La Triade nanica è il fulcro della spiritualità e della vita sociale del popolo djaredin, composta da tre divinità principali: Korg, il dio della guerra e della forza, Berzale, la dea della giustizia e della comunità, e Dera, il misterioso custode della morte e delle arti arcane. Ognuna di queste divinità rappresenta un aspetto fondamentale della vita dei nani, e la loro influenza permea ogni fase dell'esistenza, dalla nascita alla morte, dall'armonia tra il popolo alla difesa dei loro territori.
La casta sacerdotale dei Rodolan è ristretta a soli dieci membri, con tre sacerdoti per ogni divinità, e il Morgat, gran sacerdote di Korg, che funge da capo del culto. Questa limitata figura sacerdotale si avvale di un’ampia manovalanza per l’espletamento delle sue mansioni, composta da novizi che frequentano la scuola del tempio, soldati, operai e altri individui che vengono assunti per compiti straordinari. Questo sistema permette di garantire la funzione sacra pur mantenendo un equilibrio con la vita quotidiana della comunità.
In principio, quando ancora non esistevano divinità, né popoli, né alcuna forma di realtà, vi era soltanto il nulla: un abisso senza tempo, intriso di caos, oscurità e imperfezione. Ma da quel vuoto informe, prima ancora che qualcosa prendesse forma, emerse un pensiero. Una scintilla sottile e luminosa che portava con sé ordine e chiarezza, la prima espressione della perfezione nel cuore del disordine. Quel pensiero primordiale non rimase solo: si moltiplicò e divenne quattro. Tre di queste manifestazioni presero coscienza e nome: Korg, Berzale e Dera. La quarta, invece, si fece moltitudine e da essa nacque il popolo.
I tre primi nati assunsero la natura degli dèi e presero dimora e dominio secondo ciò che rispecchiava il loro essere. Korg, la forza creatrice, divenne il signore della luce e della potenza, scelto come guida e modello per tutti. Berzale, più vicino alla scintilla originaria, si fece sovrano del sapere, della memoria e della comprensione. Dera, che osservava dal confine tra luce e tenebra, rifiutò ogni titolo: preferì dimorare al limite tra ciò che è e ciò che non è, sorvegliare l’ignoto e custodirne i segreti. Il pensiero trovò espressione nella parola, e fu tramite essa che gli dèi dettero forma a ogni cosa.
Ma la perfezione era ancora lontana. Tra l’essere e il non essere, tra luce e ombra, tra affermazione e negazione, si estendeva un conflitto inevitabile. La guerra divenne condizione essenziale del mondo, espressione dell’equilibrio stesso. Gli dèi si resero conto che solo la quarta parte, quella che era diventata popolo, poteva inclinare la bilancia. Così, dopo la comparsa degli dèi, dopo la nascita del tutto, il popolo prese nome: Djaredin. Non ricevettero regni o grandi poteri, ma furono dotati di movimento, cambiamento, capacità di innovazione. Essi si sarebbero moltiplicati, avrebbero portato la luce dove vi era oscurità, combattuto le tenebre e creato perfezione laddove mancava. Korg giurò di proteggerli e guidarli. Berzale promise che sarebbe vissuto nei loro pensieri, alimentando la loro mente. Dera, emergendo silenzioso dalle profondità oscure, disse soltanto che avrebbe ricordato loro, di tanto in tanto, il loro compito e il loro posto nel mondo.
Là dove non esistono confini né di spazio né di tempo, nella leggendaria Rocca Gemmata, un’immensa montagna tanto vasta alla base quanto tutte le Terre del Nord, scolpita nella roccia più antica e adornata con fasce di metallo e gemme incastonate, si trova la dimora di tutte le divinità dei nani. È in questo luogo che la Triade – Korg, Berzale e Dera – risiede. Korg, il Padre di tutti i Nani, signore della Fucina Eterna, è colui che li ha forgiati sull’Incudine del Tempo, dando vita ai primi del loro popolo, noti come Padri Maestri. Da lui è nato il popolo Djaredin.
Si narra che, nei primissimi giorni della storia, Korg abbia insegnato a ciascuno dei Padri Maestri una diversa arte, rendendoli mastri assoluti nei rispettivi saperi. Furono loro a trasmettere queste conoscenze alle generazioni future: l’arte della metallurgia, l’estrazione dei metalli, la lavorazione della pietra, l’artigianato e ogni mestiere pratico che definisce la civiltà dei nani. Così, attraverso secoli di dedizione e memoria, quei saperi sono giunti intatti fino agli artigiani djaredin di oggi.
Ma il cammino del popolo non era destinato a rimanere pacifico. In vista dei tempi oscuri che li attendevano, Korg, il Dio Guerriero, insegnò loro anche l’arte della guerra. Insegnò come forgiare armi e armature, come difendersi e combattere per onore e giustizia.
Se Korg ha donato ai nani il sapere pratico e la forza per difenderlo, Berzale ha trasmesso loro la parola scritta: fu lui a insegnare la lingua djaredin, il Kyl. Ma il Custode del Sapere non si limitò a ciò. Instillò in loro un desiderio instancabile di conoscenza, una curiosità che abbraccia ogni forma di sapere, con una predilezione per la tecnologia e l’applicazione pratica delle idee.
Infine, Dera, il Signore dei Misteri, agì in silenzio. Nel cuore dei nani pose un senso profondo di rispetto e cautela verso ciò che è sconosciuto o incerto. Da lui deriva la naturale diffidenza dei djaredin, che non si gettano mai in azione avventata, ma preferiscono riflettere e valutare, lasciando che siano la saggezza e la ragione a guidare le loro scelte.
Un antico scritto sacro djaredin racconta, con parole semplici e dense di significato, l’essenza di tale prudenza:
“…la stessa sensazione che si prova a camminare su di un ponte: nonostante sia solido e costruito in maniera ineccepibile, esso rimane tuttavia sospeso nel vuoto. Un vuoto pericoloso, che come tale va tenuto in considerazione, poiché fin quando non si attraversa il ponte, nessuno può sapere se esso reggerà anche quando avrà imboccato la via del ritorno…”. Così i nani vivono, con i piedi saldi sulla pietra e lo sguardo fisso verso l’oscurità, pronti a forgiare luce anche dove sembra impossibile.
“Io sarò per voi un sovrano, un difensore e un padre.
In me troverete luce e difesa.
Siate saldi e non arrendetevi mai, poiché la speranza è con voi”
Il Dio Guerriero, “Colui che guida e difende”, Il Padre.
Fiamma Eterna di Korg: un fuoco davanti a un’incudine, simbolo di speranza e guida.
Incudine del Tempo: simbolo di nascita e protezione.
Korg è rappresentato come una figura maschile imponente, con i tratti tipici dello Djaredin adulto: barba folta, fisico tarchiato e postura salda. È raffigurato seduto su un trono di pietra grezza, scolpita ma non levigata, simbolo della sua forza e della sua stabilità. Indossa una corazza, segno del suo ruolo di protettore, e tiene i piedi ben piantati al suolo, a rimarcare il suo legame profondo con la terra e il suo popolo. Nella mano destra impugna il manico di un’arma, solitamente un’ascia o un martello, la cui testa poggia a terra, pronta all’uso ma in attesa. La sinistra stringe il bracciolo del trono, esprimendo l’attaccamento al suo ruolo di guida e alla solidità del regno. Sul capo porta una corona di mithryl, identica a quella indossata dal Djare, simbolo della continuità tra il divino e il sovrano terreno. Il suo sguardo, fisso e determinato, è rivolto in avanti, a scrutare l’orizzonte come farebbe un padre vigile, pronto a guidare e difendere i suoi figli.
Korg è il dio che occupa il vertice della Triade sacra e incarna l’archetipo del sovrano ideale, il Padre di tutti i nani, colui che secondo la tradizione li ha forgiati sull’Incudine del Tempo e donato loro la vita. La sua figura possente e paterna è il riflesso perfetto dell’identità djaredin: guerriera, operosa, profondamente radicata nella famiglia e nella comunità. Korg veglia sul suo popolo con la fermezza di un re e la dedizione di un padre, benedicendo ogni aspetto dell’esistenza quotidiana, dalla fucina al focolare, dalle sale di guerra alle culle.
Patrono dei soldati, degli artigiani e delle famiglie, Korg è al centro della vita spirituale e materiale dei nani. È lui che ha insegnato l’arte della forgia e della guerra, infondendo nei suoi figli la capacità di plasmare armi e armature insuperabili, e il senso profondo del combattere: non per conquista, ma per difendere ciò che è sacro, vendicare ogni torto e onorare l’eredità degli antenati. La guerra, sotto il suo sguardo, è sempre giustificata da ragioni d’onore.
Nel buio eterno del sottosuolo, Korg è anche simbolo di speranza e di luce. Il suo tempio ospita una fiamma perenne, accesa fin dall’alba dei tempi, che rappresenta non solo la sua presenza, ma anche la vita stessa e la continuità della civiltà nanica. È attorno a quella fiamma che si celebra la nascita di un nuovo djaredin: le donne vi portano i neonati per annunciarne il nome e invocare la benedizione del dio, perché guidi il cammino del piccolo con la stessa forza e rettitudine che anima il suo popolo. Gli artigiani, da parte loro, cercano la sua benedizione sugli attrezzi e sui manufatti, nella speranza che il loro lavoro rifletta la maestria insegnata da lui stesso.
Ogni anno, in segno di gratitudine e devozione, i nani offrono a Korg doni di cibo, birra di radice e opere forgiate con cura, riaffermando così il legame indissolubile tra il divino e la vita concreta della loro gente. In lui trovano guida, protezione e ispirazione: la sua fiamma non è solo un simbolo, ma una promessa che nel cuore della roccia arde ancora il fuoco della loro esistenza.
Korg è considerato il fondatore della razza dei nani, colui che li ha creati e che ha dato loro la vita. La sua influenza si estende su ogni aspetto della vita dei nani, dalla battaglia alla creazione. È lui che ha insegnato agli artigiani a forgiare armi e armature insuperabili, e che ha preparato i nani a difendere il loro regno e le loro terre. La sua figura incarna la resistenza, la speranza e l'onore.
Le leggende raccontano che Korg ha guidato i nani in numerose battaglie eroiche e che ogni anno, al culmine della Festa di Korg, i nani si riuniscono per ricordare le gesta del loro dio e per celebrare il loro legame con lui.
Si racconta che, nei giorni antichi in cui la Triade posò piede su Ardania e diede forma al mondo, Korg, Signore della Forza e della Pietra, riversò il suo potere sulle montagne ancora vergini. Con mani divine e volontà incrollabile, egli plasmò la roccia viva, infondendole l’essenza della sua disciplina e della sua resistenza. Da quella pietra nacquero esseri colossali, compagni silenziosi e incorruttibili, creati non solo per servire nella costruzione della Rocca Gemmata, ma anche per custodirne i segreti più profondi.
Queste creature, conosciute oggi come Baluardi di Korg, non sono semplici golem, ma manifestazioni del volere stesso del dio, forgiati nella sua fucina divina, temprati nel fuoco dell’ordine e del dovere. Quando l’opera fu compiuta, Korg non li distrusse, ma li fece addormentare nelle viscere delle montagne, dove si confusero con la pietra da cui erano nati. Immobili e silenti, si dice che veglino ancora oggi, indistinguibili dal granito o dalla gemma grezza.
Secondo la tradizione degli djaredin, solo i sacerdoti più puri e devoti sono in grado di risvegliarli. Non basta una preghiera: serve un cuore saldo come il ferro, mani callose dal lavoro e uno spirito temprato dalla fede. Quando il bisogno è grande e la minaccia incombe, il richiamo del sacerdote può ridestare il Baluardo, che si leva come un colosso tra le ombre, pronto a difendere i figli di Korg con la stessa forza con cui fu scolpito.
La sua comparsa è rara, e quando avviene, è sempre accompagnata da un profondo tremore della terra, come se la montagna stessa approvasse il risveglio del suo antico guardiano. Nessun mortale può comandarlo, ma esso riconosce il volere del Dio e risponde solo a coloro che lo servono senza esitazione, con cuore saldo e martello in mano.
I seguaci di Korg, il Fabbro Eterno, incarnano la dedizione assoluta all’onore, alla forza e alla tradizione. Principalmente guerrieri e artigiani, i suoi fedeli vivono secondo i dettami della disciplina e della lealtà, temprati dalla fucina della vita e dal clangore della battaglia. Ogni aspetto della loro esistenza, dal lavoro quotidiano alla guerra, è un atto di devozione.
I guerrieri che seguono Korg non brandiscono le armi per gloria personale, ma per proteggere la propria stirpe o vendicare torti subiti: la giustizia, per loro, è un dovere da compiere con fermezza, anche a costo della vita. Tuttavia, questo profondo senso del dovere può sfociare in un eccessivo attaccamento al conflitto, rendendoli talvolta troppo inclini alla violenza o riluttanti a cessare le ostilità.
Gli artigiani, invece, vedono in Korg il protettore dei mestieri nobili e del lavoro ben fatto. Forgiano armi, armature e strumenti con meticolosa precisione, spesso accompagnando l’arte del fabbro con preghiere e rituali. La loro maestria è rinomata, ma la rigidità dei loro standard può rendere difficile l’accettazione di nuove tecniche o approcci diversi dalla tradizione.
Il carattere granitico dei devoti di Korg li rende forti, incorruttibili e indomiti, ma spesso anche diffidenti verso ciò che è estraneo alla loro cultura. Il cambiamento è guardato con sospetto, e l’apertura al compromesso è rara. La loro lealtà è incrollabile, ma chi non ne condivide i valori può sentirsi escluso o giudicato.
Il clero di Korg è formato da sacerdoti guerrieri, che uniscono la fede alla pratica marziale. Addestrati tanto al combattimento quanto alle sacre liturgie, rappresentano l’ideale del nano devoto: forte, saggio e incrollabile. Non solo benedicono le armi e gli eserciti, ma guidano i rituali più solenni della vita nanica — dai matrimoni alle esequie, dalle incoronazioni dei sovrani ai giuramenti di sangue.
Profondi conoscitori della legge, della politica e delle necessità del popolo, i sacerdoti di Korg sono pilastri della società nanica. La loro parola è ascoltata con rispetto, e spesso fungono da mediatori nelle faide e da giudici nelle contese. Tuttavia, la loro intransigenza nei confronti del peccato e dell’onore violato può renderli severi, incapaci di perdonare o adattarsi a contesti più flessibili.
La ferrea disciplina che li anima li rende esempi viventi della volontà del dio, ma può anche isolarli, impedendo loro di comprendere le debolezze o i dubbi di chi non vive secondo i loro stessi ideali.
La Festa di Korg segna l'inizio dell’estate e culmina nel giorno del solstizio, il 21 di Hug. Questo giorno è importante per tutti i nani, in particolare per gli artigiani, poiché celebra la figura di Korg come patrono dei mestieri. Durante questa festività si svolgono dimostrazioni di forza, come duelli e cacce a mostri. Nel 4236, per la prima volta, si è svolto il Torneo della Roccia, un evento che celebra le gesta eroiche dei nani. Molti nani scelgono questo giorno per risolvere vecchi torti o fare dichiarazioni di lealtà.
Durante la festa, i nani visitano il tempio di Korg per benedire armi e attrezzi, e non è raro assistere a una parata dell'Armata Djaredin. Le cerimonie nuziali sono frequenti in questo periodo, con molte coppie che scelgono di sposarsi in onore di Korg.
“La sua è una sì particolare domanda,
non il pensiero a lui pretende,
è il mero pensiero ciò che richiede”
Il Saggio, Custode del Sapere e Signore della Conoscenza.
Un libro aperto con delle rune in Kyl disegnate sulla copertina. Il libro è simbolo di sapere, mentre le rune ricordano che è stata questa divinità a creare il Kyl, l’antica lingua dei nani e ad insegnarla loro.
La figura di Berzale è in continuo movimento, mai statico. Sebbene non ci siano statue ufficiali, alcune rappresentazioni iconiche sono visibili nei codici teologici e nelle leggende divine. L'immagine di un seduto su uno sgabello con un libro. La mano sinistra scorre le righe, la destra benedice. Sguardo chino, figura serena. Le sue espressioni e il suo corpo non sono mai rigidi, ma trasmettono una continua ricerca, come se ogni gesto fosse intriso di un'incessante applicazione del sapere. Raramente rappresentato in statue. Quando appare nei codici, è in movimento, avvolto da luci o nebbie.
Berzale è una figura centrale nella cosmogonia djaredin, una divinità paterna e benevola, che incarna la saggezza e la memoria di un intero popolo. Custode del sapere e guida silenziosa di ogni ricerca intellettuale, egli è venerato non soltanto come ispiratore degli studiosi e dei sapienti, ma anche come patrono di tutti coloro che, nella pratica quotidiana, ricercano comprensione e precisione: artigiani, strateghi, consiglieri, archivisti e maestri. La sua concezione del sapere non si limita all’astrazione, come spesso accade tra gli umani o gli elfi, ma abbraccia ogni aspetto della vita djaredin, dalla perizia nelle arti manuali alle strategie militari, fino ai consigli più semplici e concreti per affrontare le sfide di ogni giorno.
Nel cuore delle città naniche, il tempio di Berzale si erge come una biblioteca sacra, un santuario della memoria collettiva, dove il silenzio è interrotto solo dallo sfoglio delle pagine e dal battito regolare del pensiero che lavora. Tra le sue mura di pietra incisa e scaffali scolpiti, si conservano opere di ogni disciplina nota al popolo djaredin, dai trattati tecnici alle cronache storiche, fino ai venerati "Libri della Memoria", testi antichi che risalgono all’epoca in cui i nani abitavano ancora la superficie del mondo. In quelle pagine, Berzale continua a parlare ai suoi figli, trasmettendo ciò che è stato, per guidare ciò che sarà.
E così, ogni volta che un nano cerca una risposta, una soluzione o un senso più profondo, è a Berzale che rivolge il proprio pensiero, certo che nella luce discreta del sapere si cela una forma di protezione tanto forte quanto la più solida delle corazze.
Berzale è considerato il fondatore e il custode del sapere. La sua influenza è così profonda che attraverso di lui la storia e la cultura degli Djaredin sono state tramandate senza mai essere dimenticate. Si dice che abbia creato il Kyl, la lingua antica dei nani, e che abbia insegnato la sua scrittura ai suoi seguaci. La figura di Berzale è legata anche alla necessità di applicare la teoria nella vita pratica: non è solo la conoscenza teorica che egli insegna, ma soprattutto la capacità di applicarla e di trasformarla in azioni concrete che migliorano la vita dei suoi devoti.
Tra le antiche leggende del popolo djaredin, si narra che quando la Triade si stabilì a Rocca Gemmata, il dio Berzale, custode della conoscenza e del sapere, eresse una biblioteca tanto vasta da poter contenere ogni nozione raccolta dal popolo nanico, dalle scienze più elevate alle cronache delle ere passate.
Ammirato da tale impresa, Korg, signore della forgia, scolpì un gigante di zaffiro puro, simbolo di saggezza e limpidezza di pensiero, e lo offrì in dono al fratello. Colpito dallo splendore e dalla maestria dell’opera, Berzale vi infuse vita, trasformandola in un guardiano senziente, dedito alla custodia del sapere.
Da allora, il Guardiano del Sapere veglia silenzioso sulle biblioteche sacre e sui templi della conoscenza. Ma non è solo una leggenda dormiente: si dice che i sacerdoti di Berzale, nei momenti di grave pericolo o bisogno, possano evocarlo con antichi rituali, richiamando la sua forza e la sua saggezza per proteggere i testi sacri, i depositi del sapere e la loro stessa vita.
Imponente e incorruttibile, il Guardiano si manifesta come un colosso di gemma viva, in grado di abbattere l’ignoranza con la forza della conoscenza e di distruggere chiunque osi profanare la sacralità della memoria djaredin.
I devoti di Berzale, il Custode della Sapienza, sono gli spiriti più riflessivi e inquisitivi tra gli djaredin. Seguono il dio della conoscenza con una dedizione totale alla ricerca, allo studio e alla trasmissione del sapere, convinti che solo attraverso l’apprendimento si possa rafforzare la propria gente e affrontare le sfide del mondo.
Studiosi, inventori, storici, filosofi e guaritori: questi sono i figli prediletti di Berzale. La loro curiosità è inesausta, e spesso li conduce oltre le mura delle città naniche, in spedizioni alla ricerca di manoscritti perduti, nuove tecniche artigianali o teorie sconosciute. Considerano il sapere una forma di potere sacro, da coltivare, preservare e condividere, ma anche da proteggere con rigore.
La loro influenza si riflette nella cultura djaredin: sono loro a costruire gli archivi, redigere le cronache, insegnare ai giovani e innovare le tecnologie. Ma non di rado, questo loro zelo si trasforma in ossessione, rendendoli introversi, distaccati o incapaci di cogliere l’urgenza dei bisogni immediati del popolo. La loro ricerca di perfezione teorica può condurre a paralisi decisionale o a un'eccessiva fiducia nella logica, a scapito dell’intuito e del cuore.
Il clero di Berzale è formato da sacerdoti-studiosi, noti come i Tre Saggi, sebbene il titolo sia onorifico e non limitato a un numero preciso. Essi sono i custodi delle più grandi biblioteche del Regno di Djare, come quella nel sacro Tempio di Kard Dorgast, e detengono una conoscenza enciclopedica in molteplici campi: dalla matematica all’anatomia, dalla storia alle arti costruttive. Si dice che la loro memoria sia infallibile, che ogni testo letto resti inciso nella loro mente come rune nella pietra.
Oltre a raccogliere ed elaborare conoscenza, sono anche esperti conservatori, capaci di proteggere volumi antichi da muffe, fuoco e tempo. Ma la loro dedizione all'ordine e alla precisione può renderli eccessivamente rigidi, tanto nella dottrina quanto nella trasmissione del sapere, che talvolta impongono senza adattarsi al contesto o senza sufficiente discrezione.
La Festa di Berzale si celebra nel mese di Drenat e coinvolge tutti coloro che sono devoti al sapere. Durante la festività, studiosi, inventori, scrittori e tutti i devoti si ritrovano per scambiarsi idee, confrontarsi e rendere pubblico il frutto delle loro ricerche. Inventori e poeti presentano le loro creazioni, mentre esperti di storia e cultura tengono brevi lezioni. È anche il giorno in cui i giovani apprendisti si confrontano con i loro maestri in ambito pratico, a volte con momenti di forte disciplina. Inoltre, gli inventori si recano al Tempio per ricevere la benedizione dei sacerdoti di Berzale, sperando che le loro invenzioni vengano benedette e protette. In questo giorno, è pratica comune fare copie delle invenzioni e degli scritti per preservare la conoscenza, che verrà poi custodita nelle Aule di Berzale o nell'Accademia dei Segreti. I Rodolan di Berzale durante il periodo della festa, con le "Sacre Misture" provvedono a disinfettare i tomi delle biblioteche affinchè le muffe non rovinino gli scritti.
“Ed infine per tutti, grandi e piccoli, giusti ed ingiusti,
arriva il tempo di attraversare il Grande Mare”
“Colui che Vigila”, Il Signore dei Misteri, Guardiano delle Onde e del Grande Mare, Custode delle Arti Arcane
I simboli di Dera sono volutamente oscuri e di difficile interpretazione. Talvolta si possono rinvenire rappresentazioni stilizzate di un’onda, di un ponte sospeso o di un varco oltre il quale si cela l’ignoto. Anche la sua stessa immagine risulta indefinita e avvolta nel mistero, sfuggente alla comprensione razionale.
Dera viene rappresentato come un’entità leggermente più alta e più esile rispetto al nano medio, ma le differenze somatiche sono sottili. Alcuni lo considerano una dea, mentre altri mettono in discussione se sia davvero un nano, ma questi dubbi sono parte del mistero che circonda la sua figura. L'iconografia di Dera esprime questa incertezza, con figure vaghe e simboli astratti, come onde o ponti, che evocano la natura inafferrabile e sospesa di questa divinità.
Dera è la voce silenziosa che sussurra ai margini della coscienza djaredin, il volto nascosto della Triade, colui che veglia sull’ignoto e sulle profondità che nessun martello può scolpire. Se Korg è la forza e Berzale la memoria, Dera è il mistero, l’incertezza, l’invisibile che accompagna ogni passo senza mostrarsi del tutto. Custode delle arti arcane e signore del Grande Mare, non appartiene né alla luce piena né all’ombra totale: egli dimora in quel confine inafferrabile dove le certezze vacillano, come un ponte sospeso nel vuoto — solido alla vista, ma mai del tutto sicuro sotto i piedi.
I nani non lo temono come si teme un nemico, ma lo rispettano come si rispetta un abisso: non vi è odio nei suoi confronti, né rivalità con Korg o Berzale. Dera è distaccato, neutrale, distante come le stelle rifratte nell'acqua profonda, eppure necessario. La sua presenza è un monito costante: ciò che non si conosce merita attenzione e prudenza, e il sapere, per quanto vasto, non può mai abbracciare ogni cosa.
Signore delle maree, degli incantesimi e dei segreti, Dera è anche custode del destino ultimo: la morte. Quando un nano esala il suo ultimo respiro, inizia per lui il viaggio attraverso il Grande Mare, seguendo la Via del Giusto. È un cammino solitario e silenzioso, dove ogni atto della vita viene vissuto nuovamente, riflesso nelle acque profonde. Dera osserva, non come giudice, ma come guida silenziosa. Se l’anima non è pronta, se il cammino si interrompe, essa non è dannata, ma sospesa: chiamata a vagare, non per punizione, bensì come dono. Un’altra possibilità, un nuovo tempo per apprendere, per migliorare, per cercare la perfezione e, forse, un giorno, ricongiungersi con la Triade.
In questo, Dera è anche guardiano dell’ordine naturale: si oppone alla non-morte, a tutto ciò che distorce il ciclo immutabile del tempo e dell’esistenza. Per lui, la morte non è una fine, ma una trasformazione. Il suo culto non è fatto di preghiere pubbliche o celebrazioni vistose, ma di silenzi, di sguardi lanciati verso l’ignoto, di rispetto profondo per ciò che sfugge alla presa della logica. Dera non parla spesso, ma quando lo fa, le sue parole sono onde: lente, profonde e inarrestabili.
Dera non fu creato, né si manifestò con fragore: semplicemente era, come lo è il mistero, come lo è il mare quando non ha rive. Scelse di abitare i confini del mondo, là dove luce e tenebra si toccano senza mescolarsi, e da lì osservò ogni cosa.
Custode dell’ignoto e delle profondità, Dera tese il suo sguardo sul Grande Mare, vegliando sulle anime in cammino. Dopo la morte, ogni essere deve attraversare le sue acque, percorrendo la Via del Giusto. Non come prova, ma come ritorno a se stessi. A chi si perde, Dera offre l’eternità del dubbio: non punizione, ma attesa.
E mentre gli altri parlano, guidano o plasmano, Dera tace. Non perché non abbia voce, ma perché le sue parole vivono nell’incertezza che ogni nano porta dentro. Così, ancora oggi, egli dimora al limite di tutte le cose, dove la conoscenza finisce e inizia il silenzio.
Tra i misteri più profondi custoditi dai sacerdoti di Dera, nessuno è più sacro e temuto del Thoran Kor: un antico marchingegno in cui si fondono le vette più oscure della scienza djaredin con i rituali solenni del culto della Morte.
Questo sarcofago semovente, cinto da rune sigillanti e alimentato da meccanismi tanto antichi quanto insondabili, non è una semplice macchina né un simulacro senz’anima. In esso prende dimora temporanea lo spirito di un antenato, richiamato non con incanti profanatori, ma con il consenso di Dera stesso, come concessione divina in momenti di grave bisogno per il popolo nanico.
Il Thoran Kor non parla, non ragiona come un essere vivente. È presenza guida e forza silente, un difensore ancestrale che agisce per volontà del Signore dei Misteri. Il suo spirito non interagisce direttamente con il reame dei mortali: agisce solo per preservare l’equilibrio, proteggere i sepolcri violati o rispondere a minacce che Dera giudica degne del suo intervento.
È bene comprendere che non si tratta di negromanzia. La rianimazione dei morti, la violazione delle anime o il piegare la morte alla volontà dei viventi sono pratiche in abominio al culto di Dera. Il Thoran Kor, al contrario, è un rito di comunione e di rispetto: lo spirito che vi risiede ha accettato il compito, ed è stato scelto dalla divinità stessa.
Secondo la leggenda, il primo Thoran Kor fu creato dopo la Battaglia della Notte Eterna, quando un sacerdote morente udì la voce di Dera invocare l’anima del suo avo caduto. Con le ultime forze, egli attivò il meccanismo antico, e dalle nebbie emerse la macchina, guidata dalla volontà sacra dell’Antico. Da allora, il rituale è custodito gelosamente, trasmesso solo ai sommi sacerdoti del culto, che lo impiegano raramente e con solennità assoluta.
I seguaci di Dera sono coloro che accolgono la morte non con paura, ma con rispetto profondo e razionale accettazione. Per essi, Dera non rappresenta la fine, ma un passaggio naturale nel ciclo eterno dell’esistenza. La sua fede ispira una calma interiore che si riflette nella loro capacità di affrontare la perdita e l’ignoto con lucidità e dignità. Questo li rende individui resilienti, dotati di una saggezza antica e capaci di sostenere gli altri nei momenti di crisi.
Devoti alla memoria degli antenati, i fedeli di Dera conservano con cura le tradizioni funebri e celebrano la vita attraverso il rispetto dei defunti. Il loro senso di comunità è profondo, alimentato dalla consapevolezza che ogni individuo è parte di un tutto più vasto, che trascende la morte stessa.
Tuttavia, questa profonda concentrazione sull’aldilà può portarli a uno sguardo distaccato sulla vita presente. Alcuni diventano introspectivi al punto da isolarsi, altri sembrano emotivamente impassibili, incapaci di esprimere affetti o desideri terreni. La loro fedeltà alla razionalità e al ciclo immutabile della vita può renderli rigidi di fronte a cambiamenti imprevisti o caotici, rifiutando ciò che non si accorda con la loro visione ordinata del mondo.
Il clero di Dera è composto da sacerdoti-sentinelle, custodi silenziosi della soglia tra la vita e la morte. Essi vigilano sulle cripte sacre, sui sepolcri degli antenati e sui riti di passaggio, assicurandosi che ogni anima riceva l’onore che merita nel viaggio verso l’aldilà. Il loro compito non è solo spirituale, ma anche pratico e simbolico: preservano la sacralità della morte come parte integrante dell’ordine cosmico.
Il cuore del loro culto è il Tempio di Dera, nascosto nella Foresta dei Titani, dove sono custoditi i Tomi Arcani, volumi sigillati che trattano di morte, mare e magia. Solo i sacerdoti più devoti possono consultarli, ed essi giurano di proteggerne i segreti anche a costo della vita. La loro disciplina è severa, e il loro sapere profondo.
Tra i riti più solenni vi è la preghiera al tramonto, nata durante l’epoca dell’Esilio, quando i Tegret—antiche sentinelle djaredin—non poterono seppellire i propri caduti, scegliendo invece di onorarli con il silenzio e con le mani giunte al calare del sole. Ancora oggi, quel gesto è ripetuto da ogni sacerdote di Dera, come segno di rispetto e memoria eterna.
Ma se da un lato i sacerdoti di Dera offrono conforto e guida spirituale, dall’altro possono apparire austeri, freddi e impenetrabili. Il loro legame con la morte e i misteri dell’aldilà li distacca emotivamente dagli altri nani, e la loro riservatezza talvolta li fa sembrare inaccessibili o alieni, soprattutto agli occhi dei più giovani.
La festa principale di Dera è il Giorno della Memoria, che si celebra durante la prima settimana di ogni anno. Non è una festa gioiosa, ma un giorno di riflessione sul tema della morte. I nani si recano alle catacombe per rendere omaggio ai propri antenati e alla Grotta dei Re per ricordare i sovrani passati. In questo giorno, lo Djare legge il Dammaz Kron, un elenco di torti subiti dal popolo, per mantenere viva la memoria delle ingiustizie e onorare i sacrifici fatti. I sacerdoti di Dera sono anche visti pregare al tramonto, un atto di devozione che risale alla tradizione dei Tegret, le sentinelle del popolo che vigilavano sulla sicurezza durante l’Esilio e la Battaglia Sanguinosa.
Nel regno di Djare, il rispetto per i defunti costituisce un valore profondamente radicato nella cultura del popolo, e si riflette nelle cerimonie che accompagnano il trapasso di un membro della comunità. Alla morte di un Djaredin, il corpo trascorre un’ultima notte nella propria abitazione, vegliato dalle donne della famiglia che intonano nenie rituali. Durante questa veglia, le donne percorrono con la memoria l’intera esistenza del defunto, rievocando imprese, tratti del carattere e la condotta tenuta in vita secondo i principi della loro gente.
All’alba del giorno seguente, spetta agli uomini preparare il corpo per la processione funebre; se la defunta è una Djaredinas, questo compito viene invece affidato alle donne. Il defunto viene vestito con una delle sue armature, scelta non per bellezza o pregio, ma per l’importanza affettiva che rivestiva per lui. L’arma ricevuta in dono nel passaggio all’età adulta viene posata sul petto, con la mano destra che ne stringe l’impugnatura. Nella mano sinistra il defunto racchiude tredici monete d’oro: un tributo al dio Korg, affinché egli possa accogliere l’anima nel proprio esercito. Il numero — uno e tre — richiama simbolicamente il defunto stesso e le tre divinità.
Il corpo viene adagiato su una lettiga in legno di fungo, finemente lavorata e decorata, fornita dal tempio. La processione parte dalla casa del defunto e si dirige verso il luogo di sepoltura. Ciò che distingue profondamente questa cerimonia è l’assenza di canti, preghiere o discorsi: nessuna omelia, nessuna lamentazione. Per questo popolo forgiato nella guerra, la morte non è un evento da compiangere, ma da accogliere con silenzioso rispetto.
Per ragioni igieniche e di sicurezza, le sepolture si trovano a notevole distanza dalle caverne principali e dai centri abitati: il tragitto può richiedere diverse ore di marcia. In un contesto sotterraneo, infatti, gas e liquami derivanti dalla decomposizione rappresenterebbero un grave pericolo per la salute pubblica. Le tombe consistono in lunghe catacombe scavate nella roccia grezza, articolate in serie di cinque nicchie che si susseguono dal pavimento al soffitto, disposte su più gallerie che si estendono per svariate pardelle (unità di misura equivalente a tre passi di Djaredin). L’ambiente è illuminato costantemente da torce e lanterne mantenute accese dai guardiani.
Al momento della deposizione, un sacerdote di Dare pronuncia una breve formula in un antico dialetto, con la quale augura al defunto un viaggio sereno, assicurando che la comunità si prenderà cura della sua famiglia e che i figli — o le figlie — sono ormai pronti a raccoglierne l’eredità. Terminata la preghiera, la nicchia viene chiusa con una lastra di pietra liscia su cui sono incisi il nome e una breve memoria della vita del defunto. Il sigillo definitivo è realizzato con una colata di bronzo fuso, applicata secondo una tecnica particolare che evita sgocciolamenti o sbavature.
La cerimonia si conclude con il cammino di ritorno. Durante questo tragitto, i parenti del defunto ricevono le condoglianze dei partecipanti e consumano il cibo loro offerto in segno di cordoglio.
L’intera mappatura della necropoli è affidata ai sacerdoti di Dera, che ne supervisionano l’organizzazione. Una grande parete in pietra, situata all’ingresso del sito funerario, riproduce la sezione della necropoli e riporta i nomi e i numeri delle gallerie. Ogni nuovo defunto aggiunto viene registrato su questa mappa. Sebbene le attività di manutenzione siano svolte da soldati e operai specializzati, la responsabilità e la direzione dei lavori ricadono sui sacerdoti, che vegliano sulla sacralità del luogo.
Una destinazione diversa è riservata ai sovrani Djare. I loro feretri vengono tumulati nella cosiddetta "Grotta dei Re", una vasta caverna scolpita con decorazioni architettoniche che rievocano l’interno di un tempio. L’ingresso, simile a una facciata cattedrale, si apre su un’anticamera naturale. L’interno è illuminato da grandi lampadari che diffondono una luce chiara, riflessa sulle pareti levigate e sul pavimento in pietra lucida. I sovrani sono sepolti in sarcofagi di pietra sui cui coperchi è scolpita, a grandezza naturale, una rappresentazione del re in posizione supina. Una lastra posta ai piedi del rilievo riporta il nome del sovrano, il periodo di regno e le imprese memorabili.
Anche i Morgat e gli Archon hanno il privilegio di essere sepolti nella Grotta dei Re. Le loro tombe si trovano lungo le pareti laterali, lasciando lo spazio centrale ai Djare. I Morgat riposano in posizione supina all’interno di nicchie simili a quelle degli altri membri della comunità. Gli Archon, invece, sono collocati in posizione eretta; le loro lapidi presentano un bassorilievo che riproduce il volto del defunto, i cui occhi guardano verso il sovrano a cui furono fedeli.
La visione dell’oltretomba nel regno di Djare è semplice e legata alle esperienze vissute. Dopo la morte, lo spirito di uno Djaredin percorre la “via del giusto”, durante la quale rivive ogni episodio della propria esistenza, positivo o negativo. In questa dimensione al di fuori del tempo e dello spazio, avrà modo di riflettere su tali eventi. Al termine del percorso, le colpe saranno espiate, i difetti annullati, e le virtù riconosciute. Solo allora potrà proseguire lungo la “via del saggio e del guerriero”, divenendo un soldato sapiente e virtuoso al servizio del Glorioso Esercito guidato dal dio Korg e dal suo consigliere Berzale.
Questo esercito si dice risieda in un’immensa caverna, la cui volta è il cielo, le pareti gli alberi e il vento, e il pavimento una distesa verde. Vi scorrono fiumi e vivono animali; montagne maestose ospitano grotte di pietra sottile e trasparente, dalle quali filtra la luce di Korg. In questo luogo, i soldati non conoscono né fame né sete, né freddo né caldo, né la fatica. Vegliano eternamente sul popolo di Djare, scacciando ogni sventura e spirito maligno che osi minacciarlo. Coloro che in vita furono Djare diventeranno capitani, e i Morgat siederanno accanto a Korg nel Consiglio celeste, in qualità di consiglieri.