine itinerante che, per secoli, ha interpretato sogni e ammonito i regnanti sui pericoli futuri. In origine vagante, la delegazione fu convinta da Aredhel Eldamar, quando ancora principessa, a stabilirsi a Ondolinde, assumendo il ruolo di divinatori ufficiali della corona. Nonostante ciò, essa ha mantenuto una vocazione continentale, continuando a viaggiare e a cercare nuovi membri con pratiche divinatorie misteriose.

La Cerimonia dei Sogni, pur tenendosi tradizionalmente a Ondolinde, vede la partecipazione dei regnanti e dei cleri di tutte le città elfiche.

Il Tulip e i Quenya

Il Tulip è l’albero sacro e primigenio da cui nacquero i tre Primi dei elfici. È venerato da tutti gli elfi come origine e fine del creato, essenza divina generatrice di ogni cosa.

Secondo la tradizione quenya, un frammento del Tulip — una radice o un rametto, secondo fonti antiche non univoche — fu custodito per millenni e infine piantato da Finwerin e dai suoi nel cuore della laguna su cui venne fondata Ondolinde. Questo frammento crebbe fino a divenire l’Alda Ninque, il Bianco Albero, che viene spesso indicato con lo stesso nome del progenitore, “Tulip”.

Per i Calaquendi, l’Alda Ninque è oggetto di profonda venerazione, in virtù di molteplici fattori:

  • È un diretto frammento del Tulip originario, e quindi compartecipe della sacralità che generò i Valar stessi.
  • È essenza della natura di tutta Ardania.
  • È creduto dotato di una “Antica Coscienza”, una forma di senzienza arcana e impenetrabile, per cui l’albero agirebbe come mediatore tra Valar ed Eldar secondo una volontà propria.

Il Bianco Albero è ritenuto responsabile della fertilità della Valle Celata e della protezione divina della città. Inoltre, la sua presenza fu determinante nella guerra contro i Drow, combattuta da Quenya e Sindar. Alcuni gruppi di fedeli lo venerano come una divinità autonoma e senziente.

Nel cuore della spiritualità quenya, l’Alda Ninque occupa un posto immediatamente successivo ai Valar e al Tulip originario. È conosciuto con diversi appellativi: Bianco Albero, Albero della Vita (Alda Cuileo), Albero Sacro (Aina Alda), o semplicemente “il Tulip”.

Società

La società dei Quenya si fonda sull’ideale della più perfetta armonia. Tale principio pervade ogni aspetto della vita collettiva e individuale, e si riflette in un modello di coesione che richiama l’antica civiltà elfica precedente ai cosiddetti “falò senza luce”. Per i Tareldar, il senso di collettività elfica si presenta in forma particolarmente pura, distinta dalle influenze naturalistiche tipiche dei Sindar e dalla commistione culturale propria dei Teleri.

I rapporti sociali tra i Quenya si distinguono per un comportamento misurato e apparentemente distante, che cela tuttavia una profonda considerazione del prossimo e del vincolo comune tra gli Eldar. Nei contatti quotidiani emergono cordialità, rispetto e frequenti espressioni di apprezzamento reciproco. L’autocontrollo è considerato una virtù fondamentale: il dominio sulle proprie emozioni è oggetto di costante ricerca, e la mancanza di giudizio o compostezza viene percepita come una colpa grave.

La struttura formativa dei Quenya segue il tradizionale percorso delle Tre Radure, le tappe educative che scandiscono la crescita culturale e sociale. Queste sono caratterizzate da uno studio rigoroso dei testi scritti, della tradizione e della storia elfica, nonché da un’approfondita formazione linguistica e letteraria nella lingua quenya. Coloro che non completano l’intero percorso, fermandosi alla seconda radura, o che non trovano pieno compimento nel sistema sociale di Ondolinde, tendono a trasferirsi a Rotiniel. In tale contesto, spesso assorbono elementi culturali teleri, pur conservando tratti distintivi della loro origine calaquendi.

Il ritmo di vita dei Quenya è generalmente lento e disciplinato, occupato da attività artistiche, religiose e lavorative, tutte considerate contributi fondamentali per il benessere e l’evoluzione dell’intera collettività elfica.

Tradizione Marziale e Concezione della Guerra

La visione quenya del combattimento è improntata a una dimensione rituale e sacrale. Chi si vota alle armi lo fa con rispetto e consapevolezza, mantenendo sempre l’onore verso l’avversario. La guerra è concepita come estrema ratio, intrapresa soltanto in caso di vera necessità.

La tradizione marziale dei Quenya affonda le radici nell’antico periodo imperialista, epoca in cui i Quenya — al pari dei Drow — esercitavano un ruolo egemone. Un esempio significativo della raffinatezza militare quenya è l’organizzazione dei Vaiwar Ohtasse, i “Venti di Battaglia”, unità militari stabili e ben strutturate, paragonabili a legioni, ciascuna con numero fisso di membri e guidata da ufficiali esperti. Questo sistema fu ideato da Valaine Mornil, rinomato generale dell’epoca di Finwerin, basandosi su strategie belliche elaborate nel periodo dell’Impero.

Arte e Artigianato

A differenza dei Teleri, che producono manufatti e oggetti artigianali con finalità commerciali verso altre razze, i Quenya coltivano l’artigianato prevalentemente per fini estetici e spirituali. La creazione e lo scambio di oggetti rappresentano una forma di socialità, volta a rafforzare l’armonia e la bellezza degli ambienti in cui vivono.

L’arte dei Quenya è strettamente legata alle miniere dei Monti Elverquisst, da cui si ricavano preziosi materiali per la raffinata oreficeria. I Tareldar sono celebri orafi e gioiellieri, e le creazioni provenienti da Ondolinde – in particolare collane e gioielli – sono largamente apprezzate in tutta Ardania. Particolarmente pregiata è anche la lavorazione della pietra, in special modo della ondo-lossë, la “pietra bianca”, utilizzata per la costruzione della capitale stessa.

L’alchimia occupa un posto di rilievo fra le arti quenya, non solo per i suoi risultati pratici ma anche per il valore simbolico e quasi mistico che le viene attribuito. Essa rappresenta un legame tra naturale e innaturale, memoria di un tempo in cui magia e tecnica erano unificate nel sapere ancestrale della casata.

Anche la cucina quenya riflette l’attenzione all’estetica. Ogni pietanza è curata nei minimi dettagli, con particolare attenzione alla presentazione visiva. Accostamenti di sapori insoliti sono comuni, talvolta sorprendenti più per l’aspetto che per il gusto. Un detto scherzoso, diffuso tra Sindar e Teleri, sostiene che la cucina dei Calaquendi sia “per l’occhio, non per il palato”; nondimeno, essa è molto apprezzata all’interno della società quenya.

Tra i piatti più noti vi sono:

  • Il Nettare di Luna, una zuppa dal gusto agrodolce servita con verdure e filetto di cervo, insaporiti da sughi a base di erbe speziate della Valle Celata.
  • I Nove Formaggi dell’Aran, un piatto a base di lepre alla griglia e fonduta aromatizzata. La lepre viene disossata e cotta, quindi ricoperta di formaggio fuso, che forma una crosta in cottura. Il piatto viene infine guarnito con erbe aromatiche e un cucchiaio finale di fonduta al vino bianco.

In tema di bevande, i Quenya prediligono succhi e sidri, e consumano alcolici con moderazione. L’eccezione è rappresentata dal vino, prodotto in rinomate piantagioni situate nelle colline presso Ondolinde. Il vino bianco quenya è noto per la sua delicatezza e viene tradizionalmente affinato in botti di legno di pino degli Elverquisst.

Abbigliamento

Il vestiario quenya si distingue per leggerezza, eleganza e aderenza alla tradizione elfica. Gli abiti sono spesso su misura e lasciano scoperte parti del corpo che, in altre culture, verrebbero celate. Ad Ondolinde esistono due principali mode: una predilige abiti aderenti, l’altra tessuti larghi e svolazzanti. La scelta tra le due sembra influenzata dalle stagioni e dalle preferenze delle dame elfiche di maggior prestigio. In ogni caso, gli abiti sono impreziositi da raffinati ricami e decorazioni, spesso caratterizzati da motivi in iscrizioni quenya tanto elaborate da sembrare illustrazioni.

Tradizione Musicale

La tradizione musicale dei Quenya è fra le più antiche e immutate nel tempo tra le culture elfiche. La massima espressione di questa arte si ritrova nei riti sacri, durante i quali i Tareldar si esibiscono in cori di eccezionale bellezza. Le voci si intrecciano con armonia perfetta, creando melodie potenti e raffinate, quasi rivolte agli dèi stessi.

Rispetto ai Sindar, i Quenya privilegiano la voce rispetto agli strumenti musicali. Tuttavia, fanno ampio uso anche di strumenti pregiati, tra cui spicca l’arpa. La musica quotidiana, non rituale, è spesso composta da una sola voce accompagnata da arpa o strumenti simili. I testi trattano sovente di antiche storie d’amore o d’avventura, e più raramente di temi silvani.

Va segnalato il rapporto con la musica telera, la quale si è nel tempo evoluta in forme ben distinte da quella quenya. Nonostante le differenze, le danze dei Teleri – specialmente quelle più arcaiche e meno “umanizzate” – suscitano una certa curiosità tra i Tareldar. La fama dei Teleri come Lindar, ossia cantori, è riconosciuta anche ad Ondolinde, dove talvolta vengono invitati celebri musicisti telero a esibirsi in occasione di concerti ufficiali presso la Splendente.

Rapporto con gli altri popoli

I Quenya mantengono una visione del mondo influenzata dalla loro antica eredità e dal forte senso di collettività elfica. È importante distinguere, nel loro approccio, i membri della collettività elfica (Sindar e Teleri) da quelli che ne sono esterni. Mentre i primi sono considerati parte di una fratellanza con origini comuni, verso i secondi prevale un atteggiamento più distaccato o critico.

Rapporti con i Sindar

I Sindar, detti anche "Grigi", sono generalmente visti con rispetto dai Quenya. Viene ammirato il loro legame profondo con la natura e l'armonia con il mondo creato da Beltaine e Suldanas. Tuttavia, i Quenya temono che l’eccessiva chiusura dei Sindar e la loro tendenza all’isolamento possano condurre a un decadimento culturale simile a quello che, in passato, portò gli elfi sull’orlo dell’estinzione. Questo timore si riflette, ad esempio, nella conservazione di testi antichi provenienti da Tiond nelle biblioteche di Ondolinde. I Quenya, pur riconoscendo l’importanza dell’equilibrio naturale perseguito dai Sindar, considerano pericoloso l’allontanamento dalle tradizioni elfiche.

Rapporti con i Teleri

I rapporti con i Teleri appaiono spesso segnati da una certa incomprensione, che tuttavia assume la forma di un dissidio familiare più che di una vera ostilità. I Quenya riconoscono nei Teleri una componente fondamentale della collettività elfica, in quanto il loro spirito aperto e il loro contatto con il resto del mondo contribuiscono a evitare la stagnazione culturale. Sebbene i Quenya vedano nei Teleri una tendenza all’eccessiva "umanizzazione", ritengono che essi svolgano un ruolo importante nel preservare la vitalità dell'intera stirpe elfica. Non è raro che i Quenya cerchino di ricondurre i Teleri a forme più tradizionali, con spirito fraterno ma condiscendente.

Rapporti con gli Atani (Umani)

Gli Atani, ossia gli umani, sono percepiti dai Quenya come popolo giovane, istintivo e culturalmente acerbo. La breve durata della loro vita e la loro mancanza di coesione li rendono agli occhi dei Quenya impulsivi e imprevedibili. A differenza dei Teleri, che spesso mostrano interesse e curiosità verso gli umani, i Quenya tendono a mantenere un distacco più marcato. Tuttavia, la loro antica saggezza li porta a riconoscere che alcuni umani possiedono qualità degne di stima. Tali individui vengono talvolta designati con appellativi elfi quali Elendil, Meldo o Sha’quessir (in sindarin Mellon), ovvero "amico degli elfi". Il senso di superiorità dei Quenya verso gli umani viene solitamente mascherato dietro una facciata di rispetto formale o condiscendenza, difficilmente rivelata apertamente.

Rapporti con i Pereldar (Mezzelfi)

I Pereldar, ovvero i mezzelfi, sono oggetto di sentimenti ambivalenti. I Quenya li considerano un esito imperfetto dell’unione tra stirpi, una deviazione dalla purezza del sangue elfico. Vengono visti con malinconia, come esseri destinati a rimanere incompleti. Storicamente, vi furono tentativi di integrarli nella società di Ondolinde, ma tali iniziative ebbero scarso successo. L’approccio prevalente, più vicino alla visione tradizionale di Lorac, è di assegnare ai mezzelfi ruoli periferici o di trasferirli ai margini del reame o nel mondo degli uomini. Tuttavia, il sangue elfico è ancora riconosciuto come elemento di valore, e un mezzelfo è solitamente considerato superiore a un umano comune in termini di potenziale.

Rapporti con i Naucor (Nani)

I Naucor, o nani, sono considerati un popolo profondamente distante dagli elfi, sia culturalmente sia spiritualmente. Permane tra i Quenya un'antica diffidenza, retaggio di antichi conflitti. Se da un lato esiste un vago senso di colpa per le dure condizioni imposte ai nani in passato, dall’altro, con il loro ritorno alla superficie e l’allontanamento dal contesto elfico, questi sentimenti si sono affievoliti, lasciando spazio a un atteggiamento di generale indifferenza e distacco.

Leggende

La cultura quenya è profondamente permeata da una vasta e antica tradizione di storie, leggende e cronache che affondano le radici nei tempi remoti. Queste narrazioni spesso ruotano attorno a manufatti di grande significato storico, magico o simbolico, i cui nomi e poteri sono tramandati con rispetto e riverenza. Di seguito si riportano alcuni dei reperti e delle leggende più noti nella memoria collettiva dei Tareldar.

Otso Enyalar Nosseo — Le Sei Memorie della Casata

I Quenya sono la stirpe che più di ogni altra ha preservato le proprie origini e i simboli dell’antichità. Tra i più celebri manufatti associati alla loro casata, sei in particolare sono ricordati come le "Memorie della Casata", presumibilmente custodite nella città di Ondolinde:

  • L’Occhio verso le Stelle: conosciuto anche come Telescopio, fu creato su commissione di Aran Finwerin seguendo antiche pergamene. Secondo la tradizione, oltre ad essere uno strumento per l’osservazione degli astri, conterrebbe segreti legati alla visione dei destini degli Eldar.
  • La Sala degli Spiriti: un luogo leggendario nascosto fra gli Elverquist, ove si dice che antichi spiriti si riuniscano per rispondere alle domande sugli eventi del passato, del presente e del futuro.
  • Le Voci di Fuoco: riferite a maestose creature cavalcate un tempo dai capi della casata. Questi animali, detti Hirayu nella lingua antica, erano rapidi e potenti.
  • La Bianca Tunica: indumento appartenuto alla mitica Bianca Dama, a cui sono attribuiti poteri magici straordinari.
  • La Porta dei Valar: un portale mitico capace di condurre verso le dimore divine e oltre.
  • Il Bianco Albero: settima e più importante Memoria, già trattata in altre sezioni.

Attualmente, esistono prove concrete solo per l’esistenza dell’Occhio verso le Stelle e del Bianco Albero, mentre delle altre Memorie non è possibile verificare l’autenticità, né gli Alti condividono facilmente informazioni in merito.

Rië Aranion — La Corona dei Re

Una delle leggende più note narra dell’antica Corona dei Re elfici, detta Rië Aranion. Si tratta di un diadema forgiato in una lega luminosa sconosciuta, incastonato con gemme rare e inciso con rune elfiche di grande potere. Secondo il mito, la corona sarebbe ancora nascosta da qualche parte in Ardania e si mostrerebbe solo a un elfo degno di rifondare un impero elfico unificato. Numerosi Tareldar hanno cercato questo cimelio nei secoli, ma finora nessuno ha mai avuto successo.