Nel cuore delle profondità, i Djaredin hanno forgiato un regno in cui il potere è saldamente nelle mani di un solo uomo: il Re. La loro è una monarchia assoluta, specchio fedele della loro fede negli Dei e nella sacralità dell’ordine. A regnare oggi è Thorreg GridoPossente, figura rispettata e carismatica, tornata a guidare il popolo dopo un periodo di assenza. Il sovrano, oltre a esercitare ogni funzione temporale, è anche il comandante supremo dell’esercito e guida personalmente il popolo in battaglia nelle occasioni più gravi.
Nonostante l’autorità assoluta, il Djare — così viene chiamata la carica reale, con lo stesso nome del popolo — non regna in solitudine. Due figure di rilievo lo affiancano: l’Archon, generale delle forze armate, e il Morgat, gran sacerdote di Korg e considerato il più saggio tra i suoi simili. Sebbene il Re mantenga sempre l’ultima parola, ascolta volentieri i consigli di questi due uomini, in ossequio al profondo rispetto che la cultura Djaredin nutre verso la competenza e l’esperienza. Per loro, la saggezza non è un concetto astratto, ma la somma della padronanza concreta del proprio ruolo.
Non esistono incaricati per la politica estera: l’isolamento volontario dei Djaredin rende tale funzione del tutto superflua. Anche la successione al trono segue un percorso peculiare. Non vi è ereditarietà: alla morte del Re, l’assemblea degli anziani — composta esclusivamente da Djaredin che abbiano superato il cinquecentesimo anno d’età — si riunisce per eleggere il nuovo sovrano. Nel tempo che intercorre tra la morte del vecchio Djare e l’elezione del successore, è il Morgat ad assumere la reggenza del regno, gestendo ogni funzione tranne quelle militari, che ricadono invece sull’Archon.
Il Morgat riveste anche un ruolo cruciale nell’amministrazione quotidiana del regno, facendo da ponte tra il Re e il popolo, spesso chiamato a moderare i toni e prevenire decisioni avventate. In campo religioso, il suo prestigio cresce ulteriormente: è la massima autorità del culto, con ampi margini di libertà decisionale, anche se nessuna scelta può essere attuata senza il benestare del sovrano.
Il Regno di Djare, pur ristretto nel numero dei suoi abitanti, possiede una cultura profondamente improntata alla difesa armata. Sebbene l’esercito regolare non sia numeroso, ogni Djaredin, uomo o donna, è pronto a impugnare le armi per difendere la propria casa e la propria terra. Questa predisposizione naturale alla lotta compensa ampiamente la scarsità numerica, rendendo ogni combattente una risorsa preziosa e determinata.
Al centro delle forze armate si trova la milizia, nucleo portante dell’apparato militare. Si tratta di soldati temprati dal combattimento nelle gallerie più anguste e nelle caverne più ampie, armati pesantemente con asce, martelli e corazze robuste. Abili anche sul piano tattico, questi guerrieri prediligono scontri frontali e si sono adattati alle esigenze del territorio sotterraneo. In tempi di pace, vengono impiegati nel pattugliamento e nella salvaguardia delle zone di confine, dove sorgono piccoli avamposti e caserme.
L’unico conflitto rilevante della storia recente risale all’“anno delle corazze di pelle”, quando alcune tribù di lucertole, forse spinte in superficie da un crollo o un’alluvione nelle loro caverne, tentarono un’invasione. L’attacco fu respinto, e i Djaredin conservarono a lungo le pelli delle creature sconfitte come simbolo di quel successo.
A fianco della milizia, un ruolo fondamentale è affidato all’“Ordine degli Esploratori”. Questo corpo scelto è formato da soldati e minatori specializzati nell’individuare nuovi giacimenti o ambienti abitabili. Guidati da un ingegnere-minatore, esperto di rocce e geografia sotterranea, gli esploratori si avventurano negli angoli più remoti del sottosuolo, dove spesso devono affrontare creature ostili. Per facilitare le lunghe marce e le operazioni di scavo, si equipaggiano con corazze leggere e armi maneggevoli, spesso completate da scudi pesanti.
Quando il nemico risulta troppo forte, gli esploratori ricorrono a una tattica consolidata: si asserragliano in un punto difendibile, mentre una staffetta corre a chiamare rinforzi. In alcuni casi, la caverna viene fatta crollare per guadagnare tempo, con gli scavatori che lavorano sotto la protezione degli scudieri. Tra le imprese memorabili si ricorda quella compiuta dalla squadra dei Bortrox, guidata da Tydor il Martellatore, primo cugino del Re, che riuscì a sottrarre a un Drago delle Caverne una grotta colma di adamantio.
Infine, non va dimenticata la milizia cittadina, semplice ma fondamentale per la vita quotidiana del Regno. Sotto la guida di un Supttore, essa è incaricata di mantenere l’ordine, far rispettare le leggi e vigilare sulle zone interdette allo scavo. È un corpo dedicato alla sicurezza urbana, piuttosto che al combattimento in campo aperto.
La guida suprema di tutte le forze armate, in tempo di guerra, resta il Re. Solo lui ha l’autorità e l’onore di guidare il popolo in battaglia, fianco a fianco con i suoi soldati. Per le operazioni quotidiane, però, è l’Archon a farsi carico della gestione dell’esercito: un guerriero rispettato dallo stesso sovrano, incaricato di organizzare le campagne, supervisionare le strutture militari e condurre le truppe in missione. Insieme al Morgat, egli rappresenta il fulcro del potere accanto al trono.
Si tratta del clan per eccellenza più vicino alla tecnologia. Deve il suo nome al giorno in cui il suo capostipite decise di dare prova della sua abilità davanti a tutto il popolo riunito.
Discendenti di Duregar Torvocipiglio, colui che per primo scoprì i segreti della polvere nera e il suo utilizzo, i nani appartenenti a questo clan sono spesso visti dal resto della popolazione come individui eccentrici e stravaganti.
Questo clan può vantare tra le sue fila i più abili artigiani del Regno di Djare, nonché i più valenti architetti e ingegneri djaredin. Questi nani però, sono spesso anche i più diffidenti nei confronti delle altre razze: questo è dovuto soprattutto alla loro morbosa salvaguardia dei segreti riguardanti le invenzioni. Si tratta comunque di nani curiosi, spesso tra i più devoti fedeli di Berzale, quindi in alcuni casi riescono a spingersi oltre la loro diffidenza spinti dalla sete di conoscenza.
La filosofia dei RombodiTuono crede fermamente nel fatto che il benessere del Regno di Djare dipenda soprattutto dal suo livello tecnologico e dal progresso scientifico.
Pare si tratti del più antico clan del Regno di Djare. È un clan fortemente teocratico la cui vita ruota tutta attorno alla fede nella Triade e alla consapevolezza dell’importanza che la religione ha all’interno della vita quotidiana: sono convinti che il Regno debba essere guidato attenendosi rigidamente agli insegnamenti dettati dalla Triade stessa.
Possono vantare una tradizione ricca di nani che hanno ricoperto ruoli importanti all’interno del Tempio: tra questi non pochi sono i Morgat passati alla storia.
I membri di questo clan sono fortemente tradizionalisti e conservatori, al punto che spesso non vedono di buon occhio i cambiamenti radicali e le novità.
Il capostipite dei Fiammaeterna è Grom Elmolucente, uno dei più saggi esponenti del popolo djaredin, primo Morgat del Regno di Djare e fondatore del Tempio. La sua profonda devozione lo spinse ad assumere come nome proprio del Clan il simbolo stesso di Korg e fu lui in persona ad accendere l’attuale Fiamma Eterna che da millenni viene custodita e che mai è stata spenta.
Clan noto per le gesta compiute in battaglia e per i tanti eroi passati alla storia, i ForgiaRovente sono noti per avere tra le proprie fila abili fabbri e guerrieri disciplinati e ben addestrati. Non è raro infatti trovarli alle prese con allenamenti ed esercitazioni nel loro tempo libero: questa loro indole guerriera spinge alcuni di loro a disprezzare chi non sa combattere.
Deve il suo nome ad una vecchia storia che narra di come la forgia del loro capostipite, fosse alimentata direttamente da un fiume di lava che scorreva nelle vicinanze.
Discendenti di Kurgan Flagellaorchi, i membri di questo clan sono convinti che il Regno può prosperare e perdurare rafforzando l’Armata e aumentandone il potere e peso politico.
La loro abilità nella forgia, spesso li spinge a instaurare rapporti commerciali anche in superficie, cosa che forse rende i Forgiarovente i nani che più di tutti hanno relazioni con le altre razze.
Non si tratta di un clan a tutti gli effetti, in quanto i suoi membri non hanno legami forti di sangue. I Freddalama si sono formati dopo il ritorno in superficie del popolo djaredin. Molti di loro sono discendenti dei nani che prima del Lungo Esilio giravano spesso in superficie.
La maggior parte di loro sono cacciatori, conciatori di pelli e taglialegna. Attualmente vivono nel villaggio nanico di Nuran Kar, ma mantengono saldi e ottimi rapporti con Kard Dorgast.
I Freddalama sono senza dubbio i nani più aperti alle altre razze.
Il nome deriva da un nomignolo che i nani di Kard usavano per riferirsi a loro, nomignolo più che altro usato per schernirli in quanto inizialmente non videro di buon occhio la loro partenza dalla Gemma.
Il loro capoclan è Durgrin Vistacuta, nonché capo del villaggio: si tratta di un famoso cacciatore di troll, noto anche per la sua cordialità che decise di prendere la guida del clan per sistemare alcune discordie nate tra le due famiglie più importanti del villaggio.
I nani sono soliti evitare discussioni su questo clan.
Da sempre il popolo djaredin li considera colpevoli per averli trascinati nella leggendaria Battaglia Sanguinosa.
Per lungo tempo non si hanno avuto notizie di questo Clan e dei suoi discendenti: i nani di Kard Dorgast non si curano più di loro, ma non li hanno certo dimenticati e provano astio e rabbia nei loro confronti. Nei tempi recenti molti esponenti di questo clan sono tornati allo scoperto, e gradualmente è stato reintegrato nella vita del regno.
L’economia del regno di Djare si fonda su un sistema chiuso e autosufficiente, modellato dall’isolamento assoluto rispetto agli altri popoli e razze. Inizialmente, in assenza di relazioni esterne, il commercio si sviluppava esclusivamente all’interno della comunità.
Con il tempo, l’insoddisfazione per un’economia interna stagnante e un sistema normativo troppo rigido ha spinto molti Djaredin a cercare fortuna altrove. Inizialmente dediti al commercio con il Regno di Helcaraxe, estesero gradualmente la propria rete commerciale, fino a sviluppare anche canali di contrabbando per metalli, pietre preziose e manufatti nanici, noti per la loro qualità e rarità. Questo fenomeno, unito al malcontento verso i governi succedutisi, incapaci di rispondere ai cambiamenti sociali, spinse numerosi individui e intere famiglie a lasciare silenziosamente la propria terra natale.
Molti si integrarono in altre civiltà, attratti dal mondo di superficie evocato nei racconti dei musici. Sebbene inizialmente accolti con diffidenza, con il tempo alcuni di essi vennero accettati e diventarono parte integrante di nuove comunità. Fu da questa diaspora e da questo desiderio di indipendenza che nacque Nuran Kar, oggi ben conosciuto in tutta Ardania.
Fra le attività più diffuse, e legate alla tradizione più antica del popolo Djaredin, vi è l’estrazione mineraria. Il sottosuolo abbonda di minerali rari e preziosi, da cui i minatori più esperti ricavano leghe pregiate e resistenti. Le pietre più adatte vengono invece affidate agli scalpellini, che le trasformano in materiali da costruzione. Questa generosa ricchezza di materie prime ha permesso al popolo di Djare di mantenere viva l’arte che più lo rappresenta: la lavorazione dei metalli. In quanto popolo guerriero, i Djaredin vantano una lunga e raffinata tradizione di fabbri ed armaioli. Fin dalle epoche più remote, essi forgiano armature dalla manifattura eccezionale, comode al punto da sembrare vesti di seta, e al contempo dure come roccia viva; armi possenti e letali, forgiate nei metalli più duri e difficili da plasmare.
Nonostante la scarsità di materia prima, gli Djaredin eccellono anche nella concia delle pelli. Ogni arma, ogni oggetto di metallo è concepito non solo per l’uso, ma come espressione di identità e status: possedere una determinata arma equivale a distinguersi nella società. I giovani che raggiungono la maturità sessuale ricevono in dono un’arma dagli altri uomini della famiglia, mentre con l’ingresso nell’età adulta è consuetudine indossare un’armatura appartenuta a un genitore, simbolo tangibile del nuovo peso che grava sulle proprie spalle.
I fabbri del regno, veri maestri nella lavorazione dei metalli preziosi, realizzano manufatti finemente decorati e cesellati, la cui bellezza può competere con i gioielli più raffinati delle civiltà di superficie.
Anche agricoltura e allevamento, inizialmente quasi del tutto assenti, hanno saputo ritagliarsi un ruolo rispettabile tra le attività sotterranee. Durante il grande esodo, solo pochi animali sopravvissero alla migrazione: le bestie di grossa taglia, come bovini e animali da soma, perirono rapidamente, incapaci di adattarsi al nuovo ambiente. L’unica eccezione fu il maiale, che divenne una risorsa fondamentale. Questo animale garantì la sopravvivenza della comunità grazie alle sue carni, al suo sterco essiccato – impiegato come combustibile e fertilizzante – e al suo fiuto, prezioso per individuare radici e tuberi nel buio del sottosuolo.
L’agricoltura, ostacolata dalla mancanza di luce solare, si sviluppò lentamente. I primi anni furono dedicati alla raccolta di ciò che il sottosuolo già offriva: una varietà insospettata di vegetali, funghi, muffe e radici che diedero nuova speranza alla popolazione. Ancora oggi si coltivano funghi e verdure bianche, adattate all’ambiente caldo-umido e illuminate dalla tenue luce artificiale di fuochi e torce che costellano le caverne. Il guano dei pipistrelli, raccolto in specifiche grotte, ha consentito la coltivazione di semi portati con sé durante l’esodo, sebbene il clima sotterraneo permetta solo la crescita dei germogli, lasciando ad altre tecniche il compito di ottenere nuovi semi.
Tra le colture più singolari spicca una pianta simile a una muffa, che può raggiungere l’altezza di un Djaredin adulto. Cresce in ambienti umidi e semi-acquatici, dove il calore ne accelera lo sviluppo. I suoi lunghi steli, una volta essiccati, vengono utilizzati come materiale per l’artigianato e l’edilizia. Ma la parte più pregiata è la folta peluria che avvolge la base: una sorta di cotone sotterraneo che, filato con cura, produce un tessuto pesante, resistente e facilmente lavorabile o colorabile. Questo materiale ha permesso alla sartoria di rifiorire, rappresentando una valida alternativa alla tela di ragno – certamente più pregiata, ma rischiosa da ottenere – e contribuendo al mantenimento del livello culturale della comunità.
Anche per il legname è stata trovata una soluzione alternativa: un fungo noto come “dei titani”, capace di raggiungere dimensioni impressionanti. Il suo gambo, se trattato adeguatamente, acquisisce caratteristiche simili a quelle del legno, e può sostituirlo efficacemente. Tuttavia, la sua rarità lo rende un bene estremamente prezioso. I re di Djare ne hanno vietato il commercio per prevenire speculazioni, stabilendo che chiunque ne scopra un esemplare debba segnalarlo ai funzionari del regno. In cambio, il scopritore ha diritto a una quantità pari a un terzo del materiale raccolto, da destinare alla costruzione di un’abitazione o di mobili per sé o per i propri figli.
Un altro settore, seppur di dimensioni ridotte, riveste un ruolo essenziale: il commercio delle cavalcature, noto tra i Djaredin come “commercio delle necessità”, per via della molteplicità di impieghi degli animali coinvolti.
Il principale è lo scarafaggio gigante, risorsa preziosa per molteplici motivi. Può essere impiegato come cavalcatura, ma anche macellato per ricavarne carne, utile soprattutto per la preparazione di stufati a base di funghi. Le sue parti di scarto vengono conservate nelle aree più fredde delle grotte e utilizzate come nutrimento per il secondo animale allevato dal popolo: la lucertola gigante. Lo scarafaggio svolge anche un ruolo fondamentale nello smaltimento dei rifiuti solidi della comunità, nutrendosi degli scarti e assicurando, al contempo, il mantenimento delle riserve alimentari.
Le lucertole giganti, rarissime e cieche dalla nascita, presentano un colore bianco intenso. Si nutrono principalmente di scarafaggi e, a causa del loro costoso mantenimento, solo poche possono essere allevate. Sono impiegate come animali da soma nelle costruzioni o per trainare carichi pesanti, mentre il loro utilizzo come cavalcature è limitato per via dell’elevato consumo alimentare. Il re Thorreg GridoPossente ha introdotto un’importante innovazione: la tesoreria reale sostiene un piccolo gruppo di questi animali, destinato a coprire tutte le necessità strategiche – dall’estrazione mineraria all’escavazione – garantendo così alla comunità un supporto costante ed efficiente.
Nel regno di Djare, l’istruzione è sorprendentemente diffusa e capillare. Ogni cittadino Djaredin possiede una solida padronanza della propria lingua natia e dimostra una buona conoscenza della lingua comune. Questa doppia competenza linguistica ha radici antiche: oltre quattromila anni fa, in un momento di vuoto di potere seguito alla morte del sovrano in battaglia, fu il Morgat a stabilire, in qualità di reggente, l’obbligo per i giovani Djaredin di apprendere anche la lingua degli umani. L’intento era duplice: garantire al popolo, una volta libero, la possibilità di stringere alleanze oppure comprendere le strategie dei nemici.
Col tempo, la lingua comune si è evoluta nel mondo di superficie, mentre nel regno sotterraneo è rimasta invariata, studiata come una lingua morta. Nonostante questa divergenza, è ancora possibile comunicare efficacemente con i Djaredin, soprattutto con i membri della casta sacerdotale o con coloro che appartengono ai ranghi elevati.
La lingua ufficiale del regno è il Kyl, un idioma duro e gutturale, caratterizzato da termini concisi e ricchi di significato. In particolare negli ambiti militare e lavorativo, molte parole condensano concetti complessi in forme brevi e incisive. Alcuni esempi includono:
La scrittura del Kyl è composta da simboli più simili a disegni che a lettere. Questi ideogrammi possono rappresentare concetti, parole intere o, in forma più ridotta, singole lettere. Le pareti delle grotte ormai esaurite, non più sfruttabili, diventano supporti per la memoria storica: su di esse vengono incisi episodi e momenti cruciali della storia dei regni Djaredin.
In un contesto dove lo spazio è limitato, queste pareti decorate rappresentano i veri monumenti del regno. Le incisioni, realizzate da fabbri esperti, vengono riempite con metalli preziosi o pigmenti ottenuti da muschi e funghi polverizzati, seguendo una lavorazione meticolosa. Tali opere costituiscono l’unica forma d’arte dei Djaredin, e la loro realizzazione è affidata a una ristretta cerchia di artigiani altamente specializzati.
Il valore della scrittura Kyl non si esaurisce nella sua funzione comunicativa o decorativa, ma assume un significato profondamente spirituale. Armi e armature vengono cesellate con motti, simboli familiari e versi sacri, spesso destinati alla benedizione nei templi dedicati al dio Korg. Alcuni fabbri ritengono che, attraverso queste iscrizioni, una parte della propria anima venga trasmessa agli oggetti forgiati.
Circolano anche dicerie secondo cui certe armature, per ottenere favori particolari, vengano portate dai sacerdoti di Dare, che invocherebbero l’intervento divino affinché i loro portatori ricevano aiuto nei momenti più difficili. Tuttavia, non si hanno notizie certe su quali siano le contropartite richieste né se queste voci trovino riscontro nella realtà.
L’attività del popolo Djaredin si distingue per una frenesia e un'efficienza che ricordano un immenso formicaio. L'ambiente sotterraneo e l’operosità degli abitanti si fondono in una comunità fortemente organizzata, in cui ogni individuo svolge il proprio compito con dedizione e rigore. Le professioni sono rigidamente suddivise, sia in termini gerarchici sia funzionali, e il lavoro rappresenta non solo una fonte di sostentamento, ma anche un motivo d’orgoglio e di riconoscimento sociale. Non esistono distinzioni di genere o di età nell’accesso al lavoro, benché l’esperienza sia naturalmente valorizzata. L’unica forma di umiltà accettata è quella di chi si affida interamente agli insegnamenti dei maestri, siano essi artigiani, militari o intellettuali.
Gli artigiani plasmano con abilità le materie prime offerte dal sottosuolo, alimentando un mercato interno costantemente attivo. Le transazioni avvengono principalmente tramite l’uso di monete d’oro, chiamate “pezzi” o “scudi de re”, ma il baratto mantiene ancora una sua rilevanza, retaggio degli anni più duri del confino.
Nonostante la natura austera della società, le locande e le osterie sono luoghi vivaci, frequentati da minatori e artigiani che vi sostano durante le pause dal lavoro. In questi spazi si consumano pasti, si beve una caratteristica birra di radice – scura, amara e schiumosa – e si partecipa alla vita comunitaria. Tali luoghi fungono da centri di aggregazione, dove ci si ritrova per conversare, giocare a dadi o a scacchi, e ascoltare i musici, custodi di racconti e canzoni che celebrano il passato glorioso del regno di Djare.
I musici djaredin svolgono un ruolo fondamentale nella trasmissione della memoria collettiva. Le loro storie, tramandate oralmente, differiscono da quelle ufficiali custodite nelle biblioteche o nei templi, e parlano direttamente all’animo. Anche nel contesto del sottosuolo, dove i movimenti sono limitati, i bardi conducono una vita errante, spostandosi tra presidi, giacimenti e piantagioni, spesso vagando senza meta in cerca d’ispirazione o di notizie da condividere.
La famiglia costituisce il fulcro della società djaredin. In ricordo dell’antico sistema clanico, il nucleo familiare è più esteso rispetto a quello umano o elfico. Il capofamiglia è generalmente il membro più anziano; alla sua morte, il ruolo passa al figlio maggiore, purché abbia raggiunto l’età adulta, altrimenti è la madre a esercitare la funzione fino alla maturità del figlio. In passato si viveva sotto lo stesso tetto, ma con il miglioramento delle condizioni di vita, la consuetudine è cambiata: oggi i membri della stessa famiglia abitano in case separate, ma vicine. Tra consanguinei si usa chiamarsi “fratello”, anche se il legame è differente, mentre tra non parenti si usa spesso il termine “cugino”.
Il ciclo vitale dei Djaredin è lungo: si raggiunge la maturità sessuale attorno ai 70 anni e l’età adulta a 110. I matrimoni avvengono tra gli 80 e i 120 anni, periodo in cui le donne hanno la massima fertilità. Successivamente, le possibilità di concepimento diminuiscono fino alla sterilità, che si manifesta intorno ai 1200 anni. Nonostante la cultura sia tradizionalmente monogama, non vi è traccia di sessismo: le djaredine godono di pari dignità, possono accedere a cariche militari e religiose – eccetto il sacerdozio di Korg – e, sebbene non possano essere sovrane, esiste almeno un caso storico di una djaredin divenuta Morgat.
La vita nel regno sotterraneo è scandita da un calendario autonomo, nato dalla necessità di adattarsi all’assenza di un ciclo giorno-notte. Dopo la deportazione avvenuta 4233 anni prima, i sacerdoti di Berzale si incaricarono di osservare la luce all’ingresso sigillato della caverna, un compito in seguito affidato alle sentinelle dette “Tregret” (traducibile come “soleggiatori”).
Il calendario djaredin mantiene lo stesso numero di giorni dei mesi umani, ma si distingue per i nomi assegnati: Cot, Zert, Drenat, Formeghet, Puste, Hug, Wqut, Ytor, Jnust, Morgot, Archon, Thorreg.
Gli ultimi mesi sono dedicati al saggio, al generale e al Re, con il dodicesimo mese che prende ogni volta il nome del sovrano in carica.
Un proverbio popolare recita: “quando ricorderai un evento, sarà il mese dopo Archon che ti ricorderà chi dovrai ringraziare per quel che ti è accaduto”. I giorni non hanno un nome specifico, ma sono identificati con numeri semplici.
“Magia?” chiese il vecchio nano inarcando un sopracciglio.
“Puah! Credi che i nani abbiano bisogno della magia!? Se così fosse la Triade ce ne avrebbe fatto dono!” sbuffò il nano.
“Ma non è così! Il punto è semplice gambelunghe: i nani non hanno alcun bisogna della magia!”
Da sempre i popoli di Ardania si domandano come mai i nani siano l'unica razza a non fare uso della magia. Perfino orchi, goblin e altre creature orripilanti sono in grado di manipolarla. Eppure i nani no.I nani nutrono una profonda e radicale avversione nei confronti della magia. Avversione diventata odio con radici storiche che risalgono ai tempi della Battaglia Sanguinosa combattuta contro la stirpe elfica: battaglia che il popolo di Djare perse a causa della magia, che venne usata anche per esiliarli e rinchiuderli nella profondità della terra.
Nessun altra razza sarebbe sopravvissuta in un ambiente simile.Magia? No…semplicemente tenacia, determinazione, il rifiuto ad arrendersi e l’ingegno.
Forse soprattutto quest’ultimo è la forma di magia che i nani sono in grado di praticare. Ma è qualcosa di reale, tangibile e concreto, il frutto di una profonda conoscenza ereditata dagli antenati e una ricchezza condivisa da tutti e per il bene del proprio popolo.
Caratterizzati da un innato e profondo pragmatismo, i nani non capiscono la magia: la vedono come qualcosa di astratto e irreale; una forma di potere e ricchezza certo ma non condivisa e accessibile a tutti e raramente al servizio del bene comune.
La magia è pericolosa e selvaggia e i nani credono che non tutti gli esseri mortali siano in grado di praticarla senza che la propria anima venga corrotta.
I nani sono la civiltà con il più elevato e avanzato sviluppo tecnologico: laddove in molte società è la magia a ricoprire un ruolo importante, tra gli djaredin è la tecnologia a farlo.
Se i maghi ricorrono alla magia per spostarsi velocemente da un luogo ad un altro, passeggiando per Kard Dorgast si può ammirare l’intricato sistema di binari: binari su cui carrelli carichi di metallo e altre risorse, viaggiano rapidamente raggiungendo ogni punto strategico della città sotterranea.
I maghi sono in grado di manipolare gli elementi della natura: acqua, aria, fuoco e terra. Altrettanto fanno inventori e ingegneri nanici: complessi sistemi di pompaggio dell’acqua permettono di portare questa preziosa risorsa in tutto il Regno; mastodontici condotti di ventilazione, che partendo dalle profondità del sottosuolo raggiungono gli sbocchi in superficie, controllano il flusso dell’aria; esperti ed abili artigiani conoscono ogni segreto del fuoco, lo manipolano per i propri lavori e lo sfruttano per creare armi micidiali; infine la terra: esiste forse un popolo più legato ad essa dei nani e che ne conosca e apprezzi segreti e doni?
Un incantatore arcano può convocare a sé creature e servitori per i suoi fini. I nani sono in grado di costruire guerrieri di metallo e se non bastasse, data la loro profonda fede, richiamare lo spirito di un antenato.
La magia insomma è stata completamente rimpiazzata dalla tecnologia: anche per questo i nani ne mettono in dubbio la sua reale utilità.
Una civiltà basata solo ed esclusivamente sulla profonda fede e sviluppo razionale, sulla conoscenza attraverso scoperte tangibili e patrimonio per i discendenti, ha sicuramente un futuro più certo e consolidato rispetto invece ad una civiltà che si basa sull’evoluzione grazie allo sfruttamento di poteri derivanti dalla magia.
È opinione diffusa tra i nani, che la magia sia stata creata dai demoni o forse rubata agli dei stessi per i loro scopi caotici.
La magia è una forma di potere difficile da controllare e non tutti gli esseri mortali sono in grado di farlo e soprattutto di non rimanerne corrotti. Per questo secondo i nani gli Dei mai avrebbero permesso che finisse nelle loro mani: la magia distorce lo stato naturale delle cose, del mondo creato e quindi minaccia la perfezione degli Dei stessi.
I nani quindi sostengono che i demoni abbiano insegnato la magia agli elfi: l’uso della magia avrebbe portato scompiglio e caos su Ardania e queste immonde creature avrebbero così ottenuto ciò per cui sono state create.
In seguito la stirpe elfica avrebbe insegnato a sua volta la magia agli umani: questo sarebbe avvenuto al tempo della Battaglia Sanguinosa. Gli elfi, accortisi che gli umani, al contrario dei nani, avevano una certa propensione nei confronti della magia e promisero che li avrebbero istruiti in cambio della loro neutralità durante la guerra imminente. Gli umani, avidi e assetati di potere, accettarono. Così gli elfi allontanarono gli umani dai nani e li resero in un certo senso più simili a loro.
Dal punto di vista dei nani, gli umani muoiono troppo presto per rendersi conto dei reali effetti che la magia produce e soprattutto non hanno il tempo necessario per conoscerla a fondo. Gli elfi invece, hanno tutto il tempo e la saggezza per imparare a fare uso della magia senza creare danni irreparabili, ma nessun nano lo ammetterebbe mai.
Un mago di per sé non è malvagio e non è detto che venga corrotto dal potere. Può usare la magia a fin di bene, ma ogni volta che ricorre ad essa indebolisce la realtà delle cose, porta caos nell’ordine, rende tutto meno perfetto. In sostanza a lungo andare fa il gioco dei demoni, che non desiderano altro.