La nascita di Ardania, per come viene tramandata dalle stirpi elfiche, coincide con l’emergere del Tulip, un albero primigenio da cui scaturì ogni cosa. Da questo essere sacro germogliarono tre entità divine: Suldanas, Beltaine e Luugh. I primi due si unirono in un legame d’amore durato ere, finché la gelosia del terzo non li divise. A causa di questo tradimento, Luugh fu respinto dal Tulip stesso. Dal legame tra Beltaine e Suldanas nacquero Morrigan ed Earlann, e dalle lacrime di gioia della dea per la loro venuta al mondo presero vita gli Elfi.
Ognuno degli dèi contribuì alla creazione del mondo, impiegando frammenti del Tulip per modellare i propri dominii, e da allora veglia sulle sue creature. Anche Luugh, entità dai tratti ambigui e androgini, diede origine a una progenie: Kelthra, portatrice di corruzione e madre delle deformità e delle pestilenze che ancora infestano Ardania.
All’origine della storia del mondo, la religione rappresentava il fulcro della vita elfica. Le divinità e i rituali permeavano ogni aspetto della quotidianità e dell’organizzazione sociale. Tuttavia, a seguito delle “vittorie” riportate dai Decadenti, questa centralità si è affievolita, e la collettività elfica ha sviluppato una visione dell’esistenza meno intrisa di misticismo. Una trattazione esaustiva delle divinità può essere rinvenuta nel pantheon elfico, ma in questa sede è opportuno soffermarsi sugli aspetti sociali della religione e sulle funzioni clericali.
Una differenza fondamentale tra il clero elfico e quello umano o nanico risiede nella credenza in un’unica entità primordiale: il Tulip. Ogni elfo che prenda i voti religiosi, indipendentemente dalla divinità patrona, giura innanzitutto fedeltà al Tulip, da cui i primi tre Dei derivano. Esso è considerato il fulcro assoluto della fede elfica: le divinità sono onorate in quanto manifestazioni o figli del Tulip, che rappresentano collettivamente un riflesso della Collettività Elfica stessa. Anche se meno presente delle sue emanazioni, il Tulip è comunque percepito come un’entità reale e tangibile.
Per tale ragione, tutti i membri del clero sono detti “Germogli del Bianco Padre”, espressione elfica che richiama direttamente il Tulip. Questo titolo è assegnato indipendentemente dalla divinità servita, poiché ciò che conta è l’origine comune della loro vocazione.
Un elfo che desideri intraprendere la via del Tulip viene prima giudicato da un conclave clericale di riferimento. Se ritenuto degno, è affidato a un sacerdote anziano che ne valuterà le attitudini. Questi, dopo un’attenta osservazione, riferisce al consiglio quale sia il cammino più adatto per il candidato. Solo allora l’aspirante sarà indirizzato verso la divinità patrona e le funzioni più consone alle sue inclinazioni.
Il clero elfico ricopre ruoli fondamentali nella società, ben oltre le funzioni religiose:
I culti legati a Luugh e Kelthra sono avvolti nel mistero. Nella Collettività Elfica questi culti non trovano terreno fertile. È noto che esistano adepti anche al di fuori delle comunità drow, ma vivono spesso isolati o nascosti. Solo raramente riescono a fondare comunità più stabili, come accadde a Nolwe e, più recentemente, a Barad Dhaerim.
Nessuna funzione religiosa è dedicata al culto della morte. Questo è dovuto a una peculiarità biologica: il corpo dell’elfo non lascia traccia dopo il trapasso. Questo ha spinto molti umani a chiedersi il significato delle tombe elfiche. In verità, queste non sono sepolture, bensì monumenti commemorativi o simboli del ricordo. Sono rarissime, poiché il concetto stesso di sepoltura non appartiene alla cultura elfica.
Gli elfi, giunti alla fine del loro ciclo vitale, “sentono” l’approssimarsi della morte come una melodia: la “Canzone del Tulip”. Quando questa sensazione li pervade, si mettono in cammino verso un luogo prescelto per il trapasso, dove saranno giudicati degni o meno di tornare al Tulip. Spesso, questo luogo si trova vicino a dove sono nati o hanno vissuto. Una volta giunti lì, entro sei-nove giorni avviene il trapasso, segnato da un fenomeno di autocombustione spontanea: il corpo dell’elfo si dissolve in una polvere sottilissima che il vento disperde. Soltanto le persone che l’elfo ha scelto possono assistere a questo evento, anche se nella maggior parte dei casi l’elfo muore in solitudine. È considerato un grande onore accompagnare un amico nel luogo prescelto e sedersi con lui a rievocare il passato.
Non esistono sacerdoti preposti a celebrare matrimoni, poiché il matrimonio non fa parte della cultura elfica. Il legame amoroso è sancito con un “abbraccio d’amore” sotto un albero, in ricordo dell’unione tra Beltaine e Suldanas. La coppia, dopo aver annunciato pubblicamente l’intenzione mesi prima, inizia a vivere insieme. La solidità del legame è dimostrata dalla durata della convivenza. Un secondo abbraccio d’amore sarebbe considerato una grave offesa agli Dei.
Questa concezione induce molti elfi a non legarsi stabilmente, suscitando critiche da parte degli umani, che li considerano promiscui, e disprezzo dai nani, che li vedono smidollati. Anche per questo, nel continente elfico nascono pochi bambini. Raramente, alcune coppie con legami forti con gli umani si sposano pubblicamente con rito officiato dai sacerdoti di Suldanas, ma questi eventi sono malvisti, soprattutto dai nostalgici del pensiero “Imperialista”.
Alcune minoranze elfiche seguono culti non ufficiali. Un esempio è quello del Drago di Smeraldo, venerato soprattutto nella città di Tiond, dove si racconta vi fossero decine di devoti pronti a erigere un tempio in suo onore. La leggenda si tramanda da oltre novecento anni, e ogni sindar ora trasferito a Valinor crede nel Drago come protettore del Tulip.
Negli ultimi duemila anni è rinato anche il culto dell’Albero Bianco. Guidati da Terlaj il Dotto, scomparso recentemente, più di duecento individui hanno fondato una comunità agreste a Ondolinde, venerando l’albero-simbolo della città come un’entità senziente. Il concilio locale ha riconosciuto questa come una minoranza religiosa, pur restando sotto il patrocinio della Chiesa di Suldanas.
Il Conclave Clericale è un’istituzione religiosa distinta dai concili cittadini. Ha carattere generale, simile al Concilio Millenario. Ne fanno parte i patriarchi e le matriarche delle principali divinità del pantheon elfico, con esclusione dei rappresentanti di Luugh e Kelthra. Il conclave si riunisce in occasione di eventi religiosi di particolare rilievo, mentre la gestione quotidiana è affidata agli ordini religiosi cittadini.
Una critica frequente da parte di osservatori esterni è che il conclave, avendo il potere di nominare autonomamente i propri membri e successori, si autorigenera senza alcun controllo da parte di entità esterne. Tuttavia, questa struttura è rimasta immutata da tempo immemore, e tale stabilità è ritenuta prova della sua efficacia e validità all’interno della Collettività Elfica.
In un tempo senza tempo, in un mare sconosciuto, emerse un albero chiamato Tulip. Era alto diversi piedi e la sua circonferenza misurava milioni di pollici. Dalle radici di Tulip nacque la terra nuda e spoglia, un luogo desolato dove non vi era alcuna forma di vita, tranne il maestoso albero stesso. Da Tulip, come i frutti che maturano su un albero, nacquero tre esseri perfetti: uno femminile, uno maschile e uno ermafrodita. Questi esseri si denominarono Beltaine, Suldanas e Luugh.
Beltaine e Suldanas si amarono e per molte ere giacquero abbracciati, ma il mondo era troppo ristretto, e nulla poteva nascere o crescere in un simile deserto battuto dai venti. Così, per lungo tempo, il mondo rimase vuoto. Finché un giorno Luugh, accecato dalla gelosia, creò l'odio e lo concentrò contro i due amanti. La terribile forza dell'odio riuscì a separarli. Fu così che Suldanas creò la Vendetta, un sentimento implacabile, e scacciò Luugh da Tulip, dove egli si rifugiò sotto le radici dell'albero.
Nel frattempo, Beltaine, rimasta incinta, partorì due figli. Il primo giorno nacque Earlann, in serenità, mentre il secondo, dopo terribili doglie, venne alla luce una femmina: Morrigan. Gli elfi raccontano che la nascita di questi figli fu accompagnata dalle lacrime di gioia di Beltaine, le quali si trasformarono in creature perfette che somigliavano a lei e a Suldanas. Per onorarli, Beltaine creò le foreste utilizzando le foglie di Tulip, Earlann creò laghi e fiumi dalla linfa dell'albero, mentre Morrigan, dai fiori splendenti che crescevano sugli alberi, creò la luna e le stelle. Suldanas, infine, creò gli animali, ponendoli a difesa degli elfi e del creato.
Ma anche Luugh, cacciato e caduto sotto la terra desolata, aveva procreato e dato vita a una creatura terribile: Kelthra. Questo essere mostruoso, metà ragno e metà umanoide, era dotato di tre paia di gambe nere, ricoperte da una peluria scura e affilata, e possedeva un veleno che causava sofferenze indicibili prima di portare alla morte. Luugh usò Kelthra per i suoi scopi abominevoli, e grazie alla creatura, nacquero tutte le malvagie e spregevoli creature che infestano il mondo. Dal fetido alito di Kelthra vennero le pestilenze e le malattie, mentre la sua mente perversa corrompeva l'anima degli esseri primigeni, seminando vizi e malvagità.
Luugh, inoltre, possiede gli spiriti degli esseri inferiori e li spinge a compiere atti spregevoli contro i figli degli Dei, gli elfi. Gli spiriti di questi esseri, dopo la morte, vengono giudicati e inviati nel profondo della terra, dove Luugh li sottopone a terribili torture.
Col passare del tempo, i giovani Dei decisero di regnare sugli elementi del creato. Earlann, divenuto il più saggio tra gli Dei, governò le acque e tutte le creature che le abitano. Morrigan, che aveva creato la magia dal cielo, la donò a molti elfi alla loro nascita, e fece dei sogni e degli inganni uno sprone per il miglioramento. Beltaine, dalla cima dell'albero Tulip, osserva e protegge gli elfi, mentre Suldanas li giudica e li ammette nel cuore di Tulip.
Un giorno, tuttavia, Tulip morirà, e con lui gli Dei. Il mondo, privo di rifugio, ritornerà nel nulla da cui è nato, e tutto ciò che esiste sarà spazzato via, in un eterno ciclo di morte e rinascita.
All’alba dei mondi e delle genti, quando la luce era nel buio e il buio nella luce, e i cieli si confondevano con la terra, dal Caos primigenio prese forma il Tulip, il Grande Albero. Il suo nutrimento era lo stesso Caos che lo aveva generato e che ora lo cingeva in uno stretto ma dolce abbraccio, rendendolo forte e rigoglioso. Dopo innumerevoli primavere, esso generò il primo fiore, che racchiudeva in sé tutti i colori e tutti i profumi. Tra i suoi splendidi petali nacque il primo frutto: Luugh, l'Essere Perfetto. Una piccola vita che ebbe la comprensione del Tutto e, crescendo e apprendendo i suoi segreti, il potere su di esso.
Trascorse la prima stagione dell’Era delle Origini. Il Tulip produsse due frutti minori, Suldanas e Beltaine, gli Opposti. Essi erano incompiuti: la loro imperfezione generava frustrazione e acredine. Così la Seconda Era vide la nascita dei primi sentimenti: l’amore e la gioia, poiché con essi Luugh accolse la venuta dei due fratelli, dedicando loro le sue cure come fosse loro genitore, istruendoli su tutto ciò che aveva appreso fino ad allora. I due gemelli crescevano e diventavano sempre più ingordi di sapienza e potere, vedendo nel loro fratello maggiore una meta di perfezione da imitare ed eguagliare. Tuttavia, non riuscivano a trovare dentro loro stessi ciò di cui avevano bisogno per raggiungere il loro scopo, e iniziarono così a contendersi con furia ciò che entrambi bramavano, come due fiamme che cercano di divorarsi a vicenda per ardere più alte.
Sul Tutto si scatenò la potenza dell’Ira, dell’Odio e dell’Invidia. Venne quindi la Terza Era, l’epoca delle divisioni e della spartizione dei domini. Tra lotte e conflitti ebbe principio il tempo; luce e buio vennero separati; dai quattro regni elementali nacquero mari, cieli e terre.
La Quarta Era fu quella della Creazione. Per porre fine agli scontri dei fratelli, Luugh volle regalare loro la bellezza di nuove creazioni divine che avrebbero popolato le terre, i cieli e i mari su cui pretendevano il possesso. Vennero plasmati esseri viventi di straordinaria perfezione e sterminate distese di prati e alberi. Infine, il capolavoro: la nascita degli Elfi, l’orgoglio di Luugh. Semplici vite su cui Egli pose la propria saggia guida, che amava e da cui era profondamente amato.
Ma in questa stessa Era emerse la discordia: gli Elfi riconobbero solo in Luugh il loro Padre e Guida, ignorando i due fratelli. Colmi di gelosia, Suldanas e Beltaine tentarono di creare a loro volta, ma la loro imperfezione diede origine solo a esseri deformi e mostruosi, incapaci di armonia. Così ebbero origine il dolore e la tristezza, ciò che Luugh portava in cuore con la consapevolezza della natura imperfetta ed egoistica dei Gemelli.
Si aprì la Quinta Era, il declino dei mondi. I Gemelli tramarono contro il Fratello: con menzogne e inganni esiliarono il Perfetto, prendendo possesso del creato. Ma Luugh, prima di essere allontanato, lasciò tracce del proprio disegno e della propria memoria nei suoi figli prediletti, affinché non dimenticassero la sua esistenza.
Seguì la Sesta Era. Dai Gemelli nacquero Earlann e Morrigan, eredi della loro stessa imperfezione. Luugh generò la sua ultima discendente, Kelthra, la Figlia, che avrebbe portato nel mondo non grazia né consolazione, ma il peso del veleno, della malattia e della sofferenza: strumenti che, pur terribili, fortificano chi li sopravvive e segnano la linea del sangue con purezza e resistenza.
Con la nascita di Kelthra, il ciclo della creazione giunse a compimento, e la Settima Era ebbe inizio. Essa vide avverarsi ciò che Luugh aveva predetto per i Gemelli: Beltaine e Suldanas, con inganni e promesse mendaci, conquistarono i popoli elfici, trascinandoli in lotte fratricide. Le grandi casate furono divise, la guerra si diffuse tra i discendenti degli Eldar, e i pochi che ancora custodivano la verità delle origini vennero sconfitti ed esiliati.
Da allora, l’inganno regna e i popoli elfi vivono nell’ombra di un dominio usurpato. Ma la Profezia del Padre annuncia che Luugh tornerà con la Figlia al suo fianco, e allora l’inganno dei Gemelli sarà spezzato, e con esso il saggio dominio di Luugh sul mondo sarà ripristinato.
“Non v’è Equilibrio senza Giustizia, non v’e’ Giustizia senza Vendetta; se seguirete i suoi principi Egli guiderà la vostra mano, lame e frecce caleranno implacabili sui nemici degli Elfi.”
“Padre degli dei”, “Dio dello Spirito Animale, della Furia della Foresta e delle virtù della natura”, “Dio della Vendetta”, “Dio Cacciatore”.
Il colore associato a Suldanas è il rosso, colore di fiamme e sangue. Portare indosso la parte di un animale selvaggio, da un ossicino ad una pelliccia è considerato un tipico omaggio al Padre degli Dei.
Suldanas è rappresentato come un elfo alto, dalla muscolatura asciutta ma potente, con capelli color delle foglie d’autunno e occhi d’ambra. Quando adirato, i suoi occhi divengono fiamme ardenti e i capelli assumono un rosso acceso. È raffigurato con armature di pelle scura, incise con rune elfiche in inchiostro verde e nero, e un mantello nero col cappuccio abbassato a rivelare lo sguardo implacabile.
Il suo arco leggendario, Acharn (“Vendetta”), è scolpito in legno runico e reca incisi, in rosse scritte elfiche, i nomi di coloro che devono essere puniti. Ogni giuramento di vendetta fatto in suo nome aggiunge un nome all’arco; ogni vendetta compiuta lo cancella.
In forma bestiale, è noto come Caran-Carch, la Zanna Rossa, un enorme lupo dal manto rossiccio che insegue i profanatori della foresta. Alcuni miti lo descrivono anche come cavaliere del Drago di Smeraldo, che conduce in battaglia nelle epoche più oscure.
Secondo le leggende, Suldanas e la gemella Beltaine nacquero dall’Albero Primordiale, il Tulip, che aveva già generato il Perfetto Luugh. A differenza del fratello maggiore, Suldanas non raggiunse la piena comprensione del Tutto, ma ne intuì l’equilibrio e le leggi primordiali. Con Beltaine condivise una brama di conoscenza e creazione, che li condusse, in un tempo remoto, a generare stirpi corrotte. Da allora, Suldanas si oppose più volte a Luugh, contrastando i suoi tentativi di alterare il ciclo naturale.
Fu Suldanas a insegnare agli elfi la sacralità della vendetta come mezzo per ristabilire l’equilibrio violato, e a guidare i figli della foresta contro chi osava profanarla. Si racconta che la sua prima manifestazione tra i mortali fu nella forma di un gigantesco lupo dal manto rosso fuoco, incarnazione della sua ferocia, astuzia e legame eterno con le fiere. Da quell’apparizione nacque il mito del Caran Carch, la “Zanna Rossa”, considerato il primo e più sacro dei lupi.
Quando la corruzione minacciò la selva e i suoi difensori, Suldanas forgiò un Guardiano dalla propria essenza divina, inviandolo in aiuto ai suoi sacerdoti e cacciatori. Questo spirito prese la forma del Caran Carch: un lupo enorme dal manto scarlatto, ardente di vendetta, il cui ululato faceva tremare perfino gli spiriti antichi. Simbolo di forza, giustizia e protezione, incarnava la volontà stessa del dio.
Si narra che una delle sue zanne, spezzata nella difesa della foresta sacra, sia oggi conservata come reliquia dai sindar, a eterna memoria del patto tra Suldanas e il suo popolo. Ancora oggi, nei momenti di bisogno, il Guardiano si manifesta come spirito guida e protettore, evocato dai sacerdoti del dio per difendere ciò che è sacro secondo la legge implacabile della natura.
Suldanas è venerato dagli elfi come il Padre degli Elfi e degli Dei, ritenuto il progenitore di Morrigan ed Earlann, divinità profondamente radicate nella cultura e nello spirito elfico. È l’Eterno Antagonista di Luugh, che rappresenta per i suoi seguaci un principio corruttore e un agente di squilibrio. Suldanas incarna la forza della natura, la giustizia selvaggia, e soprattutto l’equilibrio sacro tra vita e morte, preda e cacciatore, individuo e collettività.
Non combatte per il bene o per il male in senso assoluto, concetti poco rilevanti nella visione cosmica degli elfi, ma si adopera perché ogni cosa segua il proprio corso naturale. Signore delle fiere, fu egli a porre gli animali nel creato e ad insegnare agli elfi il rispetto reciproco con essi.
I fedeli di Suldanas sono spesso appartenenti alla stirpe elfica dei Sindar, profondamente legati alla natura e ai suoi cicli. Vedono in lui la perfetta incarnazione del legame sacro con la foresta e ne seguono i dettami con devozione quasi ferrea. Venerato come guida e vendicatore, Suldanas è per loro un faro nelle tenebre e un araldo della giustizia primordiale. I suoi seguaci vivono secondo i ritmi ancestrali del mondo naturale e si fanno spesso protettori delle foreste, degli animali e dei luoghi sacri. Non di rado agiscono come giustizieri e vendicatori, pronti a colpire chiunque minacci l’equilibrio della vita. Il loro profondo rispetto per il ciclo di vita e morte li rende talvolta fatalisti, e la loro intransigenza verso la corruzione o l’alterazione della natura può sfociare in atti spietati o nella chiusura verso culture che non condividono i loro valori.
I sacerdoti di Suldanas sono guide spirituali e marziali, profondamente immerse in una vita di simbiosi con la natura. Studiano le stelle, ascoltano il vento e leggono i segni degli elementi per interpretare la volontà del dio e dei Valar. Guerrieri, strateghi e cacciatori esperti, conducono le loro vite con una disciplina ascetica, spesso partecipando in prima linea alla difesa delle terre elfiche. Le loro cerimonie, solenni e cariche di simbolismo, celebrano l’equilibrio tra vita e morte, che considerano fasi complementari dello stesso disegno sacro. Tuttavia, il loro zelo può spingerli verso una visione dura e inflessibile del mondo: la vendetta rituale e la giustizia personale sono per loro espressioni legittime del volere divino, anche quando ciò comporta sofferenza o morte. Alcuni li accusano di essere eccessivamente rigidi o crudeli, soprattutto verso chi manipola la natura tramite magia o tecnologia, ma per i loro devoti, questa severità è la prova del loro sacro impegno.
A Tiond si celebra la Cerimonia del Drago di Smeraldo, in cui le scaglie del Drago benedicono il nuovo anno. I Quenya mantengono la Cerimonia del Giudizio Infuocato, per guidare i regnanti alla rettitudine. Il gruppo religioso più noto è quello dei Lupi di Fuoco, attivi in tutta Doriath, custodi del culto e guerrieri spirituali.
Suldanas è profondamente venerato dai Sindar, che lo considerano il più vicino al loro sentire: un Dio della giustizia naturale, del sangue versato per l’equilibrio, della foresta viva e sacra. Tra gli elfi silvani il culto è quasi totalizzante: Suldanas rappresenta la sacralità stessa della natura.
Tra i Quenya il culto è meno diffuso ma comunque presente: qui vengono enfatizzati i suoi aspetti legati alla giustizia e all’ordine cosmico, con un’accezione più spirituale e meno brutale. I Teleri, invece, lo invocano solo per scopi pratici, come benedizioni di caccia o guerra.
“Proteggete la Vita, la Creazione, e vostri fratelli, onorate il Passato, servendo così la futura Discendenza. Unitevi e Generate, rinnovando la Creazione.”
“Dea della Vita e delle foreste”, “Regina della Luce”, “la Grande Madre”.
Il colore di Beltaine è il Verde, il colore delle foreste. Portare un fiore o ghirlande di fiori tra i capelli è un classico omaggio in onore a Beltaine.
Beltaine è raffigurata come una splendida elfa matura dal portamento materno, con capelli d’oro puro intrecciati in elaborate acconciature. I suoi occhi verdi brillano di luce propria e il volto è solcato da antiche rune luminose, considerate vestigia del pianto gioioso che diede vita agli elfi. Il suo corpo, femminile e sensuale, è avvolto da abiti composti da foglie vive che mutano colore con il ciclo delle stagioni. Nell’iconografia sindar più recente appare anche sotto forma di un cigno bianco dai riflessi cangianti, simbolo di fertilità, grazia e benessere. In epoche più antiche, invece, si manifestava come una maestosa cerva dal manto splendente, segno di purezza e potenza generatrice.
Una delle leggende più antiche narra che gli elfi nacquero dalle lacrime di gioia di Beltaine alla nascita dei suoi figli, gocce che, cadendo sulla terra, si trasformarono in esseri perfetti. Commosso da tanto amore, Suldanas plasmò insieme a lei le prime foreste, usando le foglie dell’albero sacro Tulip. Questi luoghi, ancora oggi, sono considerati i suoi doni più grandi. È inoltre credenza diffusa che il passaggio di un cigno nei cieli di Ardania annunci prosperità e protezione. Quando chiamata in battaglia, si racconta che Beltaine emerga dal terreno brandendo una spada luminosa fatta di legno vivo, simbolo della vita che protegge e combatte per non spegnersi.
sono da sempre sotto la protezione di Beltaine, sebbene le antiche leggende non chiariscano se furono da lei creati o semplicemente accolti e difesi, persino nei momenti in cui portarono disordine e caos. È certo, però, che le fate alate, le stesse che un tempo entrarono in contrasto con i Sindar di Tiond, accettarono infine un patto con la regina Arabella, scegliendo di dimorare a lungo nel laghetto della Verde Città.
Alcune tra loro si legarono profondamente ai sacerdoti della Dea, condividendone il cammino e assumendo il ruolo di custodi e protettrici del culto. Così nacque la figura del Guardiano della Selva, spirito o creatura fatata inviato da Beltaine stessa in aiuto dei suoi figli prediletti, per vegliare sui luoghi sacri e accompagnare chi cammina nel suo nome. Ancora oggi, questi legami perdurano, e le fate che servono Beltaine continuano a custodire silenziosamente i suoi misteri nella foresta.
Beltaine incarna l’essenza femminile primordiale, manifestazione divina della vita, della fertilità e della luce. È la sposa di Suldanas e madre di Earlann e Morrigan, nonché creatrice delle foreste e madre di tutti gli elfi. Ogni nascita è considerata un suo dono, e ogni esistenza una sua benedizione. È venerata come Dea della Luce, creatrice del Sole e fonte della luminosità che splende su Ardania. Simbolo di grazia, armonia e amore, è anche protettrice delle anime, degli spiriti e della tradizione elfica. Il suo legame con la natura e con le stirpi elfiche è profondo e inscindibile, così come il suo ruolo di guida spirituale e madre sacra.
I fedeli di Beltaine celebrano la vita in ogni sua forma, considerandola sacra e inviolabile. Per loro, l’amore — libero, sensuale, spirituale o romantico — è una manifestazione diretta della Dea, e la bellezza è una via di elevazione. Profondamente legati alla natura, vedono nelle foreste, nella fertilità della terra e nell’equilibrio tra le stirpi elfiche i doni più preziosi della Madre.
I beltainiti spesso mostrano una particolare sensibilità estetica e una ricerca della perfezione formale che, talvolta, può sfociare in vanità o in una percezione di superiorità, specialmente nei confronti di chi non condivide il loro culto. Sono fieri custodi della memoria storica, delle tradizioni ancestrali e dei rituali di passaggio. Molti praticano la comunicazione con gli spiriti e venerano i defunti come guide benevole, mantenendo vivo il legame tra passato e presente. Non tollerano chi corrompe l’armonia della natura o profana la sacralità della vita, verso cui mostrano un atteggiamento protettivo, a volte persino fanatico.
Il clero di Beltaine è un pilastro spirituale e sociale tra gli elfi, soprattutto nei regni dove la Dea è maggiormente venerata. Sacerdotesse e sacerdoti incarnano la grazia e la regalità divina della loro patrona, adornandosi con elementi naturali vivi, fiori, foglie, cortecce, che cambiano al ritmo delle stagioni. Rivestono ruoli fondamentali: sono levatrici e guaritori, agricoltori sapienti, custodi delle selve, guide spirituali e ambasciatori tra le stirpi.
Nonostante la loro vocazione pacifica, in tempi di minaccia si rivelano tenaci e anche spietati difensori di ciò che è sacro. Considerano ogni vita come un dono e ogni morte come un passaggio da onorare, proteggendo le anime e vegliando sui luoghi dove dimorano gli spiriti. Le loro cerimonie possono essere solenni o estatiche, intime o pubbliche, e talvolta si svolgono in stati di trance profetica o intensa emotività.
Al vertice del clero vi è l’Ordine delle Madri, con sede a Ondolinde, custode dei riti più antichi e dei misteri della Dea. In essi si tramanda una conoscenza sacra che abbraccia sia la gioia della creazione che il dolore della perdita, sempre nel nome dell’equilibrio e della grazia che Beltaine incarna.
Beltaine è una delle divinità più venerate tra gli elfi. I Quenya la considerano una divinità primaria, simbolo della perfezione luminosa, dell’armonia e della bellezza, nonché madre fondatrice della loro stirpe. Tra i Sindar è la seconda più venerata, particolarmente per il suo legame con la natura e gli spiriti, e per la regina Arabella, che Le dedicò una festa. Anche presso i Teleri è rispettata, pur se meno diffusa: il suo culto è apprezzato per la connessione con le antiche tradizioni quenya e per i riti dedicati alle anime dei dispersi in mare, che la accomunano a Earlann.
Tra le cerimonie più importanti spiccano i Riti della Vita, celebrati ogni sei mesi dall’Ordine delle Madri a Ondolinde. Le feste pubbliche includono danze, canti e unioni simboliche che celebrano amore e fertilità. Le cerimonie segrete avvengono in radure isolate e coinvolgono spesso stati di trance per la comunicazione con spiriti e anime erranti. Esistono anche i misteriosi Riti del Fuoco, legati all’energia primigenia della vita, riservati solo agli adepti più fidati.
“Ascoltate, comprendete, imparate e tramandate. Cosi come il fluire dell’acqua lentamente genera, il fluir d’ogni arte e conoscenza inesorabilmente sarà forza.”
“Dio delle Acque e della Meditazione”, “Signore dei Mari”, “Il Sempre Saggio”.
Colore dedicato a Earlann è il blu, colore del mare di cui è signore. Portare addosso una conchiglia è un tipico modo per venerarlo.
Earlann è spesso rappresentato come un elfo anziano, dalla pelle azzurrina e dai lunghi capelli bianchi come la schiuma del mare. I suoi tratti rivelano la sua natura acquatica: sottili branchie sul collo, orecchie simili a pinne trasparenti, occhi profondi e riflettenti come abissi silenziosi. Veste ampie tuniche celesti ornate da conchiglie, coralli e pergameni fluttuanti, che sembrano fondersi nel tessuto come onde in perenne movimento.
Quando si manifesta nella sua forma divina, può impugnare Orme Falmalion, il “Furia delle Onde”: un tridente in madreperla, avvolto da onde in moto perpetuo. Earlann assume talvolta forme animali simboliche: un delfino, guida benevola e protettiva dei marinai elfici, o Aran Tumno, una gigantesca balena azzurra il cui soffio è presagio di bel tempo e portatore di rivelazioni.
Earlann è il figlio maggiore di Suldanas e Beltaine, e fratello di Morrigan. Dalla linfa dell’Albero Tulip egli creò i laghi e i fiumi, attraverso cui osserva e conosce il mondo. Le acque, che scorrono incessanti, sono per lui come specchi: riflettono pensieri, parole e memorie, restituendogli conoscenza.
Una delle leggende più celebri narra dei Veggenti delle Acque, spiriti inviati da Earlann a viaggiare tra fiumi e oceani per raccogliere verità e racconti. Quando uno di essi completa il proprio cammino, non svanisce: viene offerto a un sacerdote o profeta come guida e protettore spirituale, affinché continui a servire il culto in una nuova forma.
Earlann è il Dio della saggezza, del cambiamento e della contemplazione. Incarnazione delle acque in tutte le loro forme, rappresenta la conoscenza fluida, il mutamento continuo, la ricerca della perfezione attraverso l’evoluzione. È patrono degli ambiziosi, degli studiosi e degli eremiti, ciascuno dei quali trova nel suo culto un diverso cammino: verso la grandezza, la comprensione o il distacco.
Egli è anche il padre delle ninfe marine e il Patrono delle Arti, simbolo della bellezza che si esprime nel sapere, nell’armonia e nella creazione.
I fedeli di Earlann sono mossi da una tensione interiore verso il sapere, la trasformazione e l’elevazione artistica. La loro devozione li porta a una costante ricerca di verità e perfezione: studiosi, filosofi, artisti, marinai e poeti si raccolgono attorno ai suoi templi, ispirati dal suo messaggio.
Essi si distinguono per profondità di pensiero, creatività e rispetto per l’acqua come fonte di vita. Tuttavia, questa dedizione può talvolta trasformarsi in isolamento, e la loro sete di perfezione rischia di divenire ossessione, allontanandoli dalla realtà e dagli altri.
Il clero di Earlann è composto principalmente da elfi contemplativi, spesso dediti alla meditazione lungo corsi d’acqua o sotto cascate, convinti che la quiete e l’ascolto accrescano la potenza spirituale. Questi sacerdoti custodiscono gli antichi saperi elfici, trasmettendoli sia oralmente che attraverso testi preziosi.
Alcuni scelgono la via del mare, esplorando il mondo per ampliare la conoscenza del loro dio; altri si dedicano all’arte, promuovendola come forma di elevazione dell’anima. La loro influenza si estende anche alle istituzioni culturali e accademiche, dove spesso operano come insegnanti, mecenati o archivisti.
Ordini noti includono le Onde Dorate di Rotiniel, centro spirituale del culto, e la Parola Celeste di Ondolinde, celebre per i suoi tornei di scrittura.
Tra i Teleri, Earlann è la divinità principale, venerato come guida e protettore della vita marittima, dell’arte e della crescita spirituale. Essi custodiscono i suoi templi più imponenti e celebrano i suoi misteri con grande solennità.
I Quenya lo onorano come il Dio della Saggezza, invocandolo in momenti di dubbio e nelle decisioni cruciali. Presso i Sindar, il culto è più legato alla simbologia animale e agli aspetti naturalistici della divinità.
In generale, tutte le stirpi elfiche riconoscono Earlann come una figura di armonia e guida, sebbene con sfumature diverse nei riti e nelle interpretazioni.
Tra le celebrazioni più importanti vi è il Rito di Purificazione dei Teleri, durante il quale i fedeli si immergono nel fiume di Rotiniel per mondarsi spiritualmente.
Un’altra festività celebre è la Parola Celeste, una competizione di scrittura e poesia celebrata a Ondolinde, in cui si rende onore all’unione tra ispirazione e sapienza.
Molti rituali si svolgono nei giorni di luna piena o durante le maree eccezionali, momenti in cui si crede che la voce di Earlann sia più udibile attraverso le acque.
“Siate vigili contro i nemici degli Elfi, figli dell’odio e dell’invidia. Magia ed Astuzia siano le armi in questa sacra lotta, ed i Sogni e le Stelle vi suggeriranno la via.”
“Dea della Magia e della Dissimulazione”, “Signora degli Inganni”, “Regina delle Stelle”.
Tra i simboli più rappresentativi di Morrigan vi è una moneta incastonata in un ciondolo, scelta per evocare la duplicità che caratterizza la Dea: ogni faccia riflette un aspetto diverso, proprio come le due nature di Morrigan, benevola e ingannevole. La Luna stessa è un simbolo sacro a lei consacrato, custode di segreti e rivelazioni, con il suo volto visibile che illumina la notte e quello oscuro che cela verità profonde. Il colore a lei associato è il giallo lunare, brillante e ingannevole, emblema della luce che guida e della maschera che cela, perfetto riflesso della sua ambigua essenza.
Morrigan è rappresentata come una giovane elfa dall’aspetto seducente, con abiti aderenti decorati da iscrizioni arcane. Il suo volto è sempre celato da una maschera bipartita: una metà bianca, ornata d’oro, e una nera, intarsiata di ambra. Quando indossa la maschera chiara, appare come una radiosa elfa dai capelli ramati e occhi verdi; quando mostra la metà scura, assume tratti più inquietanti, con capelli corvini, occhi gialli e labbra violacee. Le sue armi simboliche sono un bastone con una falce lunare argentata e un pugnale dalla lama dorata e serpeggiante. Il suo animale sacro è un grande felino, solitamente una lince o una pantera.
Secondo le antiche cronache elfiche, Morrigan è l’ultima figlia di Suldanas e Beltaine, nata da un parto doloroso che ne segnò la duplice natura. È la creatrice dei sogni, strumenti con cui comunica con gli elfi, e colei che donò loro la Magia, ingannando gli altri Dei per farlo. Le leggende narrano che abbia modellato la luna e le stelle utilizzando i fiori del Tulip, simbolo dell’antico splendore elfico. Morrigan è descritta come una divinità ambigua, né buona né malvagia, che si muove tra luce e ombra, mantenendo sempre nascosta la sua vera intenzione. Malgrado ciò, è schierata tra i Valar, opponendosi apertamente al dio Luugh.
Si racconta che Morrigan, Signora della Magia e delle Stelle, accolse un giorno alla propria corte celeste un branco di grandi felini, fieri e silenziosi come la notte. Erano creature selvatiche, dotate di forza primordiale e spirito libero, che avevano riconosciuto nella Dea l’essenza stessa della loro natura: duplice, luminosa e oscura, come la Luna che osserva dall’alto e mai si mostra intera.
Mossi da rispetto e da un’intuizione profonda, quei felini si offrirono a Morrigan, pronti a servirla non per comando, ma per scelta. Colpita dal loro ardore e dalla loro devozione, la Dea li accolse e li plasmò con le sue stesse mani. Li nutrì con la luce delle stelle, infondendo nei loro corpi la grazia del cielo e nello spirito la sapienza arcana. Li addestrò con cura, insegnando loro i misteri del sogno, del silenzio e dell’inganno, e li impiegò come guardiani e guerrieri nelle battaglie più aspre contro coloro che osavano sfidarla.
Col tempo, il più anziano fra loro — un maestoso esemplare dalla criniera d’ombra e occhi come lune dorate, giunse alla fine del suo ciclo vitale. Morrigan allora si rese conto di non aver donato loro l’immortalità. Ma invece di piangere la perdita, sollevò l’intero branco dalla carne e lo rese spirito puro. Diede loro il nome di Custodi Astrali, e li liberò dalla sua corte divina, affinché potessero camminare su Ardania come guide silenziose al fianco dei suoi sacerdoti più devoti.
Da allora, si dice che uno di quei felini possa apparire al fianco di un prescelto. Non emette parola, ma la sua presenza parla all’anima. È il Custode Astrale, inviato da Morrigan stessa per vegliare, guidare e, se necessario, colpire in suo nome.
Morrigan non è né buona né malvagia. Come la Luna che incarna e rappresenta, si muove tra luce e ombra, rivelando solo ciò che desidera e celando il resto dietro un velo di mistero. È una divinità di profondi contrasti, capace di grande generosità ma anche di spietata determinazione. Ai suoi seguaci dona doni straordinari — la Magia su tutti — ma non impone loro un vincolo morale su come impiegarli. Morrigan non predica la virtù né incita alla corruzione: osserva, guida, e talvolta manipola, ma lascia che siano gli uomini e gli elfi a scegliere la via da percorrere.
È proprio questa libertà, questo filo sottile tra il bene e il male su cui cammina con grazia e pericolo, che costituisce il cuore della sua natura divina. Morrigan è astuta, calcolatrice, e profondamente adattabile. Non agisce mai per impulso, ma valuta sempre la via più utile, la strategia più efficace, il volto da mostrare. La sua è una benevolenza che può assumere tratti oscuri, e una crudeltà che può nascondere uno scopo salvifico. Non si lascia incasellare, e ciò le conferisce un potere unico tra i Valar: l’ambiguità come forza.
I suoi fedeli rispecchiano questa dualità. Alcuni sono eruditi, guaritori e custodi della conoscenza; altri sono spie, illusionisti o vendicatori silenziosi. Non esiste un unico volto del culto di Morrigan, così come non esiste un unico volto della Dea stessa. Tutti, però, condividono la convinzione che lo scopo conti più del mezzo, e che la verità si trovi spesso celata fra le pieghe dell’inganno.
Nonostante questa ambivalenza, Morrigan è pienamente parte del consesso dei Valar. Ciò che la distingue dalle divinità oscure non è la purezza dei suoi metodi, ma la nobiltà del fine. È nemica giurata di Luugh, l’ingannatore supremo, la voce del caos e della menzogna perversa. A lui si oppone con ogni mezzo a sua disposizione, senza esitazioni e senza rimorsi. Il suo impegno nella difesa dell’equilibrio cosmico e nella protezione dei mortali dalle influenze corruttrici giustifica la sua presenza tra le Divinità Giuste, anche se il suo cammino è spesso tortuoso e i suoi strumenti, a volte, inquietanti.
In Morrigan, bene e male non sono contrari, ma strumenti da maneggiare con intelligenza. E in questo equilibrio instabile, in questa danza tra verità e illusione, si cela la sua più profonda, indecifrabile grandezza.
I morriganiti sono in gran parte elfi dediti all’Arte Arcana, studiosi di magia e sapienti delle vie oniriche. Spesso dotati di spiccata intelligenza, sono anche eccellenti investigatori e inquisitori, devoti alla lotta contro l’eresia. La loro capacità di interpretare i sogni li rende consiglieri influenti, ma la loro inclinazione all’inganno e all’ambiguità può renderli manipolatori e temuti.
Il clero di Morrigan è composto da sacerdoti e sacerdotesse specializzati nella divinazione e nell’uso avanzato della magia. Sono guide spirituali e, al contempo, inquisitori pronti a smascherare eresie e corruzioni. I rituali religiosi sono spesso accompagnati da visioni e analisi oniriche, e la Cerimonia dei Sogni rappresenta uno dei momenti più sacri per la comunità. Alcuni membri del clero, tuttavia, sono noti per la freddezza e l’inflessibilità con cui esercitano la loro autorità.
La devozione a Morrigan varia significativamente tra le stirpi elfiche.
“L’Odio ed Il Dolore rafforzano Spirito e Corpo. E il Sangue dei corrotti scorrerà e vi purificherà conducendovi all’Ultima Verità.”
“Dio dell’Odio e della Sofferenza”, “Signore del Dolore” tra gli elfi di superficie spesso detto “L’Invidioso”; tra i drow e i suoi seguaci “il Perfetto” o “L’Unico”.
Il simbolo per eccellenza con il quale si identifica comunemente è il sangue, fonte di vita ma anche conseguenza dell’Odio.
Il mese consacrato a Luugh dai propri accoliti è Postapritore, primo mese dell’anno, come primigenia è stata la sua venuta secondo la loro teologia. Portare un anello che è stato immerso nel sangue per tre giorni è un tipico omaggio a Luugh.
La sua figura è di una bellezza inquietante: un elfo con una carnagione pallida, occhi rossi, orecchie lunghe e appuntite, e un corpo che esprime l'eterna dualità tra il maschile e il femminile, senza appartenere pienamente a uno dei due sessi. Indossa una tunica nera, arricchita da ricami d'argento, e i suoi artigli neri sostituiscono talvolta le unghie. La sua bellezza glaciale suscita tanto timore quanto ammirazione.
Non ha rappresentazioni animali; i suoi seguaci, infatti, lo identificano con la perfezione elfica, e gli elfi di superficie preferiscono evitare ogni rappresentazione di questa divinità malvagia. Tuttavia, tra i Sindar, a causa della tradizione di associare gli dei a animali, Luugh è visto come un rettile viscido, simbolo della sua natura perversa.
Luugh è il Dio della Sofferenza e della Malattia, e le sue leggende sono piene di tormenti e oscurità. La sua rivalità con gli altri dei elfi è fondamentale nella sua storia: se da un lato gli altri lo temono per la sua perfezione, dall'altro lo vedono come una minaccia che potrebbe destabilizzare l'equilibrio del creato. La sua separazione dagli altri dei è descritta come una ferita che ha lacerato l'intero pantheon, e in particolare la sua morte è simbolo della sofferenza che segna il cammino verso la purezza. Tuttavia, i suoi seguaci vedono in lui non un avversario, ma il fondatore del loro ideale di perfezione, sebbene a un prezzo terribile. Luugh è il padre di Kelthra e il Signore del Dolore. Le leggende raccontano che le anime impure, al termine della loro vita, vengano condannate da Suldanas a un'eterna tortura nelle profondità, dove Luugh le tormenta senza pietà. Tra gli eretici, però, molti credono che Luugh rappresenti la "pace eterna", desiderando unirsi a lui per sfuggire alla sofferenza del mondo.
Luugh, Signore dell’Odio, della Sofferenza e del Dolore, impiega questi attributi non solo come armi, ma come strumenti per mettere alla prova la fedeltà e l’obbedienza dei suoi seguaci. Dal suo potere oscuro nacque la sua prima e più temuta emanazione: il Guardiano d’Ombra, un guerriero immortale composto di sola tenebra, che incarna l’essenza del sacrificio e della cieca devozione.
Agli albori del culto, Luugh cercava un comandante tra i suoi prescelti, un essere dal cuore d’acciaio e dalla mente implacabile, capace di sopportare dolore e privazioni senza vacillare, un soldato che fosse specchio della sua volontà divina. Ne scelse uno tra i più fanatici, lo forgiò nel tormento e lo addestrò personalmente, insegnandogli che il dolore è potere, e che il sacrificio è la via per la gloria. Quando lo ritenne pronto, Luugh lo privò della carne e del sangue, liberandolo dai limiti del corpo mortale. Così nacque il Guardiano: una creatura composta d’ombra, che si nutriva dell’oscurità stessa, capace di combattere in eterno senza mai stancarsi, senza mai conoscere pietà. Guidò innumerevoli battaglie in nome del dio, annientando nemici, profanando templi e riducendo regni in cenere. Ma un giorno si presentò al cospetto del suo Signore, e reclamò la ricompensa che credeva gli spettasse: un regno tutto suo.
Luugh, però, non dimentica mai il proprio posto né tollera che un suo strumento osi elevarsi al di sopra del disegno divino. Offeso dall’arroganza di colui che egli stesso aveva forgiato, scatenò la sua furia. Con un solo gesto lo frantumò in miriadi di frammenti d’ombra, destinati a non ricomporsi mai più. Da quel giorno, ogni frammento del Guardiano divenne un’emanazione vivente del culto: essi appaiono, silenziosi e implacabili, accanto ai sacerdoti più devoti, ai campioni più crudeli, quando la battaglia lo richiede o quando l’oscurità chiama. Sono scudi d’ombra e lame viventi, servitori fedeli nati dal dolore e legati per sempre alla volontà di Luugh.
Luugh è una divinità controversa, associata al dolore, alla sofferenza e alla purificazione. Venerato soprattutto tra gli elfi oscuri, è conosciuto come il fratello ermafrodita di Suldanas e Beltaine. Secondo la teologia tradizionale, Luugh è stato separato dagli altri dei per l'invidia che essi nutrivano per l'amore che univa il suo abbraccio con i suoi fratelli, e per la sua perfezione che veniva vista come una minaccia. Al contrario, la versione del culto dei suoi seguaci lo ritiene il primo dei dei, il creatore del mondo che fu poi relegato dagli altri dei.
Luugh è il simbolo della sofferenza e del dolore, ma anche della forza, della disciplina e della purezza attraverso la purificazione. Il suo insegnamento afferma che la sofferenza e l'odio sono mezzi necessari per superare la debolezza, per rafforzare il corpo e lo spirito. La perfezione elfica, secondo Luugh, si raggiunge solo attraverso il sacrificio, il dolore e la mortificazione. La fede cieca in lui è fondamentale per i suoi seguaci, che vedono la tortura come una forma sacra di purificazione, un mezzo per elevarsi e raggiungere la vera forza interiore.
I luughiti sono divisi tra quelli che aderiscono al culto distruttivo dei drow e quelli che seguono una visione più complessa e strategica, come esemplificato dalla visione di Lirrath. Per i drow, Luugh è il fondamento del loro credo oscuro, che li spinge a cercare la distruzione totale della collettività elfica e della sua civiltà. Per i luughiti non drow, però, Luugh rappresenta un ideale di perfezione da raggiungere attraverso la preservazione e il controllo, non attraverso il caos e la rovina.
Il clero di Luugh è potente e rispettato tra i drow, i quali vedono i sacerdoti come emissari diretti del dolore e della sofferenza che devono attraversare per avvicinarsi alla perfezione. Questi sacerdoti sono noti per la loro abilità nel seminare sospetto e odio tra i nemici, creando divisioni e indebolendo la coesione sociale per raggiungere il dominio finale. Tra i luughiti non drow, invece, il clero ha una visione più strategica e meno distruttiva, seppur non priva di rigore. I sacerdoti di Luugh non solo venerano la forza e la purezza elfica, ma anche l'arte della sopravvivenza in un mondo in cui le razze inferiori minacciano la supremazia della loro razza.
Tra i drow, la stirpe degli elfi oscuri che vive nel sottosuolo, Luugh è la divinità patrona indiscussa, custode dei principi morali e della verità che fondano la loro società. Il suo culto è centrale nella vita politica e religiosa dei drow, e ne rappresenta l’identità più profonda.
Al contrario, tra gli elfi di superficie la venerazione di Luugh è da sempre proibita e ufficialmente condannata. Tuttavia, piccoli culti segreti hanno continuato a esistere, nascosti nelle pieghe più oscure delle comunità elfiche. Le informazioni su come il culto si esprima al di fuori dei drow sono scarse, ma emergono alcune differenze significative tra le varie stirpi e città.
I Quenya e alcuni Teleri, per la loro cultura tradizionalmente più vicina all’Imperialismo elfico, sembrano trovare in Luugh una figura affine, in particolare per quanto riguarda l’idea della superiorità elfica e del dominio sulle razze considerate inferiori. La loro devozione si esprime attraverso rigidi codici morali e comportamentali, che riflettono un culto più strutturato e disciplinato.
Tra i Teleri residenti a Rotiniel, il contatto diretto con altre razze può accentuare un senso di disprezzo verso di esse, spingendoli a radicalizzare la loro fede in Luugh fino a diventare tra i più fanatici e determinati. I Quenya, invece, tendono a esprimere la loro adesione al culto in modo più controllato e aristocratico, valorizzando il retaggio "nobile" della stirpe e sviluppando queste tendenze in forma più “composta”, ma non meno convinta.
ISindar, infine, si distinguono per un approccio molto diverso: solitamente meno interessati alla supremazia razziale, sono invece ossessionati dalla “purificazione” del Doriath e da un ideale di isolamento etnico e culturale. Il loro culto di Luugh è meno strutturato, spesso informale e poco codificato, ma non per questo privo di fervore. Mantengono una forte attrazione per gli ambienti naturali, in particolare i boschi, e per le pratiche di caccia, che si tratti di prede animali o di “infedeli” da estirpare.
Le festività legate a Luugh sono poche e misteriose. Tra i drow, si celebra il "Sacrificio agli Dei", un rito che prevede la morte rituale di un nemico o di un sacrificato in nome della purificazione. Il "Rito delle Ombre di Luugh" è un'altra cerimonia importante, che ha lo scopo di consacrare un seguace nella sua fede totale e assoluta. Tra i luughiti non drow, le cerimonie tendono ad essere più strategiche e meno sanguinarie, enfatizzando la preservazione della purezza elfica attraverso l'unione e la disciplina, piuttosto che la distruzione.
“Siano il Veleno, la Malattia e la Sofferenza Sacri, perchè con essi diventerete forti, e così la vostra discendenza. Che nulla macchi la purezza e la resistenza del vostro Sangue.”
“Regina dei Ragni”, “La Figlia di Luugh”, “Regina di Veleno e Malattie”.
Portare un qualche gioiello, magari un bracciale, in puro adamantio ed inciso di ragni, è un tipico richiamo a questa Dea. Il colore a lei associato è il bianco, come le sue tele di ragno. Il mese a lei consacrato è Antedain: l’ottavo mese come otto sono le sue zampe.
Kelthra è raffigurata principalmente come una creatura aracnoide, per metà elfa e per metà ragno. La sua forma più diffusa è quella di un colossale ragno nero, coperto di peli ispidi, con la parte superiore del corpo di un’elfa dalla pelle viola chiaro, occhi interamente bianchi e lunghi capelli simili a filamenti di seta. Il volto è segnato da complessi tatuaggi rossi intorno alla bocca e i suoi otto arti aracnidi terminano in aculei velenosi in grado, secondo la leggenda, di uccidere persino una divinità.
Altre rappresentazioni includono:
Un ragno bianco, che può assumere dimensioni variabili (dal bottone al grosso animale da soma);
Un’elfa albina, snella e alta, dagli occhi violetti e canini sporgenti, vestita di abiti bianchi e luminosi, con in mano un pugnale ricurvo di metallo scintillante.
Secondo la mitologia elfica, Kelthra fu generata direttamente da Luugh per portare dolore, caos e prova tra gli elfi. A sua volta, ella creò numerose forme di vita aberranti, tra cui i terathan, modellati a sua immagine e considerati la sua progenie più sacra.
Molti di questi esseri si sono da tempo allontanati dal culto originario, segno – secondo i fedeli – della loro ingratitudine e corruzione. I terathan, tuttavia, restano devoti alla Dea e vengono venerati dai suoi seguaci, in particolare la loro regina, considerata una manifestazione terrena del potere di Kelthra.
Una leggenda particolarmente temuta narra che la Regina dei Ragni combatta usando esclusivamente gli aculei velenosi delle sue zampe, ma in rari casi faccia emergere dalla bocca due enormi chele bianche, grondanti di un veleno corrosivo capace di dissolvere anche le corazze divine.
Secondo i racconti sussurrati nelle profondità dei nidi sacri, Kelthra, Dea delle trame occulte e dei cunicoli dimenticati, assunse un tempo una forma mostruosa per manifestare la propria furia. In quella visione terrifica, il suo corpo era un intreccio di zampe chitinate, aculei velenosi e mandibole pronte a ghermire. Non era una punizione, ma un dono: un volto che seminava terrore tra i nemici e venerazione assoluta tra i devoti. Da quella forma divina nacque l’Eco della Regina, uno spirito sacro che non è altro che l’ombra riflessa della Figlia prediletta della Dea: una sovrana Terathan di potenza ineguagliabile, prima tra tutte le sue progenie, forgiata dalla volontà e dal veleno della divinità stessa.
L’Eco non è un’entità viva nel senso mortale del termine. È una manifestazione della volontà di Kelthra, un simulacro etereo che appare solo ai suoi figli più fedeli, quando l’oscurità si fa profonda e le preghiere più disperate. Quando un sacerdote o una sacerdotessa viene messo alla prova, l’Eco si manifesta silenziosamente: artigli nell’ombra, occhi che brillano come gemme nelle tenebre, e un canto sibilante che ammalia o pietrifica. Si dice che l’Eco possa generare la stirpe sacra — uova d’ombra da cui nascono piccoli servitori aracnidi, legati per sempre al volere del loro ospite. Alcuni di questi esseri si annidano nei corpi dei devoti, fondendosi con essi in un legame indissolubile. Altri vengono liberati nel mondo, predatori silenziosi che compiono la volontà della Regina nei luoghi dove la sua ragnatela non giunge.
L’Eco della Regina non combatte per vanagloria, ma solo per proteggere, punire e ricordare che ogni filo del destino, alla fine, conduce alla tela della Dea.
Kelthra incarna l’aspetto più caotico e imprevedibile del disegno di Luugh. Sebbene i suoi dettami ricalchino in parte quelli paterni – in particolare il culto del veleno come strumento di purificazione e selezione – ella aggiunge una dimensione ulteriore: il caos come mezzo di fede. Tradimenti, imprevisti, malattie e dolore improvviso sono visti non come punizioni, ma come prove divine per forgiare una stirpe forte e consapevole.
È anche considerata dea della fertilità, per la sua capacità di auto-generare progenie. Tuttavia, l’unione sessuale non è vista come un atto d’amore, ma come una manifestazione di dominio, malizia e forza, strumenti attraverso cui plasmare una discendenza pura e indomita.
I fedeli di Kelthra sono pochi, fanatici e spesso malvisti persino all’interno delle società drow. Considerano sacri i terathan e si pongono come loro protettori, ma non si curano delle altre aberrazioni, viste come creature ingrati o degeneri.
Tra i loro scopi vi è la selezione e protezione di una razza elfica forte, l’uso di malattie e veleni come strumenti di prova e selezione, e la diffusione del caos come catalizzatore di trasformazione. I seguaci più fanatici abbracciano anche atti di crudeltà e rovesciamento sociale, per rompere ciò che è stagnante e far emergere il “più forte”.
Il clero di Kelthra è poco diffuso rispetto a quello di Luugh. I sacerdoti e le sacerdotesse della Regina dei Ragni godono di rispetto, ma anche di sospetto tra i drow: vengono visti come fanatici pericolosi e difficili da controllare.
Tra i compiti principali:
Il loro fanatismo li rende spesso utili strumenti nelle mani dei sacerdoti di Luugh, ma anche elementi destabilizzanti.
Sono considerati gravi peccati:
Il culto di Kelthra è proibito tra gli elfi di superficie, e la Dea è vista con repulsione, più ancora del suo stesso padre. Tuttavia, anche tra i figli della luce, vi sono individui o piccoli culti che ne seguono gli insegnamenti, in modi differenti a seconda della stirpe:
Resta comunque difficile delineare comportamenti netti, poiché il culto stesso è imprevedibile, caotico e soggetto a interpretazioni molto personali e pericolosamente eretiche.
Le celebrazioni dedicate a Kelthra sono rare, segrete e spesso violente. Le più note sono:
Entrambi i rituali sono spesso accompagnati da sacrifici, contatto con creature sacre come i terathan, e atti simbolici di dolore o tradimento.