La Stirpe Nera, come usano chiamarsi i Tremecciani, è una razza scura di pelle e capelli e molto resistente fisicamente. Per centinaia di anni dediti alla vita nomade, ne conservano molte usanze ed abitudini. Sia gli uomini che le donne sono soliti adornarsi di gioielli, truccarsi e ungersi con oli profumati, vestire indumenti leggeri e larghi, adatti al clima del deserto. Cavalcano ostard e lama, apprezzati per le loro qualità di resistenza al clima.

La vita all’Oasi non è incentrata sugli stessi valori riconosciuti nelle Terre Verdi; più che un contrapporsi tra bene e male, giusto o sbagliato, la Stirpe Nera vede il mondo intero in ogni suo aspetto come il perfetto disegno di Akkron. Per inserirsi degnamente in questo piano divino, il Tremecciano segue l’ideale di perfezione incarnato dai Quattro Pilastri della Fede. I Sacri Pilastri sono gli attributi di perfezione di Akkron, l’Unico Dio, ergo chi segue i pilastri utilizza uno strumento per avvicinarsi alla perfezione di Akkron. I Pilastri e la loro osservanza sono i principali accorgimenti che consentono la vita nel deserto, ragion per cui esiste un legame diretto tra la vita nel deserto e la vicinanza ad Akkron, tra la perfezione e l’utilità pratica. Un tremecciano che vive, per dire, a Rotiniel, potrà essere devoto, ma vivere a Tremec lo aiuterà maggiormente nella sua vicinanza con l’Unico proprio per la necessità dei quattro Pilastri nella vita del Deserto. In conclusione i Pilastri quindi sono attributi divini ma anche regole ferree che consentono di sopravvivere nell’inospitale terra in cui vive il Tremecciano.

Accettata e diffusa all’Oasi è la schiavitù, solitamente praticata a spese delle genti Qwaylar, detti comunemente Jumba. Lo schiavo, proprietà assoluta del padrone, può essere liberato solo dal proprietario o dal Sultano stesso, solitamente svolge i lavori più pesanti o spiacevoli e sebbene sia considerato come un oggetto dalla Sunnah, è comunque ritenuto indegno per un Tremecciano maltrattare fisicamente uno schiavo, ma anzi ne è incoraggiata l’istruzione e addirittura la conversione, che ne segna la liberazione immediata.

Il Culto dei morti

Per i tremecciani la morte rappresenta innanzitutto una fase transitoria, cioè il mezzo per arrivare ad uno stadio d’esistenza superiore (o inferiore). Tutti gli abitanti di Tremec sono convinti che una volta morti saranno giudicati, in base a numerosi fattori: la loro condotta in vita, la loro devozione al Sultano, ma anche secondo cose più “veniali” come potremmo definirle noi e non meno curiose, come il fiuto negli affari, o la parsimonia nell’utilizzo dell’acqua, fino al rispetto verso il proprio marito, o viceversa alla capacità di guadagnarsi quello di donne o schiavi.
Coloro che in seguito a tale giudizio saranno ritenuti idonei, potranno trascorrere il resto della loro esistenza in una sorta di immensa e fertile oasi, un Eden, come lo chiamano alcuni popoli, sotto la guida di Akkron cui saranno fedeli come lo erano nei confronti del Sultano (la cui anima siederà al fianco di Akkron, ma di questo parlerò più avanti). Colui invece che nel corso del Giudizio, non avrà doti positive da anteporre a quelle negative sarà destinato ad occupare il grado più basso della scala sociale: egli sarà schiavo, o semplice animale da soma.

Le celebrazioni e le tradizioni legate al culto dei morti, non sono eccessivamente elaborate. Il defunto viene seppellito nel deserto, con alcuni oggetti personali legati alla sua professione o ad una particolare caratteristica della sua vita. Non esiste una vera e propria tomba, ma in genere i parenti segnano la posizione della sepoltura con una pietra o un altro oggetto riconoscibile, e ne annotano la posizione su una mappa artigianale.
Com’è facile intuire il sepolcro non riveste una grande importanza nella cultura tremecciana, anche perché l’unica cerimonia ivi celebrata è legata alla tumulazione. Durante quest’ultima i parenti del defunto pronunciano alcune frasi, in cui celebrano le sue virtù, e ne esaltano i comportamenti. Un sacerdote di Akkron vestito dei paramenti funebri, prende atto di queste parole, le sottoscrive e si pone come testimone dinanzi ad Akkron affinché ne tenga conto nel formulare il suo giudizio.

Come è facile intuire le celebrazioni funebri più sfarzose sono quelle legate alla morte del Sultano. Tale evento, raro ma comunque inevitabile, monopolizza per quasi due mesi la vita all’interno dell’oasi. La sepoltura del sovrano, avviene a palazzo, a seguito di un rituale antico e misterioso, di cui nessuno conosce la forma. Non ne esistono descrizioni nei documenti ufficiali della Chiesa di Ardania, e neanche nelle biblioteche elfiche è mai stato trovato nulla a riguardo. Si sa solo che il Sultano viene seppellito con la maggior parte degli oggetti di cui faceva uso in vita, e che è accompagnato nel suo viaggio nell’oltretomba da parte dei suoi schiavi, da una o due delle sue mogli (è lo stesso sovrano a sceglierle quando è ancora in vita) e da due soldati valorosi, che gli facciano da guardie del corpo. Contrariamente a quanto avviene per gli altri Tremecciani, il sovrano non verrà sottoposto al giudizio di Akkron, la sua anima sederà di diritto al fianco di Akkron e ne diventerà consigliere. Non meno misterioso del rituale è il luogo della sepoltura.
La leggenda narra che finiti i sette giorni di lutto, in cui il corpo viene esposto a palazzo a beneficio di tutti, sudditi e forestieri, i sacerdoti trasportino il feretro nei sotterranei, nei quali si troverebbe un labirinto in cui riposano tutti i predecessori del Sultano e con essi, le loro ricchezze. Gli schiavi che trasportano le spoglie, e le guardie che le scortano, saranno poi immolati per seguire il loro Signore, in modo che nessuno possa rivelare la locazione segreta. Le celebrazioni si protraggono per quasi due mesi. Il primo mese è il “mese del ricordo”. Tutti gli abitanti dell’oasi devono digiunare dall’alba al tramonto, in segno di rispetto e di devozione verso il loro defunto sovrano. Durante la notte si tengono veglie di preghiere e si celebrano banchetti. Di giorno invece la vita quotidiana rallenta bruscamente, e vengono portate avanti solo le attività necessarie alla vita comune degli abitanti, senza comunque cercare di eccedere, e mantenendo un atteggiamento di profonda tristezza e dolore.
A questi primi trenta giorni, segue il “mese della rinascita”. In pratica si passa dalla commemorazione del Sultano defunto alla celebrazione dell’ascesa al trono del suo erede, in un’unica grande festa, senza soluzione di continuità. In questi giorni, Tremec torna letteralmente alla vita, si susseguono giochi, banchetti, fiere, ed ogni genere di attività riprende con maggior vigore e frenesia, quasi a recuperare il tempo perduto (e difatti a mio parere il fine politico-economico di tali festeggiamenti è proprio questo). Le botteghe lavorano anche di notte, i mercanti sembrano avere sempre una gran quantità di merci da vendere, le luci ed i profumi avvolgono completamente l’aria del deserto, e notte e giorno sembrano confondersi.

La Benedizione degli Sposi

Fra le celebrazioni più importanti per il popolo dell’Oasi vi sono senza dubbio i matrimoni. Ovviamente questo deriva dalla concezione tremecciana della famiglia che, nel suo senso più esteso, riveste un ruolo fondamentale all’interno della società. Inoltre, non solo la poligamia a Tremec è molto diffusa, ma essa è anche incoraggiata e sostenuta sia dalla fede che dal senso pratico.
In generale i matrimoni sono celebrati dai sacerdoti di Akkron e prevedono lo scambio di promesse ed oggetti simbolici, come la scimitarra e l’ampolla d’acqua contenente una moneta d’oro. Tuttavia gli sposi non mancano mai di chiedere alle ancelle di Lostris la benedizione della dea.
Il rito in questione, benché breve, e se vogliamo semplice, è ricco di significato: la sacerdotessa offre agli sposi due calici vuoti invitandoli ad incrociare le braccia in modo che l’uno possa bere dal calice dell’altro; quindi la sacerdotessa lega i polsi degli sposi con un nastro di seta rossa e versa l’acqua della fonte sacra nei calici.
A questo punto invita gli sposi a bere dai calici, pronunciando parole simili a queste: “Che questa acqua sacra possa purificare i vostri corpi e le vostre anime, rendervi fertili e far prosperare la vostra tenda, che le vostre vite e vostri destini possano essere legati per sempre come questo nastro ora cinge i vostri polsi”.
La coppia, dopo aver bevuto, getta a terra i calici in modo che rompendosi essi siano di buon auspicio: come nessun altro potrà bere mai da quegli stessi calici allo stesso modo la loro vita insieme sarà unica.

Una delle cerimonie più belle in Ardania è, a parer mio e di molti, quella con cui a Tremec due individui convogliano a nozze. Anche questo rituale è profondamente caratterizzato dalla simbologia e dal naturalismo. Alla presenza dei due futuri coniugi, un sacerdote di Akkron pronuncia un breve discorso, privo di formule prestabilite, in cui celebra ed esalta le virtù dei due, le vicende delle rispettive famiglie, ne enuncia i pregi e non trascura di ometterne i difetti augurandosi che la vita coniugale serva anche a correggere questi ultimi. Al termine della breve omelia (breve a seconda dei casi, e dell’importanza dei due individui), il sacerdote consegna a ciascuno due doni cerimoniali, e li invita a scambiarseli: la donna riceverà una scimitarra dorata, ed ella la donerà al marito, affinché s’impegni a proteggere lei, la loro casa ed i futuri figli; all’uomo invece sarà data un’ampolla di cristallo contenente acqua benedetta proveniente dalla sorgente dell’oasi, simbolo di purezza ed auspicio di fertilità, sul fondo della quale giace una moneta d’oro, poiché sarà compito della futura moglie amministrare i risparmi e curare l’economia della casa. Conclusosi lo scambio, il sacerdote pronuncia l’unica formula, quasi cantilenante, prevista dal rituale: “Possa lo scambio di questi doni, suggellare la vostra unione. Che Akkron ne sia testimone! Voi siete marito e moglie.” La celebrazione prosegue con un banchetto, che di solito si protrae fino a tarda sera, in cui la neo-moglie inizia a fare “gli onori di casa” offrendo da bere agli invitati ed ascoltando pazientemente i consigli delle donne gia sposate (consigli vari, che spaziano, dalle ricette di cucina, al mantenimento dei figli e della casa, fino a cose più maliziose che in questa sede non sarebbe opportuno citare). Terminata la prima parte del banchetto, gli uomini invitati formano un cerchio al centro del quale sta il marito.
Quest’ultimo darà prova della sua forza e del suo valore sfidando, in duelli simbolici, alcuni degli invitati. A turno l’uomo poserà ai piedi dello sfidante un cuscino di seta, con sopra due scimitarre rituali con le quali i due si affronteranno. L’essere sfidati è considerato un grande onore, poiché di solito lo sposo vuol dare prova di se sfidando i guerrieri più valorosi e le persone più importanti, anche se non mancano le sfide scherzose con i bambini o con gli amici più cari, nei quali spesso volano anche calci e prese in giro. Ovviamente trattandosi di un duello rituale i toni sono molto smorzati e l’offesa non è nelle intenzioni di nessuno dei due sfidanti. Danze e giochi concluderanno la cerimonia, e tutti gli invitati accompagneranno i coniugi a casa dove trascorreranno la prima notte di nozze.

Il Ruolo della donna

Nonostante la simbologia religiosa attinga dalla figura femminile i suoi tratti più affascinanti, la condizione della donna appare, ad occhio estraneo, assai difficile e gravata da pesi e tradizioni ingiuste, o quanto meno discutibili. Le fanciulle, sin da giovani, sono considerate una sorta di proprietà del Capotenda, esse appartengono al capofamiglia fino alla maturità sessuale, o fino al giorno del loro matrimonio, quando con un vero e proprio contratto matrimoniale, suggellato dalla dote, tale “proprietà” passa al marito. Le donne non appartenenti a tende riconosciute, nel caso restino sole, passano sotto la tutela del Sultano stesso, che stabilisce per loro come un Capotenda.

La prassi e la tradizione vogliono che la maggior parte dei matrimoni siano di mero interesse, combinati dalle famiglie stesse, per ragioni economiche e politiche, ma anche per fare rapidi movimenti nello status sociale ed all’interno dell’oligarchia dell’oasi. Essendo contemplata la poligamia, all’interno della tenda la figura femminile più importante resta la prima moglie, anche in quanto scelta dalla famiglia, o eventualmente colei che per prima riesca a dare alla luce un discendente maschio. Essa è responsabile dell’intera “politica” casalinga: educa le figlie, assume ed assegna i servitori, si occupa dell’economia della casa, di consultare esponenti del culto e della magia per quelle che sono le esigenze quotidiane. Solitamente la prima moglie è una persona colta oltre che di ricca estrazione (o quantomeno di una famiglia che ha qualcosa da offrire, magari un titolo), è abile nel gestire gli affari e ha nozioni di base di medicina o farmacologia.

Quanto appena riportato, tuttavia, non esclude che all’interno di molti matrimoni esista un reciproco affetto tra i coniugi, che pur partendo da sentimenti di riverenza e rispetto, di fedeltà ed orgoglio, possa risolversi (o degenerare, a seconda dei punti di vista) in vero e proprio “amore”, o quanto meno alla forma squisitamente Tremecciana di quest’ultimo. In effetti, è molto più semplice saziare i propri appetiti ed appagare i propri sentimenti ricorrendo ad ulteriori nozze. Sono, infatti, quelle successive alla prima ad essere mosse più spesso da reali sentimenti piuttosto che da ragioni utilitaristiche.

Sempre relativamente alle donne dell’Oasi è necessario aggiungere un ulteriore notazione. Sono esseri dal fascino e dalla bellezza spesso irresistibile. La pelle ambrata e resa liscia dalla sabbia del deserto, gli occhi scuri e profondi, il corpo sinuoso, minuto ma perfettamente proporzionato. Ma più di ogni altra cosa, ciò che veramente le distingue è il loro portamento: aggraziato ed impudente al tempo stesso, sensuale e misterioso, quieto ed impaziente. Sono aspetti che lungi dall’essere ignorati, saltano subito all’occhio, e destano immediato interesse negli esponenti di sesso opposto. Tale bellezza ha, come è facile immaginare, i suoi risvolti positivi e negativi. Storicamente, le donne Tremecciane sono molto apprezzate come ballerine e dame di compagnia, ed ovviamente prostitute ben pagate. Di conseguenza, è facile immaginare che una cultura in cui la schiavitù ed il commercio degli schiavi sono pienamente tollerati, abbia fatto si che molte di esse divenissero una “merce” molto richiesta, e come tale private della libertà con molta facilità e leggerezza.

Negli ultimi anni però la situazione della donna è mutata notevolmente; l’Oasi, consapevole della forza politica e del valore delle proprie donne, ha iniziato a custodirle gelosamente trattandole con sempre più cura, fino ad arrivare all’apice durante il sultanato di Rashed il Saggio, quando in uno specifico precetto della Sunnah le donne Tremecciane vennero ufficialmente sancite come sacre ed inviolabili. I bordelli vennero ripopolati da schiave Qwaylar, lasciando così l’immane bellezza delle donne Tremecciane come un sogno irraggiungibile o un prezioso tesoro lontano dalle pretese o dalle possibilità della gran parte degli stranieri. Durante le reggenze degli ultimi sultani alcune donne sono riuscite a ricoprire importanti ruoli come quello di Gran Visir, una grande conquista per la categoria, basti pensare che per secoli e secoli tale carica fu ricoperta unicamente da soli uomini. Nonostante vi siano ancora tradizioni saldamente radicate, quali quella della poligamia, e sia loro ancora vietato ricoprire i più importanti ruoli di Sultano ed Ezzedin, ad oggi possiamo senz’altro considerare la donna come una privilegiata all’interno dell’Oasi di Tremec.

Idiomi tremecciani

L’antico Tremecciano, per definizione la lingua usata nelle sacre scritture come il Tremano, deriva direttamente dalla parlata delle Tende nomadi del passato.
Nei giorni odierni resiste in due diverse sfumature, quella più ruvida ed essenziale degli Assid, e quella più ricercata e melodica delle genti dell’Oasi. Oltre che nei riti e nelle sacre scritture, il Tremecciano resiste alla più moderna tendenza all’uso dell’Ardano (o Comune) solo presso le caste più istruite e le Tende più antiche. Nonostante questo, alcune forme di cortesia resistono nella parlata, come il tipico saluto Salam Aleikun (incontrandosi, Aleikun Salam separandosi), che significa letteralmente Pace su di te/voi.

Altre parole o espressioni che si sono conservate sono:

Tremec: Letteralmente “Colui che viene dal cielo”, nome del Primo Profeta che in seguito diede il nome alla città
Khaab : Tipica erbapipa da masticare o fumare
Sahra’Kbar: Grande Deserto
Simit: Scimitarra
Shamalik: Guerra, battaglia
Jumba: Qwaylar
Maat : Flux o magia
Sahim/a : Mago/a
Djiin: Creatura generata dal Maat
El-Alamyn: Gli elfi, letteralmente gli appuntiti
Drujid: Druido
Akh/ukht: Fratello/sorella
Habibi/nurì: mio amore/ stella mia

Giochi tremecciani

Il clima del deserto impedisce di stare all'aperto nelle ore più calde, se non per questioni urgenti o importanti, così sotto la fresca ombra delle palme come al riparo di una tenda, già in tempi antichissimi nasce l'uso tra i beduini di occupare il tempo raccontandosi storie e leggende oppure giocando a dadi. Ancora oggi a Tremec il gioco dei dadi è molto in voga e lo pratica qualsiasi classe sociale, sesso e fascia di età. Ovviamente le puntate vanno dai pochi datteri dei bambini alle sacche di monete dei ricchi mercanti, ma nessuno si sottrae ad un Cinque Mani. Certo ci sono anche svaghi che richiedono maggiori doti di forza e agilità, che si svolgono nelle ore fresce della sera o del primo mattino, come lo Jan, la lotta tradizionale a mani nude, o le corse dei lama e degli ostard. La più famosa di queste corse, il Gran Palio di Tremec, è la massima espressione dell'orgoglio degli allevatori tremecciani, come dei fantini, considerati esempio di Vigore, più che di follia, nello sfrecciare tra le tende del pericoloso percorso.

Il cinque mani

Il Cinque Mani è un gioco caratterizzato da un'azzardo incredibile e fuori dell'ordinario. Ogni tiro di dadi ha un valore secondo questa graduatoria di punteggi, dal più alto al più basso:

4
8
12
11
10
9
7
6
5
3
2

Il primo giocatore che si aggiudica 5 mani (quindi 5 tiri), vince i soldi del piatto. Qualora vi siano 1 o più giocatori con punteggi uguali questi ultimi effettuano un tiro aggiuntivo, non si tira in caso di parità solamente in caso di uscita del numero 4: in quel caso il primo che lo fa vince la mano. A seconda di chi decide la puntata, i giocatori tirano i dadi in senso antiorario.
Il vincitore dell'ultima mano, è colui che decide l'ammontare della puntata per tutti ed è sempre l'ultimo a tirare. Il gioco si svolge secondo le seguenti fasi.

Contratto:

ovvero i giocatori si accordano sul quanto deve ammontare il "piatto". Spesso questa è una fase lunghissima della partita che si trascina per ore, visto il piacere che il popolo di Tremec trae dal mercanteggiare e dal contrattare. A volte succede che proprio durante la fase del "contratto" i giocatori si scambino merci e khaab. Addirittura c'è chi ha venduto o promesso figlie e schiavi pur di tenere un piatto alto di 5 mani. Non c'è una regola per la contrattazione, di norma comunque si tende ad andare ai voti, ovvero se vi è un gruppo di giocatori concordi su una proposta la si vota e se essi ottengono una maggioranza relativa il piatto sarà quindi quella somma. Molto difficile, tra l'altro, che un Tremecciano che accetti di fare una partita di 5 mani non giochi almeno la Mano Bianca se reputa un piatto troppo alto, questo infatti è da molti considerato come una mancanza di Vigore (uno dei pilastri della fede di Tremec) e fortemente malvisto. Una volta fissato il piatto i giocatori cominciano la partita. A cominciare è il giocatore più giovane o, in caso di Ospiti, parte lo straniero che viene da più lontano.

Mano Bianca:

Dicasi Mano Bianca, la prima mano della partita. La Mano Bianca non costa mai nulla pur essendo conteggiata nel totale per arrivare alle 5 mani, il vincitore (ossia colui che realizza il punteggio più alto tirando due dadi da sei stando alla tabella di sopra) ha il diritto di essere l'"ezzal" ossia il "parlatore" e quindi di decidere quanto deve costare la mano successiva ecc... Una volta decisa la puntata si procede con la seconda mano, anche qui chi vincerà diventerà l'"ezzal" ed andrà a decretare il costo della prossima mano e così via fino a chi non raggiunge per primo le 5 mani vinte.

Puntate:

Per ogni mano successiva alla Mano Bianca colui che vince l'ultima mano disputata ha il diritto di fissare il prezzo alla mano successiva, il prezzo non può mai superare l'importo del piatto di partenza. Si può anche decidere di fare puntate gratis. Se un giocatore intende continuare a giocare deve pagare la somma decretata dal vincitore della mano precedente, se invece si chiama fuori lascia agli eventuali altri giocatori il proseguo della partita. (ma non spenderà più nulla rischiando soldi). Ogniqualvolta si disputa una mano i giocatori che la giocano aggiungono la puntata di quella mano nel piatto centrale, il primo che vince per primo 5 mani vince tutto il piatto.

Mosse:

Grande Sciacallo:

il primo giocatore che vince 3 mani di seguito realizza il Grande Sciacallo, praticamente un cappotto, e vince la partita. Può quindi succedere che se il giocatore A è a 4 mani vinte, B ne ha vinte 2, C possa vincere l'intera partita vincendo le ultime 3 mani in fila pur avendo meno mani vinte di A.

I Due Lama:

se due giocatori arrivano ad essere in una situazione di 4 pari (4 mani vinte a testa) possono patteggiare dividendosi a metà il piatto, questa mossa si chiama Due Lama. Se la loro parità persiste durante più mani possono ugualmente sempre e comunque patteggiare. La mossa dei Due Lama deve essere condivisa da entrambi i giocatori e non è più fattibile se un 3° giocatore raggiunge le 4 mani vinte.

Mercante Bianco:

Il vincitore della Mano Bianca se intenzionato a giocare la mossa del Mercante Bianco può decidere di rendere nulla la partita solo ed esclusivamente alla fine della Mano Bianca, ridistribuendo il denaro del piatto e andando a riportare la partita alla fase di contrattazione del piatto. In questo caso, se dopo un Mercante Bianco i giocatori ritornano a votare una proposta, il voto del Mercante Bianco varrà per due. Il Mercante Bianco è una mossa giocabile sempre ad ogni Mano Bianca, tuttavia non è giocabile dallo stesso giocatore per due volte di fila.

Il Cinque Mani varia da un minimo di 2 a un massimo di una decina di giocatori, il numero migliore è 3, 5 o 7 giocatori (numeri dispari per facilitare le contrattazioni dei piatti iniziali). Si narra che vi siano state partite in cui si è arrivati a giocare fino a mezzo milione di sicli d'oro, tra i cuscini della locanda di Tremec. Pur non avendo il prestigio e la sacralità del Gioco del Coccodrillo, il Cinque Mani è di gran lunga il favorito dei giochi di dadi tremecciani, soprattutto da mercanti, faccendieri, Feddhayn, tagliagole, prostitute e gli altri abituali frequentatori dei bordelli e delle locande cittadine.

Il Grande Palio

Il percorso del Grande Palio di Tremec si snoda all'interno dell'intera città di Tremec. Il punto di partenza viene posto nell'incrocio delle strade poco più a nord della tenda del cerusico. Il percorso in senso destro, prosegue per la strada sino alla tenda del carpentiere dove i fantini dovranno dirigersi a sud costeggiando le antiche mura della città fino alla cancellata che dà sulla miniera da dove i fantini torneranno verso il punto di partenza. I precetti sono i seguenti:

1. Una Tenda o un partecipante che sia, verrà estratto a sorte per essere il Fantino Entrante.

2. Il Fantino Entrante deciderà la partenza della gara: dopo che il Giudice della Corsa posizionerà i partecipanti, quando il Fantino Entrante oltrepasserà, rigorosamente al galoppo, l'apposito spazio, la gara avrà inizio salvo irregolarità.

3. Il Giudice della Corsa, scelto dalla Città di Tremec dovrà, secondo un criterio concordato con la città, decidere la disposizione degli altri fantini sulla zona di partenza. Il Giudice è tenuto a far rispettare nei limiti del possibile le posizioni assegnate. I fantini non sono obbligati a stare fermi ma al rispetto, per quanto possibile anche dall'imprevedibilità delle bestie, delle posizioni.

4. Chi viola il 3° precetto è passibile di Richiamo del Giudice, al 6° richiamo di questo tipo si è esclusi dalla Corsa. I Richiami saranno effettuati dal Giudice a voce alta, che richiamando il fantino farà uscire tutti dalla zona di partenza per richiamare uno ad uno i fantini a seconda delle posizioni di partenza scelte secondo il 3° precetto.

5. Gli altri fantini partiranno solo dopo l'ingresso nella zona di partenza del Fantino Entrante. Chi viola questo precetto viene a voce alta richiamato dal Giudice della Corsa che urlando "FERMI" annullerà la partenza. I Richiami ammessi sono 3 o 4 a decisione del Giudice, al successivo Richiamo si è esclusi dalla corsa.

6. Durante la corsa è consentito frustare gli altri partecipanti. Non è concesso l'uso di armi, magie o altri sistemi per ostacolare gli avversari.

7. La Corsa consiste in 3 o 4 giri dell'Oasi, a scelta del Giudice; chi dopo i giri stabiliti ripasserà per primo nella zona di partenza vince la corsa.

8. Tutte le decisioni del Giudice riguardanti al numero di giri cittadini e numero di violazioni dei precetti vanno prese prima della Corsa e prima di essa esposte ai partecipanti.

9. Chi durante la gara tenta di barare non rispettando il percorso previsto, viene eliminato dalla Corsa. In questo caso lui o la tenda in questione, vengono esclusi dalla successiva Corsa.

Lo Jan

Attualmente considerata la classica lotta Tremecciana, nacque quasi contemporaneamente alla Stessa Oasi. Difatti il Primo Sultano di cui si abbia memoria, Janlym Shamal, creò tale tipologia di lotta, e da lui prese nome, per far si che i suoi Feddhayn potessero sempre tenersi in allenamento.
Inizialmente allo Jan erano ammessi solo i cittadini dell'Oasi, loro si affrontavano a mani nude e privi di qualsiasi armatura fino allo sfinimento, quando poi i sempre più insistenti stranieri vennero ammessi a tale tipologia di lotta, venne introdotta una particolare regola. Codesta regola consisteva nel permettere alle folle presenti di lanciare pericolosissime pozioni esplosive, e così facendo di agevolare il proprio "campione".
Con questa astuta regola il Sultano Shamal conquistò il cuore dei propri sudditi rendendo il gioco popolare grazie al coinvolgimento del popolo stesso, ma non solo poichè così facendo praticamente condannò a sconfitta certa qualunque Straniero osasse sfidare un qualsiasi cittadino della santa Oasi! Non si trova notizia, difatti, che un tremecciano sia mai uscito sconfitto da tale lotta. Col passare delle generazioni si succedettero numerosi Sultani che fecero vanto di codesti tornei in ogni occasione di festa tramandando così la Tradizione dello Jan.
Solo nella recente tradizione di tremec si è assistito ad un progressivo allontanamento delle masse dallo jan, e tale increscioso evento la causa va attribuita, a parer dei saggi Tremecciani all'edificazione dell'Arena. Quest'ultima infatti impediva, ed impedisce tutt'ora un'attiva partecipazione del pubblico ed in più consente, che chissà un giorno, un combattente tremecciano ne esca sconfitto! Lo Jan effettuato in arena ha necessitato di supplementari regole e alle precedenti tre regole storicamente note se ne vide affiancare un'altra.

I regola storica: Si combatte a mani nude.

II regola storica: Vi è divieto di far uso di armi e armature.

III regola storica: E' concesso l'utilizzo delle sole pozioni esplosive e non per mano dei combattenti.

IV regola da Arena: Ogni combattente potrà essere affiancato da un'eventuale accompagnatore, a lui e solo a lui, spetterà il compito di agevolare il proprio compagno scagliando contro il combattente avversario, e non contro il lanciatore avversario, un numero illimitato di pozioni esplosive.

All'inizio del torneo, in base al numero di coppie di combattenti presenti, si stabilivano le modalità di svolgimento del torneo. Vi possono essere due modalità di svolgimento, una nel caso in cui le coppie partecipanti siano dispari ed una nel caso siano pari.
Nel primo caso il torneo ha inizio con due coppie volontarie, e la coppia vincente resta sull'arena finche non viene sconfitta da qualche successiva coppia. Ovviamente in questo caso viene concesso alla coppia vincente di esser soccorsa dai sacerdoti addetti al rimarginare le ferite del precedente incontro.
La coppia che resterà imbattuta potrà fregiarsi del titolo di Campioni dello Jan. Nel secondo caso invece si procede con l'abbinamento delle coppie in modo che si possa avere un'eliminazione diretta e accesso al successivo incontro con la vincente di un altro abbinamento. Finchè non si giungerà allo scontro finale per l'assegnazione del titolo di Campioni dello Jan.
In entrambi i casi gli organizzatori presiedono e gestiscono l'ordine e la modalità del susseguirsi degli incontri, il che vuol dire che nel primo caso sopra esposto saranno loro a decidere il susseguirsi delle coppie contro la cappia vincente; e nel secondo caso che saranno loro a decidere gli abbinamenti delle coppie.

Il Khaab

Si definisce Khaab l’erbapipa che cresce spontanea o coltivata all’interno dell’Oasi di Tremec o nelle immediate vicinanze. Esistono numerosi tipi di Khaab, generalmente ne esiste un tipo che viene masticato, uno che viene fumato ed un altro che serve come foraggio ai lama.
Ovviamente i più utilizzati sono i primi due, soprattutto quello fumato, visto che chi ancora lo mastica generalmente sono persone anziane o comunque appartenenti alle vecchie generazioni di beduini.
Il procedimento per ottenere il khaab da fumo è il seguente: dapprima vi è la raccolta della foglia della pianta, poi la foglia viene “dipinta” ossia cosparsa generalmente di letame di lama o comunque lasciata a riposare qualche giorno. Più la pittura è massiccia più il fumo che ne esce risulta nero. Il letame serve principalmente a far morire i parassiti della foglia in quanto nel deserto è impensabile utilizzare l’acqua per lavare i raccolti di Khaab.
Successivamente avviene la tostatura, ossia la cottura su pietra delle foglie, le quali, ripulite dal letame, vengono immerse in un brodo fortemente speziato con aromi di vario genere. La foglia semi-secca viene quindi messa nell’essiccatoio e da qui fumata, generalmente usando un'altra foglia come involucro.
Il Khaab, a seconda della sua tostatura, mantiene differenti proprietà: generalmente ve n’è per tutti i gusti, dall’utilizzo come medicinale, all’utilizzo come afrodisiaco o calmante, ecc... Generalmente il Khaab prodotto da ogni tenda dell’Oasi prende un nome particolare, per cui ad esempio il Khaab prodotto dalla tenda Ibn Mahadi prendeva il nome di Ibna, quella prodotta dalla tenda Shamal era la Shamalla, così come quella prodotta dagli Al-Mulallah era nota come Mullallera. I procedimenti di tostatura sono variabili e pressoché infiniti, cambiano infatti da tenda a tenda.
Si sa che generalmente il Khaab viene speziato pesantemente, per questo a volte risulta infumabile soprattutto da chi è abituato alle dolci erbepipe del continente occidentale. Il fumo nerissimo del Khaab acceso, ed il forte profumo di spezie che esso sparge in aria, sono oramai qualcosa di caratteristico dell'Oasi di Tremec, chiamata anche da taluni “la città dei fumatori” per l’assiduità con cui questo gesto accompagna la vita quotidiana dei suoi abitanti.